Oggi compaiono sul Corriere della Sera due articoli aventi lo stesso oggetto : il ritorno ad un pessimo recente passato , con il duello mortale tra Berlusconi e coloro che lo odiano. Ne scrivono sia Ernesto Galli della Loggia, ricordando come questo "frontismo" giovi alla causa berlusconiana che non potrà più contare su quelli che avevano creduto nel "merito" delle promesse del Cavaliere, ma sì su quelli dell'anticomunismo, che Pierluigi Battista, il quale rimpiange (e con lui, il sottoscritto e credo tanti altri) l'anno appena trascorso proprio per la tregua imposta a questa guerra tra bande.
Non smettono di accarezzare la pancia dei loro lettori peggiori quelli di Repubblica, terrorizzati che il ritorno di Berlusconi ridia fiato ai rivali del Fatto, che sulla demonizzazione della Mummia (copyright Liberation, noto foglio "moderato" di Francia...) è nato e ha costruito le sue fortune. Eppure è evidente quello che scrive della Loggia : la sinistra non ha interesse a radicalizzare lo scontro, i sondaggi la danno già vincente, grazie al disfacimento del fronte opposto. Se dà corda al vecchio schema, al referendum pro e contro, non aumenterà di tanto i suoi voti (le sue truppe sono già belle e schierate) , anche se certamente i Renziani delusi e tentati di non votare PD adesso ci ripenseranno, contro il Cavaliere. Viceversa, darà centralità a Berlusconi, che diventerà il solo anti sinistra, quello che magari non vince però può NON far vincere gli avversari, grazie al sistema elettorale. Ma a parte le strategie elettorali, è che proprio non se ne può più di questa litania, di questa ossessione di tanti, accompagnata dal pecorone adagiarsi al leit motiv alla moda di altrettanti.
C'è un bell'articolo della Reichlin, economista di prestigio internazionale (ha avuto proprio di recente un riconoscimento importante, che la onora) , che posterò a parte, in cui la stessa evidenziava che i mali italiani sono molto antichi, e dipendono da una collusione importante tra classe politica assai poco dirigente e diligente da un lato, e la popolazione dall'altra. E lo stesso bilancio dell'anno di governo Monti sta lì a dimostrare che, Berlusconi o non Berlusconi, modificare l'Italia è impresa gigantesca, per resistenze ostinate e trasversali. Il caso delle province è solo l'ultimo. A parole, sono sempre tutti d'accordo sul fatto che vadano abolite. esistendo le Regioni, e potendo riorganizzare tra queste ultime e i Comuni le funzioni oggi di loro residua competenza. Di fatto, vediamo come va, ma NON solo per colpa della casta politica che ha interesse ad avere una riserva di posti per il suo personale, ma anche dei soliti italiani che si sentono male a rinunciare alla loro identità campanilistica. Ecco, invece di pensare a questi problemi, seri , molto meglio baloccarsi col via Pallismo, con le sassaiole da opposte trincee.
Che pena.
Dei due articoli citati sul problema del risveglio dell'ossessione antiberlusconiana,, trovo più incisivo ed efficace quello di Battista, e quindi ve lo propongo
Buona Lettura
Ripiombati nel peggio della seconda Repubblica
È come essere costretti a indossare un vestito vecchio e logoro che si credeva in disuso, adatto solo a un rigattiere
senza pretese. In una settimana siamo ripiombati nel peggio della Seconda
Repubblica, prigionieri di un sortilegio, di uno schema sempre desolatamente
identico a se stesso. Dopo un anno di astinenza, riprendiamo l'unico giochino
che sappiamo recitare a meraviglia.
