Giampiero Mughini, personaggio noto a molti per le sue frequenti comparse televisive a vario titolo, è giornalista efficace nella sua prosa chiara e accattivante. Non è un professore, uno specialista, ma un osservatore del suo tempo dotato della capacità di raccontarlo. Nei suoi articoli difficile trovare il guizzo del "genio", la riflessione dotta di chi è scienziato della materia, lo spunto originale che ti induce a riflettere su qualcosa che non avevi pensato. No, la dote di Mughini, a mio avviso, è , accanto alla già citata facilità di eloquio e di penna, il Buon Senso. Le cose che scrive sono osservazioni di buon senso, che qualunque persona di normale intelligenza può fare, e leggendole scritte da Mughini penserà "ammappa, è proprio quello che dico io !". Solo che a volte lo dice solo a se stesso.
Comunque, nel prendere in giro il tifo italiano che si accende ad ogni possibile occasione, anche per cose che ci riguardano in misura non grande e sulle quali non abbiamo alcuna possibilità di incidere, come le elezioni americane, Mughini ricorda appunto questo : signori, l'America è lontana anni luce da noi. E' dai tempi di Sordi che vogliamo fare gli americani, ma poi siamo e restiamo italiani.
Certo, non è che i tifosi non avessero proprio alcuna assonanza con i candidati presidenziali USA.
Obama roosveltiano e keynesiano, Romney liberista e reaganiano. Però queste sono etichette, verosimili, che non tengono conto della realtà americana, assai diversa dalla nostra. Infatti, ricordava Mughini, non è che dalla parte di Obama si sia evitato di citare l'Italia come esempio da NON seguire. Un economista favorevole al presidente, a chi gli eccepiva che una politica non draconiana avrebbe potuto portare il debito USA sui livelli italiani, ha risposto che LORO, gli americani, mica stavano messi così male !! E quindi si poteva ancora agire un po' sul lato della spesa per favorire la crescita, colo corollario evidente che noi, gli italici, sta cosa NON ce la possiamo permettere più.
Dopodiché Mughini ironizza sul fatto che alla fine in USA si confrontano due proposte di società abbastanza chiare nelle loro priorità. Maggiore assistenza i democratici, più ossigeno alle imprese (meno tasse, meno regole) per favorire l'economia i repubblicani, più tutele statali, i primi, meno stato e più libertà ( e responsabilità) i secondi. Ovvio che solo le frange estreme dei due partiti radicalizzano queste differenze, per la maggior parte è una questione di "equilibri" che si spostano (anche se, in tempo di crisi, le radicalizzazioni aumentano, in misura inversamente proporzionale agli effettivi margini di manovra, come il rischio di "fiscal cliff", baratro finanziario, sta lì a ricordare) Da noi, guardando alle prossime elezioni, la formazione che viene data per vincente al suo interno ha, al momento, visioni di società talmente lontane, distinte, se non quando del tutto contrapposte che ci si domanda in che modo potranno governare insieme.
Dall'altra parte, una formazione effettiva, allo stato, nemmeno c'è. Nel mezzo, Grillo. Che su una domanda impegnativa come "cosa facciamo con la crisi dell'euro ? " risponde che lo decidiamo con un referendum....a me sta anche bene (se ci danno tutto sto tempo...), ma LUI, a questo referendum, come voterebbe si può sapere ???
Ovviamente le differenze non finiscono qui. Negli USA le tasse non superano il 30% (devi essere milionario per arrivare al 33), da noi l'aliquota MEDIA è al 28%. La massima al 45%, e la pressione fiscale è valutata, considerando il peso delle altre imposte, tra il 55%, per per persone fisiche, e il 65% per le imprese.
Senza contare tutte le altre cosine che ben sappiamo.
Con maggiore approfondimento, il tema delle differenze, specie in campo fiscale, tra USA e Italia, e come sia sciocco definirsi Obamiani essendo di sinistra, laddove MAI Obama applicherebbe, nella nostra condizione economica, politiche come quelle Vendoliane o Fassiniane, lo riprende oggi Davide Giacalone che così scrive :
I ricchi dovranno pagare più tasse, ha detto Barack Obama.
