Iniziai il liceo classico che era la metà degli anni 70...All'Augusto, scuola pubblica di buona periferia della via Appia, non lontano dalle porte di San Giovanni, imperava il Movimento, che contestava i Decreti Malfatti, che introducevano i delegati di classe, una "democratizzazione" della scuola, con i consigli di classe composti dai docenti ma anche con due rappresentanti dei genitori e due della classe...Troppa rappresentatività e poca democrazia diretta per gli "autonomi", spregiativamente definiti "gruppettari". La scuola era "rossa", ancorché non combattiva come altre più famose a Roma da questo punto di vista...E poi davanti c'era la sezione del Fronte della Gioventù di via Noto. I "fasci".....
Quei ragazzi si picchiavano, ogni tanto, per lo più si guardavano in cagnesco. Qualche rarissima sassaiola approfittando dei piccoli san pietrini che si trovavano lungo i binari del tram, che allora percorreva via Appia... Facendo una sorta di censimento, al Liceo Augusto nel quinquennio che comprese le prime occupazioni scolastiche, il Movimento del '77, e soprattutto il rapimento Moro e l'inizio degli anni di Piombo, il 70% se ne fregava della politica anche se, la metà circa, si diceva comunque più o meno "di sinistra". Del restante 30, politicamente "impegnato" , un 15% erano i gruppettari, quelli duri e puri, un 10% della Fgci (i giovani comunisti del PCI ), un 5% tra radicali (allora più di moda, con divorzio e aborto ), fascisti e gli insorgenti ciellini. Poi c'era UN, nel senso di UNO, LIBERALE.
Ero io.
Devo dire che nessuno mi diede mai fastidio. Ero considerato uno stravagante, che diceva cose strane ma innocue. Lo scontro vero non era poi nemmeno coi "fascisti", che pure c'era, ma tra LORO, gli "autonomi" e i "figgiciotti" .
Sono passati quasi 40 anni, stanno ancora lì a litigare.
Mi sono venute in mente queste cose leggendo l'articolo di Aldo Canovari, sul Foglio, che risaliva alla fine degli anni 50 per ricordare come i concetti di libertà individuale, di liberalismo, liberismo, fossero parole ormai desuete se non nemiche, mentre prendeva definitivamente il sopravvento la cultura marxista, l'annientamento dell'egoismo capitalista, dell'individualismo, anche del merito, a favore della collettivizzazione, l'egualitarismo di massa.
Alla fine degli anni 80 c'era stato una sorta di risveglio liberale che, almeno a livello ideale - molto meno su quello concreto - è durato fino all'inizio di questa eterna crisi economico-finanziaria.
Da allora, e in crescendo, sono tornate le critiche al mercato e la domanda di "politica industriale", che tradotto è la richiesta di uno stato provvidenziale e protettore anche al costo di renderlo un po' padrone.
So poco di questo autore che ho iniziato a leggere, però quel poco non mi dispiace affatto. Ama i libri, tanto da aver fondato una piccola casa editrice, LIBERILIBRI, con la quale cerca di diffondere testi classici del pensiero liberale al di fuori degli autori più conosciuti. E' consapevole che da noi, in questo , c'è un ritardo culturale profondo, originato dalla storia dal nostro paese che grazie alla tradizione cattolica ha visto il facile affermarsi di filosofie massificanti - e quindi nel ventesimo secolo anche quella comunista - piuttosto che centrate sull'individuo , la sua libertà, il diritto inviolabile della stessa.
Lodevolmente Canovari, come altri, cerca di contribuire alla diffusione di un messaggio diverso.
Buona Lettura
Esattamente 56 anni fa a Princeton, New Jersey, patrocinato
dalla Fondazione per gli studi americani, si tenne un “Simposio
sull’individualità e sulla personalità”. Vi parteciparono, fra gli altri,
filosofi, scrittori, sociologi, economisti del calibro di John Dos Passos,
Helmut Schoeck, Milton Friedman, Friedrich von Hayek, i quali, facendosi
portavoce di tante persone comuni, denunciarono la montante minaccia che
dottrine filosofico-politiche paladine del collettivismo, dell’egualitarismo,
dello statalismo, rappresentavano per la libertà del cittadino-individuo.
Insomma, allora come oggi, si avvertiva la necessità di
riattrezzarsi culturalmente, di fornire “cartucce intellettuali”, per dirla con
Marco Valerio Lo Prete, a quella parte della società non asservita ai dogmi
socialoidi che invocano diritti senza doveri e che confondono ogni desiderio
con il diritto a vederlo realizzato per mano dello stato, e a spese degli
altri. In quegli anni, come notava Dos Passos, le stesse parole
“individualità”, “individuo”, “individualismo” erano parole sospette e caricate
di riprovazione sul piano politico ed etico.
L’autonomia individuale appariva un lusso che ci si poteva concedere
solo dopo che si fossero soddisfatte esigenze “sociali” decretate da sinedri
pubblici, dai saggi guardiani della Repubblica. Ed anche oggi è così. Il
fertile dibattito si tradusse in un piccolo ma denso volume: “Essays On
Individuality” che contribuì ad avviare quel giro di boa culturale grazie al
quale l’occidente gettò finalmente in discarica le fallimentari costruzioni
social-comuniste cercando di recuperare i valori centrali della sua storia: il
primato della persona umana sul Leviatano, la libertà dell’individuo. Questo
percorso di libertà, oggi, a causa soprattutto della crisi finanziaria esplosa
nel 2007-2008, sembra essersi arrestato. E sono riemerse superstizioni che parevano
definitivamente cancellate. Oggi, tornano a prevalere dottrine che demonizzando
l’individuo, affermano che da esso derivino tutti i mali e che tutti i mali
possono essere risolti dallo stato e dai suoi apparati. Il recente “The quest
for change and renewal” di Tim Morgan, nel mettere a fuoco questo naufragio
culturale, per molti aspetti simile a quello degli anni 50, può efficacemente
fare da innesco a una iniziativa simile a quella di Princeton del 1956.
Chiamare dunque a raccolta studiosi e intellettuali di vari discipline
affinché, come avvenne allora, possano contribuire a leggere meglio la deriva
che affligge nuovamente la società occidentale: l’abbandono della centralità
dell’individuo a favore di un ritorno alle mitologie del collettivo, la regressione
del cittadino alla condizione minorile di tutoraggio da parte dei governi.
Di qui, l’implausibilità oggi di una riproposizione di
ricette egualitarie, redistribuzioniste, statalistiche , “provvidenziali” come
risposta ai gravi problemi che ci affliggono (vedi l’infantile affannosa
ricerca del “Pagatore di ultima istanza” per i nostri debiti!). Concordo con
Tim Morgan, che la questione, prima che tecnico-politica, è culturale. Essa
ripropone il perenne dibattito filosofico: egualitarismo/elitismo;
individuo/comunità; competizione/solidarismo; stato minimo/stato provvidenza;
libero mercato/mercato protetto…, in altre parole due diverse e opposte visioni
del mondo. E malgrado la nostra sia un’epoca in cui, per un malinteso buonismo
o per pura codardia, si vuol conciliare qualsiasi cosa con il suo contrario,
esse restano due realtà mentali antitetiche e incompatibili.
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