Scongelati dal freezer tecnico, eccoci di nuovo qui ad
assistere alla rissa gigantesca tra le due maschere sempre più invecchiate e
sfatte di questo ventennio: il berlusconismo e l'antiberlusconismo. E
continuiamo così, all'infinito, a farci del male. Il centrodestra, dopo qualche
velleitario vagito di autonomia democratica, si riallinea, e la corte di nuovo
obbediente si dispone dietro il Capo che ritorna a urlare le invettive che dopo
vent'anni appaiono sempre più sgangheratamente ripetitive, figure retoriche
inattuali, oramai guastate dall'abuso, parole svuotate di senso. Anzi, che di
senso ne hanno uno solo: segnalare che si è ancora disponibili a sparare
l'ultima cartuccia nella trincea degli irriducibili.
E dall'altra parte? I dibattiti appassionati ma civili tra
Bersani e Renzi, due idee di società, l'impegno a guardare il futuro? Tutto
svanito, tutto silenziato. Si ricomincia come prima. L'unico argomento di cui
si parla è Berlusconi. L'unica paura è Berlusconi, l'unico fantasma è Berlusconi,
l'unico linguaggio conosciuto e quindi usato come un mantra per cacciare gli
spettri, per fuggire dai dolori della sconfitta, quello dell'antiberlusconismo.
Chi seguiva più, a parte i magistrati, gli avvocati, i cancellieri e le
disinibite testimoni, davvero, chi seguiva il processo milanese detto anche
«processo Ruby». «Cercatela», intima il pubblico ministero per rintracciare
l'ex minorenne che potrebbe incastrare il Caimano. E tutta la platea che non
vede l'ora che ritorni Ruby, che implora una sentenza alla vigilia delle
elezioni.
Prima dicevano, compunti e saggi: «Il processo faccia il suo
corso senza che la politica interferisca». Se ne sono disinteressati per un
po'. E oggi si risveglia il loro interesse. Si è risvegliato il mostro assopito
che ci aveva dominato per vent'anni, lo schema immutabile di un bipolarismo
primitivo. Basta scorrere i proclami dei social network: una pentola di
isterismo, di panico incontenibile, una folla che urla con i forconi nel campo
immateriale della Rete ma non per questo meno concitata e dissennata. Sperano
che schizzi lo spread, tifano per la catastrofe pur di rintuzzare il Caimano. E
i berlusconiani che con voce sempre più rauca ululano: «comunisti», «complotto
europeo contro Berlusconi», «la magistratura di sinistra, la tv di sinistra, i
poteri forti di sinistra», «i grandi giornali di sinistra». Un delirio
cospirazionista incrociato senza più freni.
E i partiti? I partiti si adeguano. Quelli della destra
ripassano il copione messo da parte un anno fa e cercano di riacchiappare in
extremis un consenso buttato via, milioni di elettori in libera uscita che si
spera di riattirare con la grande rissa, di rimotivarli con i decibel delle
loro grida, i volti paonazzi del duello da talk show. Il Pd, che pure ha dalla
sua sondaggi straordinari, non parla più un suo linguaggio, non impone un suo
modello di priorità, non descrive più una sua agenda da almeno una settimana.
Invece di disporsi come tranquilla forza di governo. Assiste allo sbandamento
dei propri seguaci terrorizzati dalla ricomparsa della «Mummia», come la
chiamano sull'onda di una copertina di Libération .
Archiviata la novità incarnata da Matteo Renzi, sente il
richiamo della foresta e viene irresistibilmente attratto dalla replica
infinita dell'eterno teatro della Seconda Repubblica, in modo autodistruttivo.
Il Centro anche, fa il Centro come l'ha fatto in tutto il ventennio, con la
destra che ulula per esserne la controparte moderata e la sinistra che
rumoreggia in disordine per essere la controparte anche qui. Uno schema
asfissiante. Che vanifica un anno in cui, almeno sul piano dello stile e della
comunicazione politica, sembrava che l'Italia avesse trovato un punto di
svolta. E invece ecco questo collettivo ritorno ai riti del passato, senza aver
appreso la lezione. Per una campagna elettorale che si preannuncia come la più
brutta degli ultimi decenni. Se questo è il «ritorno della politica», rimpiangeremo
a lungo la breve stagione dei tecnici.
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