Chi sono i ricchi? Quelli che guadagnano più di 250 mila dollari l’anno. Quanto
pagano di tasse, oggi? Il 35%. Poi ci sono una serie di combinazioni familiari,
sicché può essere anche il 33.
In Italia, senza neanche avere redditi di quel tipo, si
paga assai di più. Se facessimo anche noi quel che oggi propone il confermato
presidente degli Stati Uniti, le tasse scenderebbero. Potrei chiuderla qui,
lasciando il resto dello spazio in bianco, talché gli interessati potrebbero
usarlo per fare il conto di quel che risparmierebbero.
Ma ci sono altre cose, degne d’attenzione. Ho letto i primi
lanci di agenzia, e i primi titoli nei siti dei giornali, dove il “ricchi” sono
già diventati “super ricchi”. Non solo è la solita ipocrisia italiana, per cui
dobbiamo fingerci tutti poveri (si definirebbero “super ricchi” i direttori di
quegli stessi giornaloni?), ma è anche una corbelleria: i veramente ricchi
hanno raramente redditi da lavoro e più frequentemente redditi da capitali e da
investimenti, per loro natura facenti capo a delle società, sicché sono
indifferenti alle tasse sul guadagno personale.
Certo, in Italia sopra il 250 mila euro si colloca solo una
ristrettissima minoranza (lo 0,18%). Ma non li definirei super ricchi, bensì
super onesti (avverto il lettore che sono in conflitto d’interessi, rientrando
nella categoria). Sicché, a volere essere ulteriormente precisi, l’annuncio di
Obama non riguarderebbe quasi nessuno, dalle nostre parti. Il che sia detto per
additare al pubblico ludibrio i non pochi che correranno a fare gli americani.
Alla moda di Nando Moriconi.
Il punto più rilevante è il seguente: Obama chiede di
aumentare la pressione fiscale per potere diminuire il debito, che durante i
suoi primi quattro anni è aumentato del 50%, da 10 a 15 mila miliardi di
dollari. Non è affatto detto che funzioni, e segnalo che da noi la pressione
fiscale è salita nel mentre saliva il debito. Il presidente Usa dice: più tasse
e meno debiti. Da noi ci troviamo con: più tasse e più debito. Com’è possibile?
Semplice: perché diminuisce il prodotto interno lordo e, quindi, sale il peso
percentuale del debito, che, del resto, cresce anche in valore assoluto perché
il suo costo è cresciuto più velocemente delle tasse. Obama, insomma, si muove
subito per evitare la trappola fiscale. Noi ci siamo già dentro.
Il presidente americano lancia un messaggio ai repubblicani,
che hanno la maggioranza alla Congresso, quindi sono determinanti: se non
troviamo un accordo subito, se non facciamo crescere le tasse per i ricchi,
alla fine dell’anno cresceranno per tutti, anche per quelli sotto i 250 mila
dollari, e questo è un male, perché avrebbe effetti recessivi. Ha ragione: se
togli soldi a chi ha una maggiore propensione a spenderli, ovvero ai meno
ricchi, non fai che moltiplicare la recessione, contraendo i consumi. Però,
insomma, sotto la soglia dei 250 mila non è che si sia proprio alla canna del
gas. Quanto pagano, oggi, e quanto pagheranno, domani, quelli in quella
condizione, negli Usa? Il 28%. Ho l’impressione che non pochi italiani siano
tentati di farsela a nuoto, anche perché da noi le tasse continuano a crescere
anche per i redditi che negli Usa sono esentati, perché considerati troppo
bassi.
Noi stiamo facendo esattamente quello che gli Usa tentando
di evitare, ovvero comprimere scientemente i consumi per potere diminuire le
importazioni e rimettere in equilibrio la bilancia commerciale. In altre
parole: non potendo svalutare la moneta noi stiamo svalutando gli italiani.
Obama usa uno scenario simile per minacciare i repubblicani: non vorrete mica
arrivare a una prospettiva simile?
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Anziché fare gli obamiani de noantri, dunque, si valuti
quanto fa paura finire dove ci siamo ficcati.
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