Era da un po' che non mi capitava di leggere un articolo di Alessandro Fugnoli, un economista che, prendendo spunto dal collega più maturo, Giuseppe Turani, ha il dono di rendere non solo chiare le questioni economiche, ma anche non troppo seriose, spruzzando qua e là piacevoli dosi di ironia e di metafore.
Il tema trattato stavolta è il famoso FISCAL CLIFF americano , che, come la maledizione Maya, scade il prossimo 31.12.2012. A dare retta ai secondi, non ci si dovrebbe preoccupare troppo di questo "ABISSO" fiscale, visto che moriremo tutti. Ma leggendo Fugnoli nemmeno c'è da strapparsi i capelli : gli americani restano un popolo pragmatico e alla fine un compromesso repubblicani e democratici lo troveranno.
Leggendo Fugnoli però s'imparano cose interessanti che non in tanti conoscono (io per esempio). Negli USA i tagli , le agevolazioni fiscali, non sono all'infinito, forse prevedendo l'incidenza che possono avere sulle entrate dell'erario. E allo stesso tempo, il Governo ha dei tetti di spesa che possono anche essere sforati ma SOLO DOPO espressa autorizzazione del Congresso. Quando la maggioranza di quest'ultimo parla lo stesso dialetto del Presidente in carica la cosa è facile, una formalità. Non così nel caso opposto. E, oggi, negli USA, E' QUEL CASO, con i Repubblicani che hanno conservato la maggioranza alla Camera dei Deputati nonostante la rielezione di Obama.
Fugnoli allarga poi lo sguardo alle cose d'Europa, facendo un interessante confronto tra le due sponde dell'Atlantico.In questi anni, gli USA sono stati gli spendaccioni, mentre l'Europa si è dedicata al rigore, imponendolo anche a quei paesi del Mediterraneo che non avevano (non hanno) alcuna confidenza con l'austerity, come molti dei giovanotti in piazza ieri hanno spiegato molto bene.
Entrambe le filosofie andranno corrette , prevede Fugnoli, che a me piace perché resta un ottimista .
Mica facile , di questi tempi, specie se sei un'analista economico !
Buona Lettura
Ora il gioco si fa duro
Il fiscal cliff è un gioco duro,
adrenalinico, spettacolare e spietato. Fa venire in mente Rollerball e The
Hunger Games, ha qualche tratto di Texas Hold’em e per certi aspetti è simile a
Saw, dove una mente criminale inventa trappole mortali a orologeria che le
vittime possono disinnescare solo a caro prezzo.
I due giocatori, i democratici e i
repubblicani, hanno congegnato insieme le due trappole che li terranno ostaggio
gli uni degli altri. Le regole del gioco, del resto, sono note da parecchi
mesi.
I democratici, a dire il vero, non
hanno nemmeno avuto bisogno di preparare una trappola. Il congegno mortale,
infatti, se lo sono preparati i repubblicani nel 2001, quando, per facilitare
il passaggio in Congresso di un’ampia serie di tagli fiscali, ne hanno fissato
un limite temporale, il 31 dicembre 2012. Fra sei settimane, dunque, se nessuno
nel frattempo fa qualcosa per evitarli, scatteranno aumenti di imposte per
tutti, ma in particolare per i redditi medio-alti.
Questi aumenti, insieme a una serie
di tagli che nei mesi scorsi sono stati concordati tra i due giocatori per
rendere ancora più eccitante il gioco, si mangeranno 4 punti di Pil. Da una
crescita tendenziale del 2 per cento si passerebbe a un meno due. L’effetto
sarebbe parzialmente mitigato dal venir meno dei tagli a livello di governo locale.
Poliziotti, insegnanti e pompieri, tutti dipendenti dai 50 stati e dalle
contee, sono stati licenziati in ampio numero negli ultimi due anni, ma nel
2013 il governo locale non porterà via altro spazio al Pil. Anche tenendo conto
di questo, comunque, il fiscal cliff lasciato a se stesso si tradurrà in una
crescita di segno negativo.
