sabato 22 dicembre 2012

LA STORIA DI UN AMORE SENZA TEMPO, DI ALTRI TEMPI.

UNA STORIA STRUGGENTE. SOLO DA LEGGERE. E RINGRAZIARE STUPITI CHE ESISTANO ANCORA PERSONE COSì


  • Roberto 
  • per risvegliare la moglie Stefania dal coma



LA STORIA

La tenacia del barista Roberto 

per risvegliare la moglie

 Stefania dal coma

Lui lavora alla Casa del Cinema di Roma,

 lei è ricoverata a Imola: nel giorno libero 

le fa ascoltare i messaggi delle bimbe

Roberto Bedetti (Benvegnù - Guaitoli)Roberto Bedetti (Benvegnù - Guaitoli)
Il bar dove lavora Roberto, alla Casa del Cinema, è frequentato da attrici e gente famosa. Dietro le vetrate c'è uno dei panorami più belli al mondo: Villa Borghese, la Casina di Raffaello, il parco dei daini, e una chiesetta dove lui passa una volta al giorno, a pregare e a confidarsi con il sacerdote, don Aleardo. Perché Roberto si porta dentro una pena terribile: Stefania, la madre delle sue tre figlie, da cinque mesi è in stato vegetativo. È entrata in coma dando alla luce la più piccola, Rita. Negli ospedali della capitale non c'era posto: adesso è in una casa dei risvegli vicino a Imola. Ogni giorno Roberto porta le due bambine più grandi all'asilo, affida Rita alla madre di Stefania, si fa un'ora e mezza di auto, treno e bus per arrivare da Sacrofano al centro di Roma, serve i caffè al bar della Casa del Cinema, e torna a casa per preparare la cena alle bambine. Una volta ogni due settimane prende un giorno di ferie e parte per Imola, per far sentire a Stefania le canzoni che ascoltavano insieme, mostrarle i video delle bambine girati con il telefonino e i loro disegni, darle gli stimoli per richiamarla alla vita. La vita di Roberto è diventata durissima, anche perché non ha altri redditi al di fuori dello stipendio. La sorte sembra essersi accanita contro di lui. Ma la sua storia non è unica. Anzi, è una storia esemplare di un Paese colpito duro ma che alla sorte non si arrende. È una storia dell'Italia che resiste; e quindi ci riguarda tutti.
«Mi chiamo Roberto Bedetti. Ho 37 anni e tre fratelli. Il più piccolo, Antonio, 33 anni, è sulla sedia a rotelle dalla nascita: durante il parto gli è mancato il sangue al cervello, proprio com'è successo a Stefania. Mamma faceva la parrucchiera a Prati, ha dovuto rinunciare al lavoro per occuparsi di Antonio. Gli altri miei fratelli sono Maurizio, 44 anni, che allena una piccola squadra di calcio, e Alessandro, 40, che fa il barista a Ciampino. Anch'io ho lavorato sempre nei bar, tranne un periodo in cui ho fatto il portinaio. Ho cominciato a 16 anni in periferia, a Tor de' Schiavi, e nel 2009 sono arrivato qui, a Villa Borghese. Ero felice di essere responsabile di un bar così bello. Ero felice di amare Stefania e le nostre bambine».
«Ci siamo incontrati nel 2004, alla discoteca Magic Fly, sulla Cassia. L'ho invitata a ballare, abbiamo bevuto un gin fizz, ci siamo raccontati le nostre vite: dopo dieci giorni stavamo insieme. Siamo andati ad abitare a San Giovanni, poi nel suo paese, Sacrofano, dove le case costano meno. Il 7-7-2007 è nata Vittoria, l'11-11-2008 Beatrice: sotto il segno dello scorpione, come la mamma. Stefania faceva la cameriera al ristorante Grappolo d'Oro, a Ponte Milvio. Io ero già stato sposato, non riuscivo ad avere il divorzio e non abbiamo potuto sposarci: questo ci faceva soffrire perché siamo credenti e praticanti, in particolare siamo devoti a santa Rita da Cascia. Così, quando è arrivata la terza bambina, abbiamo deciso di chiamarla Rita. Il 31 luglio 2012 doveva essere il giorno più bello della nostra vita: ero nella corsia di un ospedale, Villa San Pietro, con le mie due figlie per mano, ad aspettare la loro sorellina. Invece è uscita un'infermiera a dirmi di portarle subito via, perché era successo qualcosa a Stefania».
