Io sono maschilista, il Camerlengo no. Vale a dire che quando scrivo dico quello che penso, mettendo a tacere la "pancia" che risente di un'educazione millenaria, dell'inconscio collettivo (copyright Carl Gustav Jung ) che 40 anni scarsi di emancipazione femminile possono avere appena scalfito.
Però la "ragione" è altra cosa, e sono tanti i post del blog dedicati alla condanna della violenza maschile sulle donne, di qualunque tipo sia.
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/perche-gli-uomini-uccidono-le-donne-2.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/perche-gli-uomini-uccidono-le-donne-1.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2011/11/cari-colleghi-maschi-in-calore-no-vuol.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/05/uno-stupro-al-giorno-beirut-no-milano.html
http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/03/signora-dacci-oggi-la-nostra-vittima.html
E ce ne sono altri. Basta che andate sull' archivio del blog e digitiate le parole : Donna e Violenza.
Stavolta però la cronaca ci racconta della violenza al femminile ( e secondo me è significativo che per perpetrarla la donna abbia comunque richiesto l'aiuto di un uomo. Forse questo ci dice qualcosa di più e di diverso sulla rarità del ricorso del mondo femminile alla violenza...).
Lei è una studentessa, di Brescia, 20enne, che attraversa un annus horribilis (oddio, ne conosco diverse/i in questo 2012, bisesto come pochi !!!) : il padre viene a mancare, la madre è malata e il fidanzato la molla in cinta dicendo che il figlio non è il suo (manco tanto originale, però non infrequentemente è pure vero. Ricordate la storia di questa estate , in Sicilia, quando si presentarono in TRE a rivendicare la paternità del nascituro ? ). Insomma, si può capire uno stato di esasperazione. Che però non porta ad una scenata, una piazzata magari anche in pubblico, nel bar dove lavora lui che so. E poi il riconoscimento di paternità, le avrebbe potuto spiegare anche un neo laureato, è un'azione giudiziaria prevista, con tanto di determinazione degli obblighi paterni. Quello che non si può ottenere, ed evidentemente vale per gli uomini ma anche per le donne, è che qualcuno ci AMI (continui ad amarci), solo perché lo vogliamo.
Questa idea nevrotica non solo molti se la portano dentro, ma spesso se la vedono avallata dagli altri.
Il commento dell'avvocato difensore della ragazza pare sia stato questo : E' pentita ( meno male ) , non voleva arrivare a tanto (però l'acido tocca procurarselo e che serva a sfigurare si sa ) e "soprattutto (soprattutto ???????) era innamorata di lui " Ahhhhh, allora.....sarà un'attenuante per caso ???
Lui ha perso un occhio, rischia seriamente di rimanere cieco, però lei lo amava.
Avrebbe mai avuto il coraggio di dire una frase così demenziale l'avvocato della ragazza se il suo cliente fosse stato un uomo ?
Ovviamente no, se voleva tornare sano a casa e non voleva trovarsi incendiata l'auto sotto casa.
Ecco la cronaca riportata dal Corriere on line
La studentessa e l'acido lanciato al fidanzato
«Non voleva nostro
figlio. Dovevo lasciargli un segno»
BRESCIA - Dice che
William la maltrattava, che non voleva riconoscere il figlio, che la tradiva
ripetutamente e che era esasperata dall'anno più nero della sua vita, con suo
padre venuto a mancare a marzo, sua madre malata, il convivente fuggito di casa
e la creatura che sta per nascere. Per queste ragioni la ventunenne Elena,
bresciana di Travagliato, commessa e studentessa universitaria di economia e
prima liceale dell'Arnaldo, il classico della Brescia bene, ha deciso di
rivolgersi a lui: Dario, 44 anni, disoccupato, culturista, ultrà del Brescia
colpito da Daspo (divieto di entrare allo stadio) dopo aver menato 4 tifosi del
Pescara, testa rasata e, giusto perché non ci fossero altri dubbi, un tatuaggio
della X Mas sul collo.
