mercoledì 28 novembre 2012

CASO ILVA E GIUDICE : LA CURA CHE SI RIVELA PEGGIORE DEL MALE DA COMBATTERE


Nel maltempo che sta affliggendo l'Italia in questi giorni, su Taranto e l'ILVA sembra quasi esserci un accanimento biblico, come se veramente quella sfortunata città sia stata dimenticata da Dio, o punita per non so quali colpe.
In realtà nel fitto intreccio di reciproche colpe e responsabilità che sembrano emergere e dove le uniche vittime certe sono i tarantini, operai e cittadini, personalmente una cosa continuo a pensarla : se un modo tecnicamente c'è per convertire gli impianti, contenere (eliminare non è possibile, mai. Tutti prendiamo dei mezzi di trasporto ogni giorno, auto, per lo più, scooter, moto, anche mezzi pubblici , e così facendo inquiniamo, e TANTO ) l'inquinamento nella misura massima che sia possibile e continuare la produzione senza compromettere irrecuperabilmente l'industria, ebbene QUELLA è la strada.
Senza manicheismi , guerre ideologiche, che invece credo che animino certe procure, e giudici poco sereni come la Todisco ( a cui dà ragione Ingroia , ragione di più per sapere che ha torto). Perché in tanti, tra osservatori pure moderati ed equilibrati, i provvedimenti di questo Gip vengono criticati come sbagliati, quando non confermativi di quel fenomeno esondativo (l' invasione di campi non di competenza giudiziaria, come quello della politica industriale ) che da tempo viene rimproverato a parte consistente dei magistrati ? Perché in sede di provvedimento cautelare, e quindi sì urgente ma anche preliminare e non definitivo, finisce invece per adottare misure draconiane che, se smentite nel procedimento vero e proprio, non sarebbero rimediabili. Lo avevamo detto nel post http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2012/11/che-aspetta-la-severino-mandare-gli.html.,  e troviamo conferme in autorevoli cultori del diritto penale che ho la fortuna di conoscere.
Per tutti, riporto il parere delì l'Avv. Domenico Battista :

"... una considerazione è assorbente su tutte le altre e dovremmo coglierne la valenza politica : giusti o ingiusti che siano i provvedimenti del GIP e del PM , vi rendete conto che la decisione "cautelare" di un giudice (uno) o quella (probatoria ?) di un p.m. (uno) possono determinare conseguenze devastanti nei confronti di migliaia (20.000 , o quanti di più) di lavoratori ed il fallimento di una serie di imprese ?
.....Con l'aggravante  della "monocraticità" di tali decisioni: un magistrato, nella sua solitudine, decide le sorti di una città e non solo con un provvedimento immediatamente efficace ma che potrebbe subire modifiche o avanti il Riesame o nelle successive fasi. Il tema delle misure cautelari reali è, oggi come oggi, altrettanto grave di quello delle misure cautelari personali (anche in considerazione della ricorribilità in cassazione solo per limitati casi di violazione di legge)."
Ho anche scritto che, purtroppo, senza l'intervento improprio del Gip Todisco il problema non sarebbe nemmeno mai stato seriamente affrontato. Perché da noi purtroppo è così. Le cose si fanno, in ritardo e non sempre, solo quando si è costretti. E infatti poi si fanno male. 
Se questo giudice non avesse creato i presupposti per la chiusura vera e propria dell'Azienda, probabilmente si sarebbe andati avanti come da lustri. Non è che l'Ilva l'hanno costruita stanotte...e non è che la Todisco è il primo giudice che se ne occupa. Eppure ci sono voluti quasi 30 anni (TRENTA !!!) per stabilire, e ancora in via preliminare, non in un processo e con una sentenza, che vi è il grave pericolo di un disastro ambientale (smentito dal Ministro ma tant'è). Qualcosa non ha funzionato nei controlli  e probabilmente non solo per negligenza....
Però la Todisco ( e i magistrati come lei) mi appare un po' come Robespierre nella rivoluzione francese : troppo furore ideologico non è mai giusto e non risolve.
Non ci auguriamo che anche la Todisco segua le sorti dell'Incorruttibile  Massimiliano, però che venga arginata sì. La sua "cura" uccide, tanto quanto il male che vuole combattere ( e che va combattuto).
In tanti hanno scritto sull'ILVA, Dario Di Vico, Giuseppe Turani, pubblicando argomentazioni che condivido e che in qualche modo ritrovate in quanto ho postato. Tra le cose lette, quelle di Giacalone sono quelle che preferisco ancorché, in questo caso, ravviso un errore : stavolta non è solo la Procura a eccedere, ma un Giudice. La Procura chiede, ma è il Gip che in questo caso ha disposto.
Per il resto, sottoscrivo ogni riga.