Nelle trattative, quindi, i
democratici punteranno sui repubblicani la pistola del 31 dicembre. Se non ci
saranno aumenti concordati di tasse per i redditi alti, allora le maggiori
tasse saranno per tutti, ci sarà recessione e i colpevoli saranno i
repubblicani.
Il secondo congegno mortale è
invece puntato, almeno sulla carta, contro i democratici. Si tratta di una
riedizione della vicenda del debt ceiling, il tetto all’indebitamento, che
nell’estate del 2011 è andata a un passo dal provocare il default sul debito e
ha causato la perdita della tripla A per gli Stati Uniti.
Di che cosa si tratta? In America,
come in Giappone, il Tesoro viene autorizzato a indebitarsi fino a un certo
limite dal Congresso. Quando questo limite viene raggiunto (e i disavanzi di
questi anni sono tali da rendere il processo molto veloce), il Congresso deve
dare una nuova autorizzazione. Se non la dà, il governo viene costretto a
spendere solo quello che raccoglie con le tasse (come in un mondo ideale
dovrebbe essere sempre) e ben presto si trova senza i soldi per pagare gli
stipendi ai funzionari pubblici e ai militari, per saldare le fatture ai
fornitori e per servire il debito pubblico.
I repubblicani, nell’agosto 2011,
acconsentirono a un aumento del tetto per l’indebitamento a patto di fissarne
l’entità a un livello tale da richiedere un nuovo intervento del Congresso
esattamente in concomitanza con il fiscal cliff, in modo da avere anche loro
una pistola da puntare contro i democratici. Si tratta però di un’arma in parte
spuntata. Mentre il fiscal cliff scatta alla mezzanotte del 31 dicembre, il
default del governo, che teoricamente potrebbe iniziare in gennaio, sarà
facilmente rinviato anche di parecchi mesi con artifici contabili.
Come si vede, il gioco del fiscal
cliff è come una gara olimpica. Si sa esattamente quando avrà luogo, si
conoscono le regole e ci si prepara per anni al grande momento. Si sa anche,
molto spesso, come andrà a finire. Ci sono i favoriti, insomma, ma non si può
mai avere la certezza assoluta dell’esito. Nel caso specifico, si sa da molti
mesi che l’effetto depressivo sul Pil, ad accordo trovato, dovrà essere non del
4 per cento, ma dell’1.5. Si tratterà in pratica di sostituire l’impatto
negativo dell’austerità locale, che ha pesato sul 2012, con austerità federale
di pari entità, in modo da permettere all’economia di continuare a crescere
alla (mediocre) velocità di crociera del dopo crisi, l’1.5-2 per cento.
Su chi dovrà tirare fuori questo
1.5 per cento è scontro aperto. Ogni giorno che passa il rapporto tra tagli di
spesa e maggiori tasse si sposta a favore di queste ultime, ma siamo ancora
alle prime schermaglie. I repubblicani potranno scegliere il veleno da bere tra
la mortale pozione dell’aumento delle aliquote e l’indigesta bevanda del limite
alle detrazioni e deduzioni.
Fino a oggi il mondo del dopo crisi
ha goduto di una sorta di biodiversità fiscale. L’Europa si è impegnata, fin
troppo, sulla strada dell’austerità mentre l’America ha accettato ampi
disavanzi. In questo modo, frutto non di un accordo ma di differenti volontà
politiche, il mondo è riuscito faticosamente a crescere e ha limitato alla
parte debole dell’Europa l’area della sofferenza.
Se il modello dell’austerità fosse
stato adottato anche dagli Stati Uniti il mondo sarebbe oggi in recessione. Se
il modello americano fosse stato adottato anche in Europa, il debito di Italia
e Spagna sarebbe forse salito a livelli insostenibili, anche se la questione è
controversa (ci sarebbe infatti stata più crescita e il rapporto debito-Pil,
forse, non sarebbe salito molto).
