La parola LIBERTARIO suona bene, come tutte quelle associabili a quella di LIBERTA'. Francamente non so come possa essere piaciuta (ad alcuni piaccia ancora) quella di COMUNISTA. Anche socialista non mi attira, però decisamente meglio : sarà un caso che al suono più o meno armonioso delle parole corrisponda una filosofia altrettanto attendibile ? Vabbé, sto celiando.
Ma cosa definisce il soggetto libertario ? Liberale, più o meno, si sa. Una persona che mette al centro l'individuo, la sua libertà, personale ed economica, la tutela di essa dai possibili soprusi degli altri, singoli o collettività che siano. Lo Stato di Diritto nasce per questa tutela. La Legge, il Diritto, come argine al potere arbitrario, all'epoca quello del Monarca. Lo stabilire delle norme, poche, che regolino la convivenza degli individui, in modo che la prepotenza di nessuno possa ledere la libertà altrui. Lo Stato Sociale è altra cosa.
Si suggerisce che il giusto equilibrio vada trovato tra i due modelli, ed è quello che si è provato a fare, con risultati come dire....alterni.
Ma i LIBERTARI in che si differiscono dai liberali ? Questa è la domanda che mi sono posto e la risposta che , in estrema sintesi, mi sono dato, è che se per i liberali lo Stato deve occuparsi di poche cose, per i Libertari dovrebbe , idealmente, proprio NON esserci. E quindi, se quello è il SOGNO, ovviamente se lo Stato Liberale è ridotto, quello Libertario , se proprio deve esserci, non può che ridursi al minimo !
La questione , nel dibattito in rete, si è proposta poi per i grillini, che secondo alcuni . Gilberto Oneto tra questi, sarebbero in fondo dei Libertari più o meno inconsapevoli.
Nel negare questa cosa ho trovato in rete, postato dall'amico Ugo Calo', nel bel gruppo "Critica Liberale", un ritratto (l'autore purtroppo non lo ricordo...me ne scuso), dell' individuo Libertario che mi sembra costituire un buon compendio, proponibile come tentativo di esemplificazione, da sottoporre però al vaglio di amici senz'altro più esperti , Giacomo Zucco in primis.
Buona Lettura
In un recente articolo, Gilberto Oneto ha
affermato che i grillini “sono il prodotto della parte migliore della società
padana, quella libertaria” ma che difettano di “localismo”. Da un lato, le due
affermazioni sono in contraddizione l’una con l’altra: se per “localismo” si
intende la difesa del principio dell’autodeterminazione, chi difetta di
localismo per definizione non può essere un libertario. Tuttavia, a parte il
riferimento al localismo (che è il punto centrale dell’articolo di Oneto), e
più in generale, è proprio l’affermazione che i grillini sarebbero dei
libertari che, dal mio punto di vista, è francamente insostenibile. Il M5S non
è meno lontano dal (e meno incompatibili col) libertarismo di quanto lo sono
SEL, il PD, l’IDV, il PDL, la Lega Nord, i radicali e qualunque altro partito
politico presente in parlamento.
Lungi da me voler dare una lezione di libertarismo a Oneto
(sia perché non ne ha certo bisogno sia perché io non ne sarei capace); ma non
è possibile trascurare il fatto che il libertarismo, in qualunque sua forma,
intende con la parola “legge” un concetto, non diverso, ma opposto a quello che
è stato imposto dalla nostra costituzione (quella venerata al primo punto del
programma del M5S). Per il libertarismo, la legge (comunque la si intenda) è il
principio astratto e generale (il limite al potere); per la nostra
costituzione, viceversa, la ‘legge’ è il provvedimento particolare (lo
strumento di potere). Da questa opposizione fra l’idea di legge del
libertarismo e quella che è imposta dalla nostra costituzione (e accolta da
tutti i partiti incluso il M5S) derivano a cascata altre opposizioni fra le
rispettive idee di uguaglianza davanti alla legge, di certezza della legge, di
democrazia, di libertà, di ordine economico.
Per ragioni di spazio non è possibile nemmeno accennare a
tutte queste opposizioni, ma forse vale la pena accennare brevemente a quella
in relazione al concetto di democrazia perché è quello a cui, come ha scritto
Oneto nel suo articolo, fanno maggiormente riferimento i grillini nella loro
comunicazione politica.
I grillini sottolineano la differenza fra la ‘democrazia’
per come essa sarebbe intesa nella costituzione italiana e il sistema politico
attuale (la cosiddetta ‘partitocrazia’). Pur ammettendo che questa differenza
esista, essa dal punto di vista libertario è del tutto irrilevante, come lo è
quella fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Per il libertario,
infatti, il problema non è chi detiene il potere politico ma quali sono i
limiti a questo potere, chiunque lo detenga (il parlamento, i cittadini, un
dittatore, i partiti, eccetera). In altre parole, per il libertario una
situazione in cui la sovranità è del parlamento oppure del ‘popolo’ è una
situazione totalitaria: si ha libertà solo laddove la sovranità è della legge
intesa come principio, la quale è indipendente dalla volontà di qualunque
maggioranza e istituzione (anche da quelle che eventualmente la devono
scoprire, custodire e difendere). Per come essa è intesa dalla nostra
costituzione e, almeno a parole, dai partiti tutti (incluso il M5S), la
‘democrazia’ è quel sistema politico basato sulla regola della maggioranza (per
esempio rappresentativa, oppure dei cittadini). In base a questa idea, ciò che
qualifica una decisione come ‘democratica’ non è il suo contenuto ma bensì il
suo involucro: il fatto che sia stata presa a maggioranza secondo le procedure
burocratiche legalmente stabilite. Inoltre, in base a questa idea, la
democrazia viene vista come un fine che è bene in sé stesso (si veda appunto la
comunicazione politica del M5S, per esempio), per cui più ce ne è e meglio è.