Il metodo Ilva


Non basta più neanche il decreto legge. Né la questione riguarda solo l’Ilva di Taranto. Siamo arrivati al punto che senza una reazione netta, senza un chiarimento ruvido, l’Ilva chiude, l’industria italiana è messa in discussione, la dissennata idea che tutto possa essere affrontato in sede penale, che gli unici poteri veri siano quelli dei pubblici ministeri, che la presunzione di un danno ipotetico sia giustificazione di un disfacimento concreto e immediato si affermano come unica dottrina del nuovo pauperismo. Fin quando, per combattere tale andazzo, si dovrà ricorre ad altra procura, denunciando che il declino industriale nuoce alla salute economica, morale, fisica ed ecologica del Paese.
Non basta il decreto perché il governo sarebbe dovuto intervenire prima, avrebbe dovuto sollevare subito il conflitto d’attribuzione (è ancora possibile, ma infinitamente tardi), avrebbe dovuto mettere in chiaro che non si spezza una produzione e una filiera industriale con le misure cautelari. Perché a Taranto non è la giustizia ad arrestare e sequestrare, è la procura. Solo l’infinita ignoranza del giustizialismo italiota finge di credere che siano sinonimi, che un magistrato valga l’altro. Se ci sono reati e relativi colpevoli lo sapremo fra anni. All’esito dei quali sarà stato consumato il crimine più grosso: la deindustrializzazione d’Italia. Ecco perché non basta il decreto, perché la sua scadenza coinciderebbe con la fine della legislatura, in un caos ingigantito dalla viltà delle forze politiche. Serve il decreto, ma serve anche che sia convertito immediatamente. Per ottenere questo risultato il governo deve uscire dall’attendismo che lo ha fin qui accompagnato, deve abbandonare ogni sogno (incubo) d’inciucio giudiziario, deve accettare lo scontro e deve chiamare i capi dei partiti della maggioranza a condividerlo. Subito. Chi si sottrarrà andrà a farsi campagna elettorale parlando di ecologia, salvo poi spiegarsi con quanti vivranno senza lavoro in un ambiente comunque devastato.
Lo scontro fra poteri (la magistratura non dovrebbe esserlo, secondo la Costituzione, ma oramai chi ci bada più, a quella Carta) sarà durissimo, tant’è che la procura s’è preparata mediante l’ennesima, abominevole, diffusione d’intercettazioni, destinata a far divenire mostro l’indagato.
La faccenda non riguarda solo Taranto. Il problema non è confinabile alla “magistratura tarantina”, come si tenta ipocritamente di sostenere. Ove il “metodo Ilva” prenda piede in Italia chiude tutto. In quanto a investimenti dall’estero, ce li possiamo scordare. Il “metodo Ilva” è in grado di radere al suolo la seconda potenza industriale europea, con gran sollazzo di quanti, in altre parti d’Europa, fanno le medesime cose, ma senza essere arrestati. Poi vivremo d’inchieste e tagliatelle, ma fatte a mano, in casa, che usare i macchinari inquina, richiede energia elettrica, si bruciano fossili, si rende irrespirabile l’aria, muoiono i fiori, s’ammalano le persone. Le faremo con poche uova, ciascuna delle quali costa un occhio, perché altrimenti il signor magistrato arresta quelli che maltrattano le galline e le mettono in batteria, dando loro da magiare schifezze anziché lasciarle pigolare nell’aia. Le dovremo mangiare subito, perché il frigorifero contiene gas che fanno il buco nell’ozono. E siccome queste cose non si fanno solo in Italia, dalla penisola dei pazzi partiranno inchieste contro produttori tedeschi, polacchi, americani. Per non dire dei cinesi, ai quali si potrebbe dedicare una procura specializzata.
Si può barattare la ricchezza con la salute? Posto che la miseria fa ammalare, la risposta è: no. Servono leggi serie, che mettano i competitori europei tutti sullo stesso piano (quindi dobbiamo produrre più energia in Italia, inquinando, altrimenti ci costa di più e andiamo fuori mercato), e serve punire chi le viola. Ma non possiamo barattare nemmeno la giustizia con l’accusa. In tale baratto l’Italia precipita da troppo tempo. Il nodo non è venuto al pettine ora, è che ci stiamo strappando i capelli a ciocche. Da anni. Tocca al governo commissariale, per insipienza, incapacità e cretineria di quelli politici, intervenire. Sarà un decreto doloroso e uno scontro duro. Sottrarsi, però, significa perdere in partenza. Perdendo l’Italia quale potenza economica. Poi certo che c’inviteranno ai pranzi ufficiali, ma senza loden: per cucinare e servire a tavola. 




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