martedì 11 settembre 2012

LO STATO ITALIANO COME UNO SKETCH COMICO. PECCATO CHE NON FACCIA RIDERE

La protesta in piazza della Repubblica (Benvegnù)

L'ILVA ha migliaia di lavoratori, è un'azienda strategica, attiva, però qualche giudice la vuole chiudere perché inquina. Questo giudice è stato per fortuna neutralizzato e si cerca più positivamente di abbassare i livelli di inquinamento e continuare a far produrre una delle poche imprese non in crisi.
In Sardegna invece si cercano di tenere in vita aziende che sembrano irrimediabilmente decotte, che gli imprenditori, preso atto dell'impossibilità di produrre utili ( che è il motivo per cui le imprese esistono, mentre il lavoro, i salari sono tutte cose positive che vengono come conseguenza ) , hanno deciso di chiudere.
E gli operai, disperati, manifestano. Difendono il loro lavoro. Il dramma di questo paese, che in questa epoca post industriale si sta acuendo, è proprio la carenza di lavoro. Ne soffrono paesi più organizzati del nostro, con legislature meno rigide (l'articolo 18 è una nostra prerogativa. Nessuno ci ha imitato. Ci sarà pure un motivo ...) , quindi figuriamoci. Da noi l'alleanza tra socialità cattolica e comunismo ha prodotto un'economia assistita, dove le imprese e lo Stato si scambiavano il posto di ricattatati e ricattatore. Da una parte uno stato assai poco liberale, molto spesso in campo non come arbitro ma proprio come giocatore, dall'altra le sovvenzioni, le rottamazioni, gli incentivi e , naturalmente, la cassa integrazione. Ammortizzatore sociale valido, nel caso l'Impresa possa documentare un  momento di verosimile temporanea difficoltà, ma che è diventato un parcheggio permanente di lavoratori che non sono così ufficialmente  disoccupati, che per la maggior parte non si cercano un nuovo lavoro confidando che recupereranno il loro, che non fanno nulla, né sono aiutati in questo, a riqualificarsi. Pietro Ichino , del PD, in questo senso ha indicato delle riforme che gli sono costate le minaccia di morte da parte delle nuove Brigate Rosse. Visto la sorte del povero Biagi, da non prendere alla leggera.
Tutto questo è stato sostenuto col debito, principalmente, e con un sempre crescente prelievo fiscale. Mai tenendo d'occhio l'unico valore prezioso, la produttività, la crescita, che hanno l'antipatico corollario di criteri come "merito", "efficienza", "produzione di utili".
Ora al debito non si può ulteriormente ricorrere, siamo chiamati, in 30 anni, a dimezzarlo (si tratta di quasi 1000 miliardi...mi viene in mente quello sketch del comico romano Battista "Papà mi servono dei soldi " "anche a me figlio mio, chi celi potrebbe dà ??" ) , quindi a ridurlo di almeno 30 miliardi l'anno mentre è vietato spendere più di quanto s'incassa....un incubo !!!
Ieri, come detto, gli operai sardi dell'Alcoa sono scesi a Roma per manifestare, ci sono stati incidenti. Quelli non sono No Global, Black Block , gentaglia del genere. Sono lavoratori, padri di famiglia, disperati all'idea che da gennaio non avranno più uno stipendio con cui mantenere la famiglia. E pensano che sia il Governo a dover rimediare. Com'è potuto accadere questo ? Come si è creata questa mentalità perdente ? Questa sfiducia totale nella possibilità di trovare un altro lavoro ? Com'è possibile che si possa solo prendere in considerazione l'idea di tenere in vita un'azienda che perde milioni di euro l'anno, dove è più economico pagare i sussidi ai lavoratori che farli lavorare ? E allo stesso tempo, visto che questo sistema assurdo è stato creato, come aiutare questa gente oggi che andare avanti non si può più ?
Ovvio che se il paese offrisse altre opportunità di lavoro, sarebbe giusto rispondere con fermezza a questi lavoratori e dire che nessuna costituzione assicura il posto di lavoro vicino casa, che per tutta la vita si farà solo un mestiere , che non ci si dovrà impegnare ad acquisire nuove e diverse abilità. Non vi preoccupate che avremmo manifestazioni e proteste ugualmente, ma almeno ci sarebbero anche delle RISPOSTE adeguate !. Ma così ??
L'Alcoa, come il Carbonsulcis sono solo la punta dell'iceberg, la situazione è brutta. Perché al di là dei numeri dello spread , degli andamenti della borsa, qui è l'economia REALE che agonizza, le imprese che non sono capaci di rinnovarsi, di trasformarsi, di offrire nuove opportunità di lavoro.
Allora, o ci inventiamo un mondo dove, sia che si lavori che no, lo STATO - DIO ci manterrà ( e si dovrebbe spiegare a quelli che lavorano perché lo devono fare mentre gli altri stanno a casa ) , oppure dobbiamo rimboccarci le maniche ed accettare che un'epoca è finita, che dobbiamo tornare un po' più padroni di noi stessi, accettare la rinuncia ad una serie di belle cose a cui ci eravamo abituati. Tra queste, che non è lo Stato che inventa il lavoro, che le retribuzioni non sono indipendenti dalla redditività dell'azienda, che 40 ore di lavoro settimanali ad un certo stipendio non sono scritte sulle tavole della legge di Mosè , che il Fisco deve essere utilizzato per poche, fondamentali cose, e le altre, se le vogliamo, dobbiamo pagarcele da soli.
Infine, che se vogliamo di più, dobbiamo ingegnarci per avere più lavoro e quindi più guadagno. Che non ci sarà lo Stato a darci, con la redistribuzione, il benessere che ci piace ma che non ci siamo guadagnati.
Tolti gli "ultimi", i deboli, i poveri, per i quali sempre dovranno essere mantenuti strumenti di solidarietà (più efficienti di quelli attuali, per evitare sprechi, furti e abusi ) , gli altri dovranno pensare a sé, con meno prelievi fiscali (che lo stato avrà meno bisogno di soldi) ma anche servizi non più gratuiti o quasi. E se guadagnerò 10, sufficiente per vivere ma con il benessere a quota 20, non mi aspetterò che sia lo Stato, attraverso varie provvidenze, a regalarmi i 10 che mi mancano. Se riuscirò, cercherò di lavorare di più e avere quel 20, non chiedendo che sia tolto a chi , col proprio lavoro, guadagna 30...
VASTO PROGRAMMA

