domenica 16 settembre 2012

IL CASO FIAT. COME L'ITALIA ? TROPPO GRANDE PER FALLIRE ?

IL GRUPPO FONDATORE DELLA FIAT- 1899


La Fiat fa parte della storia d'Italia. Nel bene e nel male. Fu fondata alla vigilia del XX secolo, nel 1899 esattamente, e ora ci siamo addentrati nel XXI.
Quando ero piccolo la Fiat era di gran lunga il più grande gruppo industriale italiano e tra i maggiori in Europa.  Occupava, indotto compreso, qualcosa come 600.000 persone !
Oggi sono un terzo, nel MONDO, Crhysler compresa.
In Italia è occupato il 31,8% (dati del Gruppo al 31 dicembre 2011), in America Latina (la Fiat va molto bene in Brasile, magari Casare Battisti è libero anche per questo...malignità, lo confesso subito ! ) il 28% e negli USA c'è un altro 24,5%, che in realtà sono i vecchi dipendenti della casa automobilistica americana acquistata con la benedizione di Obama.
Per anni, il fondatore, Giovanni Agnelli, poi Valletta e poi il Principe Gianni, convinsero praticamente tutti che ciò che era bene per la Fiat era bene per l'Italia. Di qui il grande progetto dell'autostrada del Sole, preferito ad altri potenziamenti infrastrutturali (trasporto ferroviario e marittimo ).
Personalmente, ho subito integralmente il fascino di Gianni Agnelli, e certo non solo perché mecenate della Juventus. Di lui mi è sempre piaciuto quasi tutto : lo stile, l'ironia, il distacco, fino ad un benevolo cinismo. Mai mischiatosi con la politica parlamentare (aveva simpatie repubblicane, ed era molto amico di Ugo La Malfa), preoccupandosi semmai di trovare sempre accordi utili con chi GOVERNAVA, chiunque fosse, fu eletto senatore a vita dal Presidente Francesco Cossiga.
Quando morì, nel gennaio del 2003, in tanti scrissero che era morto l'ultimo vero Principe della storia d'Italia.
Tutto questo omaggio per il più celebre della dinastia, per dire che essere affascinati da una persona non significa non criticarla. Presidente di Confindustria, fu proprio Agnelli a sottoscrivere il famigerato accordo che portò alla cd, Scala Mobile (1974). Agnelli lo fece nella speranza di calmare la conflittualità sindacale. Speranza vana. In compenso aveva creato un mostro che durò oltre dieci anni, con risultati esiziali per la cultura industriale e per i conti pubblici. Ci volle Craxi per scardinarle  la scala mobile nel 1984 ( Amato la seppellì definitivamente nel 1992).
La Fiat ha sempre usato , nel suo rapporto con la Politica, il ricatto occupazionale, ottenendo aiuti di ogni tipo. All'epoca dello shock petrolifero (1973) , il superbollo per le auto diesel ebbe un aumento rilevantissimo TRANNE la 127 Fiat ! .
Poi le agevolazioni nell'assorbire i vari gruppi automobilistici italiani in crisi , come l'Alfa, che non fu venduta sul mercato ma semi regalata alla Fiat (sempre a patto ovviamente che venissero preservati i posti di lavoro ! ) . Non parliamo delle continue rottamazioni, favorite dagli incentivi statali (di cui fruivano anche i concorrenti ormai, cause le norme anti protezioniste europee, ma almeno il mercato auto tirava).
Fare impresa con sconti pagati da ALTRI, non è l'esatto esempio di liberalismo (non parliamo di liberismo !!). Era una cosa che denunciava ai tempi Einaudi (la Fiat non la nominava ma sospetto fortemente che fosse nei suoi pensieri ).
Io sarei felice che la nostra industria dell'auto fosse fiorente, ma così non è. Sicuramente sconta i peccati del nostro sistema paese. Però è colpevole di essersi sempre adagiata sul suo rapporto privilegiato con Stato e Finanza (Cuccia di MedioBanca è sempre stato un grande protettore degli Agnelli, pur imponendo loro ogni tanto  medicine amarissime, come Romiti al posto di Umberto come Amministratore Delegato ).
Di qui modelli spesso vecchi, in ritardo sull'evoluzione automobilistica, e nonostante l'eccellenza Ferrari .
La Fiat ha sempre puntato più su un'offerta ai ceti medio-bassi, contando sui bassi costi specie dei ricambi e dell'assistenza. Cose che nel tempo si sono livellate, mentre la qualità,  ( a prezzi a volte anche migliori), è rimasta per lo più altrove.
Oggi Marchionne annuncia la crisi del progetto Fabbrica Italia, e si alzano gli alti lai dei sindacati e l'invocazione dell'intervento del governo. Non so, vogliamo nazionalizzarla ?
Oppure, come sempre, si apparecchia il tavolo per la solita ammuina tra sindacati e impresa e alla fine la seconda riceve qualche forma di aiuto per mantenere gli impianti in Italia ?
Vedremo.
Bellissimo  l'articolo di Davide Giacalone sull'argomento


