Un po' tutti i commentatori , in considerazione che manca ormai meno di un anno alleelezioni politiche, nonostante in tanti sono quelli che NON le vogliono : Il Presidente della Repubblica, il PDL che prevede la batosta, Casini che ancora non ottiene garanzie per il suo futuro al Quiinale, Bruxelles e Berlino che temono un governo pronto a rinnegare i compiti fatti e da fare.
Abbiamo riportato i commenti di Polito nei giorni scorsi, di Galli della Loggia, di Sergio Romano.
Oggi si pronuncia il già vicedirettore del Corsera, il bravo Pierluigi Battista che sottolinea una realtà a tutti evidente : la vacuità della prossima campagna elettorale, con partiti politici i cui programmi, astratti o onirici, come di consueto, dovranno fare i conti, prima o poi, con le aspettative di chi ci finanzia e ci sostiene. L'auspicio assolutamente condivisibile di Battista resterà inascoltato e lo stesso editorialista lo sa bene : che le parole della campagna elettorale possano essere centrate sulla reltà dei fatti, e quindi sulle gravi difficoltà che ci sono e che dureranno, anche in considerazioni dei rapporti e dei vincoli con l' Europa.
Bersani che si allea con Vendola , e tira fuori un decalogo del NULLA, lo farà ?
Il PDL che ripropone Berlusconi, non più credibile né qui né all'estero, lo farà ?
E Grillo ? Se veramente il suo Movimento facesse Boom, e prendesse più del 20% dei voti, diventando magari decisivo per la fromazione del governo ? Lo farà ?
Per il terzo esempio sappiamo già con certezza di no, ma non è che per i primi due le speranze siano molte.
Comunque, ecco il post del Direttore
Per i partiti italiani, il divario tra le parole e le cose è diventato oramai una voragine. Estromessi dalle leve del comando con il governo tecnico, costretti a svolgere obtorto collo i compiti a casa prescritti da capitali molto lontane da Roma, sognano il «ritorno della politica». I partiti si accingono a celebrare forse la più inutile delle campagne elettorali, dove le ricette contrapposte sulle cose da fare saranno solo un elenco di cose irrealizzabili, o realizzabili solo se compatibili con i numeri, i vincoli e le severità di un fiscal compact sottoscritto dall’Italia e che non può essere eluso a meno di non voler dire addio per sempre all’euro e all’Europa. E perciò i partiti, stretti all’angolo, cercano di compensare la loro afasia con una loquacità che denuncia un rapporto sempre più nevrotico e impotente con la realtà. Il responsabile economico del Pd Fassina intima al prossimo governo che dovrebbe succedere a Monti dopo le elezioni di mettere in discussione il fondo salva Stati. Ma non è possibile, è Bersani il primo a saperlo. Il segretario del Pdl Alfano auspica l’abolizione dell’Imu nella prossima legislatura: ma sa bene che è un’ipotesi del tutto inverosimile e non sarà certo il suo partito, un Pdl allo stremo, ad abolire un’imposta che ha votato e rivotato in Parlamento. Sulla legge elettorale, forse, i partiti avrebbero potuto testimoniare una certa fattiva utilità: invece niente, si perdono in discussioni incomprensibili, evanescenti, dove l’unico dettaglio abbastanza chiaro è che ciascun partito propone una legge elettorale, la più adatta a sé, ritagliata secondo le proprie esclusive convenienze. Non fanno, ma parlano, e molto. Si risvegliano dal loro torpore solo quando si accende il parapiglia per le nomine Rai, oppure per infierire su qualche esponente del fronte avverso in bilico sul fronte giudiziario. Discettano di alleanze, dovendosi presentare davanti al corpo elettorale. Ma il Pd, che sostiene il governo Monti, non riesce a spiegare come fa a ottenere una maggioranza solida con un partito, quello di Vendola, che predica l’anatema contro il supposto «liberismo» del governo Monti. E sul fronte opposto non si capisce come il Pdl, che contribuisce a tenere in piedi chi sta a Palazzo Chigi, potrebbe tessere una nuova alleanza con chi, come la Lega, ogni giorno, e inutilmente, invoca «Monti a casa». Sparisce dal lessico l’espressione proibita: «grande coalizione», cioè l’unico scenario possibile che l’Italia, sull’orlo del default e con lo sguardo diffidente e spietato della comunità internazionale puntato su di noi, forse sarebbe in grado di reggere. Ma nessuno lo dice. Nessuno osa descrivere realisticamente cosa potrebbe accadere nell’ipotetico «dopo Monti». Per l’opposizione, a sinistra e a destra, è facile: basta alzare il volume delle invettive, come fa Di Pietro, e soffiare sul fuoco del malcontento di un elettorato stordito dalla recessione e dalle tasse. Per chi si colloca invece nel perimetro della «governabilità», la vaghezza dei propositi, la volatilità dei proclami, l’incertezza sulle possibili alleanze serve a coprire l’indicibile in una campagna elettorale, la prospettiva di un governo che ricalchi l’attuale maggioranza parlamentare, magari con la redistribuzione dei pesi che il verdetto elettorale sancirà per il nuovo Parlamento. I partiti avrebbero potuto sfruttare la loro sospensione in panchina per riorganizzare forze, programmi e credibilità in vista del futuro. Non lo hanno fatto e nei prossimi mesi si scontreranno, proponendo progetti che non saranno mai realizzati. Con le cose reali che premono, e le parole che volano via
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