Questa la cronaca degli eventi di ieri a Roma


LA CRISI DELL'ALLUMINIO - SCHIERATI UN MIGLIAIO DI AGENTI. SPINTONATO FASSINA (PD)

Stefano Fassina (Pd), aggredito da manifestanti dell'Alcoa (Ansa)

Slitterà, rispetto al termine previsto inizialmente dall'azienda (il primo novembre invece dell’8 ottobre) la procedura di spegnimento dell'impianto Alcoa di Portovesme. Questa la decisione raggiunta al termine del tavolo che si è tenuto al ministero dello Sviluppo economico e che si è protratto per tutta la giornata, convocato per decidere le sorti dell'impianto sardo. Venti giorni in più, che dovrebbero servire per portare a compimento trattative fino ad oggi inconcludenti. Nel verbale stilato al termine dell'incontro, il dicastero guidato da Corrado Passera sollecita i soggetti che hanno manifestato interesse per l'acquisizione dell'impianto ad avviare in tempi rapidi le negoziazioni con Alcoa: è prevista la convocazione «a breve» delle multinazionali Klesch e Glencore «per verificare lo stato di avanzamento della trattativa per fornire adeguata assistenza per il superamento di eventuali ostacoli e difficoltà». L'azienda ha sottolineato in una nota che l'impianto sarà «definitivamente chiuso entro il 30 novembre».