«Ricordo un viavai di gente, sacche di sangue, il pianto delle bambine, la paura che la mia donna morisse. Le hanno fatto il cesareo, il suo ginecologo non si era accorto che la placenta era attaccata all'utero, non sono riusciti a intubarla, le hanno fatto la tracheotomia, a lungo il cervello è rimasto senza sangue e quindi senza ossigeno. Ho fatto le mie denunce, aspetto le decisioni della magistratura. Dopo quattro giorni l'hanno portata al San Filippo Neri, in terapia intensiva. Continua il calvario, Stefania ha una serie di infezioni, non si trova posto per lei nei luoghi di riabilitazione a Roma, finalmente dopo tre mesi la prendono a Montecatone, vicino a Imola, in una struttura per cerebrolesi gravi. La risonanza mostra lesioni frontali e parietali e una lesione al cervelletto. I medici temono che sia diventata cieca».
«La settimana scorsa le ho fatto ascoltare le nostre canzoni, e ha pianto. "Cercami" di Renato Zero, che ho conosciuto ed è una persona straordinaria. "Giorgia" di Vasco Rossi. "L'amore è una cosa semplice" di Tiziano Ferro. Le leggo le letterine di Vittoria, che non fa ancora le elementari ma ha già imparato a leggere e scrivere, era stata Stefania a insegnarle a scrivere "mamma". Le stringo le mani, ma non è facile, perché sono contratte, come il suo volto. Cerco di trasmetterle il mio amore, e questo è facilissimo, perché non l'ho mai amata come adesso. Le ho fatto ascoltare anche il videomessaggio registrato da Totti, che è mio amico fin dalla giovinezza, perché lavoravo in un bar a San Giovanni dove lui passava tutti i giorni. Francesco è stato generoso come sempre, le ha detto: "A Stefà, se sei della Roma devi tener duro!"».
«La mia vita ora è molto infelice, perché andare a Imola in macchina costa, c'è un albergo convenzionato che comunque si paga 35 euro a notte, e pure la famiglia di mia moglie è povera. Suo fratello, che mi accompagna, fa il fabbro ma lo pagano in nero. Sua sorella fa la commessa in un negozio di abbigliamento in corso Francia. Suo padre è morto. Sua madre, che si occupa di Rita, ha un tumore al seno. Io ho dovuto lasciare il posto di responsabile del bar, continuo a lavorare sei giorni su sette ma prendo due ore di permesso per "allattamento", si dice proprio così. Mi hanno spiegato che c'è una legge, la 104, che concede un anno di permesso per accudire parenti disabili; ho chiesto all'Inps di piazzale Flaminio, mi hanno detto che siccome non sono sposato con Stefania non ne ho diritto».
«Alle bambine ho detto la verità: la mamma dorme, e noi aspettiamo che si risvegli. C'è un assistente del Comune che il pomeriggio le va a prendere all'asilo, c'è l'associazione "L'albero del Pane" di Sacrofano che mi aiuta, ma non è facile. Ho perso venti chili. Però non mi arrendo. Passerà questa crisi. Forse ritroverò Stefania, forse no. La notte della vigilia pregherò per lei insieme con le nostre figlie. A Natale vado a Imola a portarle la catenina con la Madonna del Divino Amore. A Santo Stefano sono qui a lavorare».
aldo cazzullo

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