Quello che Camerlengo pensa di Ingroia, l'ho scritto varie volte e qualcuno, per curiosità, può digitare il nome del PM in procinto di aspettativa e leggere qualche post. Basti qui la sintesi che ripeto sempre : Meglio Ingroia politico che magistrato. Fa meno danni. Deve essere vero, se il direttore del giornale che ne ha sempre difeso le iniziative giudiziarie (ultima la penosa vicenda delle intercettazioni al Capo dello Stato, con la Corte Costituzionale a dare ragione al Presidente e torto alla Procura palermitana ), vale a dire Padellaro, del Fatto Quotidiano, lo invitava e ripensarci, perché " il Giudice Ingroia poteva fare più dell'onorevole".
Certo, come paventa qualche caro amico e collega, c'è il rischio che nel Parlamento si rafforzi il partito dei Giudici....Però, intanto qualcuno non si ripresenta (D'Ambrosio e spero anche Carofiglio, per dirne solo un paio ) e poi la lobby di certa magistratura esiste comunque, ed è forte, a prescindere dalla presenza fisica di qualche deputato o senatore in più. Insomma, allo stato, lo considero ancora il male minore. Senza contare che a questo giro rischia di essere fatto fuori anche DI Pietro, che da solo, con l'IDV, certo il 4% non lo prende !
Detto questo, riporto due splendidi interventi sull'ex PM Antonio Ingroia, Il primo è di Aldo Grasso, sul Corriere della Sera, l'altro di Mauro Mellini, un esponente radicale , amante della "giustizia giusta". Infatti così ha chiamato il suo Blog da cui l'articolo è ripreso.
Da Leggere ! Entrambi.
Una retorica da
canzonette del pm quasi-candidato
Quelli come Antonio Ingroia non si accontentano di fare bene
il loro lavoro, vogliono anche redimere il mondo. Per loro la spada della
Giustizia è sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene.
Dicono di impegnarsi ad applicare solo la legge senza guardare in faccia
nessuno, ma intanto parlano molto delle loro indagini anche fuori dalle aule
giudiziarie, contenti di esibire la loro faccia. L'esposizione mediatica, gli
interventi ai congressi di partito sono un diritto, ma per dimostrare la
propria imparzialità non bastano frasi a effetto, intrise di retorica alla Toto
Cutugno: «Partigiani della Costituzione», «Il libro dei sogni», «Un tesoro
smarrito sul fondo dell'anima» (non della schiena, dritta per intenderci).
Dopo un periodo di pausa attiva (da due mesi stava svolgendo
un lavoro investigativo patrocinato dall'Onu in Guatemala contro i narcos),
dopo il via libera del Csm, Ingroia ha offerto la sua disponibilità a
candidarsi (io ci sto!) chiedendo ai vari Di Pietro, Ferrero, Diliberto di
«fare un passo indietro». Tra i fan del nuovo líder máximo spiccano i nomi di
Moni Ovadia, Sabina Guzzanti, Fausto Bertinotti, Gino Strada, Vauro. L'ex
procuratore aggiunto vorrebbe anche Maurizio Landini e Michele Santoro.
In Guatemala ci è finito mentre si chiudeva «la madre di
tutte le indagini» della Procura di Palermo, quella sulla presunta trattativa
Stato-mafia, con le famose intercettazioni riguardanti anche il Colle (che non
pochi problemi hanno creato nei rapporti istituzionali) e il consigliere
giuridico del Quirinale, Loris D'Ambrosio, un tempo stretto collaboratore di
Giovanni Falcone, stroncato poi da un infarto.
A Palermo ha abbandonato l'inchiesta nella sua fase più
delicata e il comizio di venerdì non ha certo giovato alla sua reputazione (già
incrinata dalla gestione di Massimo Ciancimino) e alla credibilità della
magistratura italiana, alimentando il sospetto che l'attività giudiziaria,
specie se clamorosa, venga intesa da alcuni come opportunità per una carriera
politica.
Le debolezze del magistrato non lo rendono più umano, ma
soltanto più simile a un cittadino al di sotto di ogni sospetto.