«NON CE NE ANDIAMO» - Decisioni insufficienti, hanno protestato gli operai (circa 600, per tutto il giorno, ridotti a un centinaio a fine giornata) che hanno urlato: «Tornate dentro, noi da qui non ce ne andiamo», ai delegati sindacali scesi in piazza a Roma a comunicare i risultati ottenuti. Negativo anche il giudizio del segretario generale della Cgil sarda Enzo Costa, che ha partecipato all'incontro del pomeriggio e secondo cui «l'esito dell'incontro di oggi al ministero conferma la scarsa attenzione che Governo e Regione riservano al nostro apparato industriale». «A questo punto - dice Costa - è urgente spostare il confronto a Palazzo Chigi per affrontare l'intera emergenza Sardegna». 
LA GIORNATA - Una giornata di tensione e trattative, vissuta fuori e dentro al ministero dello Sviluppo economico: il tavolo sulla vertenza Alcoa sin dalla mattina ha concentrato tutta l'attenzione, blindando Roma. Dentro al dicastero esponenti dell'esecutivo, azienda, enti locali e sindacati; nelle strade di fronte al ministero centinaia di lavoratori sardi in protesta, con operai disperati che hanno manifestato il loro disagio anche con lanci di bombe carta e scontrandosi con le forze dell'ordine. E non sono mancati i feriti. 
LE DECISIONI - Tra i «punti qualificanti emersi» nel corso del tavolo su Alcoa, spiega una nota del ministero, l'«adozione di tecniche in grado di consentire una rapida ripartenza dello smelter; cassa integrazione in deroga per i lavoratori dell'indotto; incontro di approfondimento sul «Piano Sulcis» entro settembre. Alla riunione, presieduta dal sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti e alla presenza del ministro Passera, hanno preso parte il viceministro al Welfare Michel Martone, il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci, il presidente della provincia del Sulcis Iglesiente Salvatore Cherchi, i massimi esponenti della multinazionale dell'alluminio e i rappresentanti sindacali a livello nazionale, regionale e aziendale.
«Alcoa è uno dei casi aziendali che seguo più da vicino. Vi garantisco il mio impegno personale diretto a trovare una soluzione», ha detto il ministro Passera, chiedendo poi ai presenti un impegno «anche sul piano Sulcis per ricercare anche altre occasioni di sviluppo sostenibile per il territorio». 

I MANIFESTANTI - Mentre governo e parti sociali cercavano una difficile mediazione, i manifestanti, per strada, hanno fatto esplodere potenti petardi e bombe carta, lanciato dischetti di alluminio, simbolo della protesta e del lavoro in fonderia, mentre la polizia schierava furgoncini e automezzi. Diversi i tentativi di sfondare i cordoni delle forze dell'ordine, oltre a falò di rifiuti e lanci di caschi. Il bilancio è alla fine di 20 feriti e contusi, 14 dei quali appartenenti alle forze dell'ordine. In serata, poi, i lavoratori hanno deciso di continuare la mobilitazione in Sardegna. Il ministro Passera aveva riportato nel pomeriggio un po' di speranza sulla vicenda, dicendo di «non aver mai pensato che quello di Portovesme fosse un caso impossibile». Anche se, ha ammesso, «rappresenta uno dei casi più difficili che abbiamo al ministero dello Sviluppo economico».
LE TRATTATIVE - Le trattative sono sembrate per tutto il giorno in alto mare: nonostante la manifestazione di interesse dell'azienda svizzera Klesch, Alcoa ha dichiarato di «non aver ricevuto ancora alcuna manifestazione di interesse "percorribile" per la cessione dello stabilimento sardo di produzione dell'alluminio a Portovesme», ma di essere stata contattata da diversi soggetti e di essere aperta a trattare per trovare una soluzione. Il tutto mentre si ragionava sul rallentamento della procedura di spegnimento dello stabilimento e l'Enel si diceva pronta ad ascoltare proposte sulla riduzione del costo dell'energia.
  