Capitalismo compassionevole


Tenere in Italia la produzione di auto è conveniente o meno? Se lo è, o lo può essere, Fiat faccia quello che crede, decida eventualmente di andarsene e il suo posto sarà preso da altri. Se non lo è allora non serve a nulla star a frignare fuori dalla porta di Sergio Marchionne, manco fosse il capo della protezione civile, giacché occorrerebbe rispondere a un duplice, ulteriore quesito: è conveniente pagare il differenziale di convenienza, sussidiando la permanenza? chi lo paga? Domande retoriche, perché la storia c’insegna che non è conveniente, le norme europee ce lo proibiscono e, comunque, non c’è un soldo da sprecare. 
 Invece di chiedere chiarezza alla Fiat il governo dovrebbe chiederla a sé stesso.
Che Marchionne intendesse sbaraccare a me pare chiaro da molto tempo. Fece di tutto per perdere il referendum indetto fra gli operai, in modo da avere un solido argomento per chiudere gli stabilimenti e salutare tutti. Solo che gli operai, a dispetto della Fiom, furono di parere opposto. Ma se gli operai si mostrarono realisti il mondo politico, l’insieme della classe dirigente italiana non lo è altrettanto, continuando a supporre che la permanenza o meno di Fiat in Italia dipenda solo da una decisione, se non da un capriccio di Marchionne e degli eredi Agnelli. Se così fosse, potremmo anche essere ottimisti, perché significherebbe limitare il dilemma alle loro bizze, invece non è così e la cosa riguarda molte altre imprese.
Vorrei riassumere. Competere nei mercati globali, o anche solo stare sul mercato è impossibile se: a. l’accesso al credito è negato, o praticato a tassi d’interesse nettamente superiori a quelli che pagano i concorrenti; b. l’onere burocratico è sproporzionatamente superiore; c. l’aggravio fiscale è irragionevolmente superiore; d. i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione esigibili (quando lo sono) in tempi imparagonabilmente superiori a quelli europei; e. i debiti verso la pa non solo sono immediatamente esecutivi, ma non assolvendoli si perde diritto al credito; f. l’accesso alla giustizia di fatto negato, visto che richiede tempi calcolabili in lustri; e. il sistema formativo estraneo a quello produttivo. 
In queste condizioni la desertificazione produttiva e lo sterminio aziendale è la sorte annunciata.
L’Italia può tornare a crescere, ma occorrono le condizioni: 1. fine di ogni assistenzialismo distorcente; 2. riduzione netta della spesa pubblica corrente; 3. parallela riduzione del carico erariale e adozione massiccia della fiscalità di vantaggio; 4. riduzione drastica delle funzioni svolte dall’amministrazione pubblica, concentrandosi sulla programmazione e sul controllo dei risultati; 5. smantellamento degli animali misti societari e uscita dell’amministrazione pubblica dall’affarismo; 6. cessione di funzioni e ricchezza al mercato, mediante esternalizzazioni; 7. vantaggi per investimenti e capitale di rischio in arrivo dall’estero.
Queste cose a chi le chiediamo, a Marchionne? O non sono forse i doveri del mondo politico, del legislatore e di chi governa? Detto questo, però, neanche Fiat ha tutte le carte in regola: la cattiva pratica delle sovvenzioni, la cattiva politica del sostegno indebito alle aziende, la cattiva condotta dei soldi pubblici spesi per reggere in piedi quelli privati, l’hanno, nel tempo, notevolmente arricchita e fatta crescere. Il punto, però, è che a un’azienda, per giunta oggi diretta da quelli che non l’amministravano allora, non può chiedersi né gratitudine né patriottismo, che sono sentimenti appartenenti ad altri ambiti della vita. Tocca a chi guida il Paese stabilire regole che già sono presenti in altri mercati europei. Ad esempio: decidi di chiudere? È questione che appartiene alla tua autonomia, nella quale il governo non deve minimamente entrare, ma se hai ricevuto agevolazioni per aprire e restare in piedi, nel momento in cui serri il cancello restituisci. Con quei soldi, fra le altre cose, si paga il costo sociale degli operai a spasso. Pensate ad Alcoa, fate il conto di quel che è costata in termini di energia elettrica scontata e provate a immaginare.
Fare la serenata a Marchionne non solo non serve a nulla, ma è vagamente patetico. Oltre tutto la moralità del mercato funziona in modo assai diverso: presupposto il rispetto delle leggi, dato che si tratta di società quotate in Borsa, l’amministratore risponde agli azionisti del valore creato o bruciato. Se rispondesse alle confraternite del consociativismo compassionevole otterrebbe esattamente quel che abbiamo: aziende che navigano alla grande in una tinozza, facendo fare ai manager la figura dei condottieri, salvo affondare appena toccano il mare. Siccome l’Italia è, grazie a loro, terra di molti imprenditori coraggiosi e seri, capaci di navigare i mari del mondo, fu un’offesa a loro fare della politica industriale una politica pro-Fiat ed è un’offesa a loro far credere che le scelte industriali dipendano dal cuore e dal dialetto, anziché dalla convenienza e dalla competizione.




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