«Grossissimo, un
bestione», taglia corto il capitano Egidio Lardo, comandante dei carabinieri di
Chiari che l'ha visto, interrogato e arrestato. E con Dario, che da tempo ha un
debole per lei, Elena ha deciso la tremenda punizione di William, 26 anni,
barista della vicina Azzano Mella, suo fidanzato e convivente per circa un anno
e mezzo e da luglio fermamente deciso a troncare il rapporto. «L'acido l'ho
comprato io qualche giorno prima al supermercato... per dargli una lezione che
lasciasse il segno... William diceva di non essere il padre del bimbo e di non
volerlo riconoscere», ha confessato lei davanti agli inquirenti dopo qualche
tentennamento.
Succede tutto
mercoledì scorso, 40 minuti circa dopo la mezzanotte. I due attendono William a
Travagliato, sotto casa di un'amica che in questo periodo lo stava ospitando.
Anche Elena infila il passamontagna, forse stabilendo un primato per una donna
con il pancione. Il barista scende dalla macchina, fa pochi passi, e il
«bestione» lo colpisce da dietro, alla nuca, mettendolo a terra. Insieme lo
cospargono di acido e scappano con la macchina di lui.
Sfigurato, la
vendetta è compiuta. William urla come un ossesso, si strappa i vestiti di
dosso, cerca come può di raggiungere l'appartamento dell'amica. Ce la fa, corre
a lavarsi il viso e, prima di perdere i sensi, riesce a dire qualcosa: «Mi
hanno colpito da dietro con un bastone o una spranga». Era la mano di Dario. Il
barista finisce in rianimazione a Brescia, dove la prognosi è riservata e le
previsioni sul suo futuro nere: ha perso un occhio, l'altro è a rischio, le
ustioni coprono il 30 per cento del corpo e sono così profonde da far scuotere
la testa ai medici. Ma anche Elena va all'ospedale e non per il nascituro.
L'acido le ha bruciato un avambraccio ed è lì a curarsi, piantonata dai
carabinieri, in attesa di essere dimessa e portata dai nonni perché così ha
deciso il gip: è incinta, arresti domiciliari.
La loro fuga non è
durata neppure un giorno. Giusto il tempo di mettere insieme qualche tassello:
portare lei in caserma, cercare lui, Dario il culturista, prenderlo mentre
cerca di scappare dalla finestra, trovare una maglietta bucata e bruciata per
via degli schizzi d'acido e metterli uno vicino all'altro. «Non ce la facevo
più, volevo dargli una lezione», ha sospirato lei. «Ho voluto aiutarla perché
non sopporto queste cose», ha detto lui.
C'è da chiedersi
come potessero pensare di cavarsela dopo aver lasciato tante tracce del loro
folle piano. Il giorno prima a quello dell'agguato, per esempio, si erano
scambiati alcuni sms del seguente tenore. Lui: «Mi sento dalla parte della
ragione, lo devo a tuo figlio... nessuna guerra, solo giustizia». Ed Elena, che
capisce il rischio: «Ovviamente specifica che stai parlando della festa che
devi fare al bambino quando nasce... sembra che parli di chissà cosa». Ma poi
c'è la confidenza di lei all'amico Daniele. «Sì, Elena me l'aveva detto che
voleva punirlo».
Insomma, per il gip
di Brescia, Luciano Ambrosoli, è abbastanza per provare le lesioni gravissime:
«Hanno dimostrato una straordinaria e protratta determinazione criminale,
clamorosa pericolosità e disposizione violenta», scrive il giudice nelle
quattro pagine di ordinanza. Risultato: Dario in cella, Elena in ospedale e poi
dai nonni. Alla fine, davanti agli inquirenti, lei si è messa a piangere. «Ha
parlato di maltrattamenti e di violenza anche psicologica ma è distrutta e
pentita - assicura il suo avvocato, Laura Schiffo - perché non voleva arrivare
a tanto. E, soprattutto, era innamorata di lui».
Nessun commento:
Posta un commento