Da qui in avanti l’America sarà con
ogni probabilità meno espansiva, quanto meno sul piano fiscale. L’Europa, in
compenso, sarà meno restrittiva. Anzi, lo è già.
Fino alla fine del 2011, infatti,
il piano di marcia tedesco per Eurolandia prevedeva per tutti i paesi membri
disavanzi pubblici sotto il 3 per cento dal 2013. Mese dopo mese, paese dopo
paese, questo programma è stato di fatto accantonato. A molti paesi si chiede
ormai solo di continuare lentamente a ridurre il disavanzo, sapendo fin d’ora
che sarà già tanto se, con una recessione in corso o incipiente (Francia) si
riuscirà a mantenerlo stabile.
La Germania, dunque, si è arresa
all’evidenza e ha continuato a lavorare sui disavanzi strutturali dei paesi in
crisi, chiudendo un occhio sulla componente ciclica. Sarebbe bello, da qui in
avanti, che le pressioni tedesche si esercitassero, più che sui saldi finali
dei disavanzi, sul modo per arrivarci. La Germania, in questi anni, ha agito
come un dietologo che scende a patti con il paziente, imponendogli di perdere
un certo numero di chili ma lasciandogli la libertà di scegliere tra il
mangiare meno, il muoversi di più o l’usare i diuretici. I risultati non sono
stati brillanti e ora, in qualche modo, si sta cambiando strada.
Per la Grecia ci si sta già
avviando in questa direzione. Il piano della Troika è molto minuzioso, molto
micro. Atene lo ha approvato integralmente e si è già incamminata concretamente
sul percorso prescritto. A questo punto sarebbe molto imbarazzante, per la
Germania, staccare la spina finanziaria che tiene in vita la Grecia. Per
Berlino il problema è solo quello di rendere gli aiuti poco visibili, non
quello di eliminarli.
Tornando all’America, il lato
brutto del fiscal cliff è che i contendenti, per rendere accettabile un compromesso
alla loro base, avranno bisogno di un clima di emergenza economica e di una
borsa spaventata. Il lato bello è che questa, per chi saprà coglierla, sarà
un’eccellente opportunità d’acquisto.
Al 95 per cento, infatti, l’accordo
ci sarà, anche se richiederà qualche settimana di teatro politico, di
trattative dure dietro le quinte e di ansia per i mercati. Il 5 per cento è un
rischio di coda di cui va tenuto conto nella gestione del rischio, non
nell’impostazione della gestione.
In questi giorni le borse non
scendono solo per il fiscal cliff. Cominciano ad arrivare i dati macro
americani che incorporano Sandy e per qualche settimana non sarà un bel vedere.
Il Giappone è entrato in una recessione tutta sua che non coinvolge il resto
dell’Asia e che comunque non rasserena. L’Europa continua ad annaspare, anche
se le sue classi dirigenti continuano a dar prova di grande attaccamento
all’euro . Peggio delle nuove tasse c’è solo l’incertezza su come saranno e
questa, almeno, non ci sarà più.
L’estenuante attesa sarà interrotta
a metà strada da un momento di rinfresco. Il 12 dicembre il Fomc annuncerà il
Qe4. Che novità è, si dirà, non siamo già in regime di Qe infinito (o
indefinito, come amano puntualizzare alla Fed)? Vero, ma il Qe4 metterà nero su
bianco modalità e quantità. Da gennaio ci saranno di nuovo acquisti netti di
titoli (con l’operazione Twist c’è stato solo un allungamento della duration) e
le cifre si preannunciano grosse.
La Fed è del resto sempre più
colomba. Il legame tra Qe e livello della disoccupazione è sempre più
esplicito. La permanenza dei tassi sullo zero è di fatto prolungata al 2016.
Nessun commento:
Posta un commento