lunedì 12 novembre 2012

INNOCENTI, ASSOLTI, ANCORA IMPUTATI. CANDIDABILI O NO ?


Non è stato dato grande risalto alla notizia , di qualche giorno fa, dell'assoluzione di Vasco Errani, governatore della Regione Emilia Romagna, a suo tempo accusato di aver favorito il fratello imprenditore.
La notizia seguiva, non di molto quella dell'altra assoluzione a sinistra, vale a dire di Nichi Vendola, anche lui assolto perché il fatto "non sussiste", dall'accusa di abuso in atti di ufficio. 
Aspettiamo con fiducia anche la conferma dell'innocenza di Penati e poi saremo a posto.
Contento per loro. Però il buon Davide Giacalone, da tempo e non a seguito di queste sentenze , solleva una giusta obiezione, anzi due . Partiamo dalla seconda . Perché dei due governatori rossi, innocenti ma imputati - tuttora - stampa e pubblico non hanno, per la massima parte, mai invocato le dimissioni e per Formigoni sì, che invece non risulta nemmeno indagato ? La risposta si sa. La prima obiezione : queste persone, Errani e Vendola,  sono state assolte, in primo grado. Sono ridiventate innocenti ? Secondo la costituzione lo erano prima, e lo sarebbero state ancorché fossero state condannate in quanto non in via definitiva. Solo in questo ultimo caso infatti  la colpevolezza è giuridicamente accertata. Quindi la loro posizione da questo punto di vista non è mutata. Certo, sono più sollevati, è ovvio, ma non del tutto. Processualmente, il fatto di essere stati assolti non li fa cessare di essere imputati, almeno fino a quando la sentenza sia appellabile. Solo se l'accusa non impugna la pronuncia di assoluzione, allora cade l'imputazione. Al momento questo NON è, né per Vendola, né per Errani. E in genere, è risaputo, le procure APPELLANO.
Quindi, sollievo sì, fine del processo ancora no. E questo da un punto di vista giuridico. Da quello politico, che accade ? Vendola disse che se fosse stato condannato, in primo grado, si sarebbe ritirato dalla politica. Per carità, ognuno fa quello che vuole, ma certo non sarebbe stata una conseguenza legale, dopo una sentenza di primo grado. Certo, il livello di "convincimento" dell'opinione pubblica cambia, al di là delle procedure. Da noi, già essere indagato fa pensare "oh, e qualcosa avrà fatto !!", figuriamoci una sentenza di condanna, sia pure appellabile. Però uno dovrebbe agire secondo la PROPRIA coscienza. Ed è piuttosto risibile questa norma sulla incandidabilità di indagati, imputati, condannati. Diceva l'altra sera non precisamente un garantista come il giudice Davigo ( una delle menti di "mani pulite" ) : ma ci vuole una legge perché un condannato per certi reati gravi non venga eletto ???? non basta la coscienza civica di chi vota ? . Ogni tanto - raramente, ma è già successo - sono d'accordo con lui.
 In un libro che sto leggendo sono incappato in questo dialogo "...in fondo non lo sapeva nessuno..." e l'altro "lo sapevo io". 
Mi pare molto bella. 
Buona Lettura


L’assoluzione di Vasco Errani, perché il fatto non sussiste, è una cosa di cui essere felici. Sapere che il governatore dell’Emilia Romagna, uomo di grande importanza nel Partito democratico, non ha usato fondi pubblici per favorire il fratello, dovrebbe essere confortante per tutti. Accoglierla come una buona notizia deve servire per ragionarne politicamente.
Si aggiunga un’altra notizia: il coordinatore nazionale di Italia Futura, Federico Vecchioni, che conosco e stimo, è stato rinviato a giudizio. Ha dato subito le dimissioni dall’incarico politico (ammesso che possa definirsi tale). Lo ha fatto per “coerenza”, ma forse gli sfugge la conseguenza. Egli dice di non temere nulla e di attendere il riconoscimento della propria innocenza. Glielo auguro. Lo auguro a noi tutti, perché sapere che la vita pubblica è popolata anche da tante persone per bene, al di là delle diverse idee, è cosa di cui rallegrarsi.
C’è un punto formale, che ha sostanza politica: Vecchioni è appena diventato un imputato, mentre Errani lo rimane, così come lo rimane Nichi Vendola, assolto la settimana scorsa. Restano tali fin quando la procura che li accusa, dopo il deposito delle motivazioni, ha la possibilità di appellare la sentenza. E se lo farà lo rimarranno a lungo, certo più in là delle imminenti scadenze elettorali. Cambia qualche cosa che siano stati assolti? Dal loro punto di vista personale sì, perché possono tirare un sospiro di sollievo e riporre fiducia nel corso della giustizia, ma dal punto di vista formale no: restano dei presunti innocenti, come lo è Vecchioni, come lo è anche chi in primo grado riporta una condanna. Il “processo”, in Italia, è fatto di tre gradi di giudizio e la parola definitiva è solo l’ultima. Può non piacere (a me non piace), ma è così.
E allora, se si dice “fuori gli inquisiti e gli imputati dalla politica, impediamo loro di candidarsi” s’intende con questo dire che tali signori devono essere fatti fuori? Se così fosse sarebbe contrario al diritto e protesterei difendendoli, per difendere il diritto. Se vale per loro, vale per tutti? E’ ovvio, perché se non vale per tutti non vale per nessuno. E allora smettiamola di dire fesserie qualunquiste e liberticide. Abbiamo bisogno di una giustizia che funzioni e che abbia tempi accettabili. Non abbiamo bisogno di processi di piazza o di epurazioni moralistiche. La prima cosa è sinonimo di civiltà (che comprende, inevitabilmente, anche l’errore giudiziario), la seconda è incarnazione d’inciviltà.
C’è un altro aspetto, rilevante: se il Tizio viene accusato e imputato, talché le cronache raccontino, ogni giorno, per mesi, i dettagli delle carte d’indagine, senza risparmio di bassezze, mentre il Caio subisce la stessa sorte procedimentale, ma incassa un atteggiamento meno maniacalmente ostile dei media, sicché si attende di conoscere le sentenze che lo riguardano, subiscono, il Tizio e il Caio, lo stesso trattamento? No, perché il primo sarà annientato uno o due lustri prima della sentenza. Se un governatore (neanche)imputato viene richiesto a gran voce e con gran coro di dimissioni, mentre un altro, imputato, no, fa una significativa differenza. Le idee possono essere diverse, non le regole: o vale che il sospettato si allontana dalla vita pubblica o no. La prima cosa, in Italia, equivale a consegnare assemblee elettive e governi alle procure. Quindi trattasi di principio giusto, ma suicida per la democrazia. Anche qui, la soluzione è la giustizia funzionante, non il moralismo imperante.
Un’ultima cosa: dire “se venissi condannato in primo grado mi dimetterei” (come fece Vendola) significa praticare un opaco compromesso fra il diritto e la demagogia giustizialista. Come detto, non cambia nulla. O ti dimetti perché imputato, da subito, o resti perché innocente, fino a prova contraria. La riforma della giustizia si deve fare con le leggi (per tutti), non a cura dell’ufficio stampa e propaganda (per pochi).
Oggi invidio Errani, perché si trova nella condizione e dalla parte giusta (purtroppo è così, da destra non potrebbe, e già solo questo dovrebbe far accapponare la pelle) per far valere le cose qui scritte. Non sprechi l’occasione. E si ricordi che l’ultimo governo della sinistra cadde perché colpito da accuse penali.

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