Questo significa che se una maggioranza decide legalmente l’etnicità del cibo
che i cittadini possono o non possono vendere, allora questa decisione è
‘democratica’.
Viceversa, per i libertari, comunque la pensino, le
decisioni prese a maggioranza sono un male, non un bene, in quanto implicano
coercizione di alcuni su altri, e per questo esse devono essere ridotte il più
possibile: meno ce ne sono e meglio è. Soprattutto, per i libertari che non
escludono a priori la possibilità stessa delle decisioni prese a maggioranza,
queste devono essere limitate dalla legge intesa come principio, la quale è
indipendente dalla volontà della maggioranza (anche qualificata, anche dei cittadini)
allo stesso modo in cui lo sono le regole della lingua italiana. Per i
libertari (più precisamente, per coloro fra di essi che non escludono a priori
il ricorso allo Stato), la democrazia non è quindi quel sistema politico basato
sulla regola della maggioranza ma quel sistema politico basato:
a) sul ricorso minimo possibile a questa regola (cioè su un
ricorso a questa regola che sia compatibile con lo stato minimo, per come
coerentemente lo si intende);
b) sulla subordinazione delle decisioni prese a maggioranza
alla legge intesa come principio generale e astratto (cioè sulla separazione
fra potere politico e potere legislativo, che oggi sono confusi l’uno con
l’altro e riuniti nella stessa istituzione: il parlamento).
Quindi per i libertari se una maggioranza decide legalmente
l’etnicità del cibo che i cittadini possono o non possono vendere, allora
questa decisione è antidemocratica:
a) perché implica un intervento dello Stato al di fuori dei
confini dello Stato minimo;
b) perché viola la legge intesa come principio astratto.
Inoltre, per i libertari (intendo sempre la frazione di essi
che non esclude a priori il ricorso allo Stato) la democrazia è solo un mezzo
(uno dei tanti possibili: il più costoso anche se a volte il meno rischioso),
non un fine (come lo è per i grillini per esempio): il fine è quello della
legge intesa come principio (e quindi i concetti necessariamente ed
esclusivamente ad essa associati di uguaglianza davanti alla legge, certezza
della legge, libertà, ordine economico). L’idea di ‘democrazia’ dei grillini è
solo una delle tante strade che si possono prendere per dimostrare
l’incompatibilità fra loro e la parte più ‘moderata’ del libertarismo, cioè fra
loro e la sovranità della legge.
Nel suo articolo Oneto appare piuttosto confortato dal fatto
che i grillini siano persone perbene ed esprime fiducia nel fatto che la famosa
massima di Lord Acton secondo la quale “il potere corrompe, il potere assoluto
corrompe assolutamente” a essi non si applicherà. Io non metto minimamente in
dubbio il loro essere persone perbene, ma non credo affatto che l’essere
persone perbene sia necessariamente incompatibile con la corruzione, anzi.
Ritengo infatti che, quando l’idea di legge e quindi di democrazia è quella
imposta dalla costituzione italiana (cioè quella a cui aderisce il M5S), spesso
l’essere persone perbene sia non solo compatibile con la corruzione ma possa
essere addirittura un acceleratore in questo senso. Quando Acton ha formulato
quella massima non si riferiva infatti solo alla corruzione per come essa è
comunemente e riduttivamente intesa oggi (la mazzetta) ma più in generale
all’uso del potere politico in funzione di interessi (per esempio ‘del paese’,
per come esso può essere arbitrariamente definito).
Ammettiamo che Vattalapesca, persona perbene, ritiene che i
giornali siano importanti per il paese e, nel momento in cui arriva in una
posizione di potere, essendo incapace di concepire l’ordine spontaneo
dell’economia di mercato, decide di promuovere la coercizione statale (per
esempio sotto forma di tassazione legalmente istituita) per finanziare i
giornali. Nel momento in cui fa questo, Vattalapesca viene corrotta dal potere:
non perché ha preso una mazzetta dagli editori di giornali (ipotizziamo che non
lo abbia fatto e che non lo farebbe mai) ma perché ha usato o promosso il
potere statale per fare quello che lei arbitrariamente ritiene essere il
‘bene’. In una società libera (e quindi dove c’è la sovranità della legge) lo
Stato non deve fare il ‘bene’ (a questo ci pensa il mercato libero, senza
ricorso alla coercizione): in primo luogo perché il ‘bene’ è necessariamente
arbitrario e in secondo luogo perché non c’è limite alle cose soggettivamente
ritenute essere belle e/o importanti che nel breve periodo (prima che le conseguenze
sistemiche ed economiche si facciano sentire) possono essere finanziate con le
tasse (e quindi non c’è limite alla coercizione).
In una società libera lo Stato deve eventualmente limitarsi
ad arginare il male che non è arbitrariamente definito e, in particolare, a
difendere la sovranità della legge intesa come principio. Vattalapesca non è
capace di capire che la stessa azione che è ‘buona’ quando viene fatta
privatamente dall’individuo diventa necessariamente ‘cattiva’ quando viene
fatta dallo Stato (che ricorre alla coercizione per compierla). Il fatto che
Vattalapesca sia una persona perbene può fungere da acceleratore a questa
corruzione nel senso che può renderla più motivata nel raggiungimento del suo
obiettivo e sinceramente convinta di star facendo qualcosa di buono.
Per limitare la corruzione non servono solo persone perbene,
serve anche e anzi soprattutto e prima di tutto un’idea di legge opposta a
quella imposta dalla nostra costituzione e condivisa dai partiti tutti (incluso
il M5S): un’idea di legge in base alla quale questa è il limite al potere
arbitrario (il principio generale e astratto), non il suo strumento (il
provvedimento particolare).
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