Stefano Fassina contestato«SPINTONATO FASSINA» - Stefano Fassina, responsabile per l'economia e il lavoro del Pd, è stato spintonato. Alcuni operai si sono avvicinati gridando «bastardi ci avete deluso». Dopo le contestazioni, Fassina ha minimizzato l'episodio ai microfoni di Tgcom24: «È un momento difficile, quindi è comprensibile che si arrivi a momenti così concitati - ha detto -. Mi dicono che chi ha preso la guida di quell'offensiva non fa parte dell'azienda ed è stato segnalato alle forze dell'ordine. Il nostro rapporto coi lavoratori è antico, non enfatizzerei questo punto». Tanti messaggi di solidarietà a Fassina, ma anche tanti attacchi e insulti sul web.
La polizia blocca l'accesso al ministero 
PRESIDIO - Alla manifestazione, guidata dalle delegazioni di Cgil, Cisl e Uil e con i gonfaloni di alcune amministrazioni comunali e provinciali, hanno partecipato anche i tre operai che sono stati asserragliati per giorni sul silos dell'Alcoa a 66 metri d'altezza nello stabilimento di Portovesme. Con loro, 23 sindaci dei maggiori centri del Sulcis-Iglesiente, fra cui Carbonia. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero (oggetto di pesanti slogan e critiche), da Torino, ha sottolineato: «Noi siamo vicini ai lavoratori dell'Alcoa e ci sentiamo di spiegare loro lo sforzo che il governo sta facendo per cercare di tenere in piedi quei posti di lavoro, ma devono essere sostenibili economicamente, cioè non possono essere tenuti in piedi così. Non ci preoccupa la manifestazione, ci preoccupa tutto il problema dell'Alcoa».
  
«SITUAZIONE DIFFICILE» - Per il leader della Cisl Raffaele Bonanni si tratta di una situazione difficile da risolvere: «Una situazione così difficile va risolta perchè non siamo disposti a desertificare un territorio già così povero». «Bisogna praticare prezzi più bassi - ha aggiunto - e rassicurare l'Europa con un progetto di energia pulita» ha concluso. Secondo il presidente di Sel, Nichi Vendola, invece «la vicenda Alcoa e il dramma che stanno vivendo da troppo tempo centinaia di lavoratori e le loro famiglie è la cartina di tornasole dell'incapacità che ha avuto la politica del centrodestra in questi anni, e anche l'attuale governo, nel porre in atto politiche concrete di sviluppo e per il lavoro».


(Benvegnù)

2 commenti:

  1. Rafael Marin

    Come al solito ... ottimo analisi. Sono le stesse cose che pensavo io leggendo le notizie ma la tua capacità di esporla è di una chiarezza e linealità eccelenti.

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  2. Tutto giusto e condivisibile, soprattutto per le responsabilità dei sindacati (e lo dice un ex sindacalista che si è sempre battuto per l'abolizione dell'art.18 se pur nella difesa di quei meritevoli ingiustamente colpiti per posizioni non sottomesse alla dirigenza, a cominciare da se stesso). Manca, secondo me, tutta la parte relativa all'enorme furto di stato e privato che in Italia si perpetra in dimensioni talmente enormi da sembrare una farsa, tragica purtroppo. Oltre a suggerire, giustamente, di non desiderare i 30 meritevolmente guadagnati, se momentaneamente ci si deve accontentare di 10, sarebbe bene censurare i 1000, 10.000, i milioni rubati quotidianamente da cittadini pubblici e privati con tragica spudoratezza. E poi, sì il profitto è lo scopo primo di un azienda ma deve essere redistribuito in modo equo e in parte reinvestito per creare altro profitto ma anche altro lavoro, maggior benessere per chi si è impegnato e ha lavorato bene e non deve finire nelle banche dei paradisi fiscali o negli yochts battenti bandiera panamense. Non tutti gli imprenditori privati si comportano così, ma molti si. Le responsabilità di un simile disastro, non soltanto economico ma soprattutto morale sono di tutti e, poichè "il pesce puzza dalla testa..." UNCLE

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