PER FORTUNA C'E' INGROIA
Ora è di moda “scendere in campo”. A suo tempo lo fece
Berlusconi. Poi Montezemolo ha fatto più volte sapere che sarebbe sceso in
campo. Anzi no. Almeno per ora. E’ sceso in campo, anzi è sembrato (o hanno
fatto in modo che sembrasse) che fosse sceso dal più alto dei cieli
“SuperMario” Monti. Il quale, però, proprio “in campo” non si sa ancora se ci
scenderà. Ma secondo le ultime notizie sembra di sì.
Qua e là per
l’Italia “sono scesi in campo” quali aspiranti sindaci, presidenti di
circoscrizione, candidati al Consiglio Comunale, personaggi noti ed ignoti (per
lo più ignoti).
Non mi intendo
abbastanza di calcio per sapere se “scendere in campo” si dice di quei
giocatori che stavano “in panchina”. I quali non debbono affatto “scendere”
perché la “panchina” è sullo stesso piano del campo in cui si giuoca.
Invece questi
personaggi importantissimi che decidono di andare a giuocare la partita della
politica “scendono” tutti: si direbbe che stavano tutti tra le nuvole, molto,
molto in alto quanto non è dato nemmeno immaginare a noi poveri terrestri.
Una volta le
campagne elettorali si facevano agitando le ideologie e cercando di
confrontarle. Qualche volta venivano fuori anche delle idee. Oggi che una Costituzione
immaginaria pone gli elettori di fronte alla scelta (si fa per dire) niente
meno che del Presidente del Consiglio, che si fanno le Primarie per scegliere
un candidato presidente che o è già stato scelto (ricordate le prime Primarie,
quelle per scegliere la già avvenuta scelta di Prodi) e probabilmente, magari,
sarà sostituito poi da un altro se si farà una coalizione diversa (ma le
cosiddette Primarie resteranno quelle che, chi sa perché, anche le persone
serie chiamano “una grande prova di democrazia” invece di “una autentica presa
per i fondelli”) oggi, dicevamo, le elezioni si fanno a colpi di “discese in
campo”.
Le idee da mettere
a confronto, andatevele a cercare. A che servirebbero, del resto? Non vi fidate
di quelli che, dall’alto dei cieli scendono in campo?
Le idee che
c’erano o che, almeno, ogni tanto venivano tirate in ballo, magari per dire che
occorreva meglio ponderare i particolari etc. etc. oggi non servono più.
Oggi ci sono i
personaggi “di riferimento”: come dire quelli che le idee dovrebbero averle e
che non sta bene dubitare che non ne abbiano o
abbiano quelle sbagliate.
E, poi, pare che le idee “discutibili” quelle che varrebbe
la pena ipotizzare che i “personaggi di riferimento” le abbiano anche per
nostro conto (cioè per conto di quelli di noi che ad essi si “riferiscono”)
debbano riguardare argomenti “ammessi”: lo spread, prima di tutto. Il resto, in
generale, è considerato solo in quanto capace di influire negativamente sullo
spread, di ridurre o aumentare la “stabilità” etc. etc.
L’Europa, che oggi
sembra ci guardi arcigna con una bacchetta con la quale è pronta a colpire se
non facciamo i bravi bambini, una volta lanciava giudizi allarmanti sulla
nostra giustizia. Insistendo sul generico e su qualche risultato: processi
troppo lunghi, libertà del cittadino troppo poco garantita etc. etc. Gli
ammonimenti europei, in genere, erano “interpetrati” da ciascuno a modo suo.
Oggi manco quello.
Del resto l’Europa
non ha mai seriamente detto una parola sulla trasformazione della giustizia in
feudo dei magistrati, sull’esorbitanza del potere giudiziario, sulla
subordinazione della giustizia per i cittadini alle esigenze di carriera, di
comodità, di potere e di preminenza dei magistrati. Niente, quindi, sul vero problema italiano della giustizia.
Figuriamoci dunque
che cosa ci resta oggi in questa campagna elettorale sotto la bacchetta dei
“poteri forti” europei, da discutere, da sperare, da pensare sulla giustizia.
Per fortuna, c’è
Ingroia. Il Ministro della Giustizia (avvocato da sette milioni di euro l’anno)
ha fatto alcune dichiarazioni sulla candidatura (ma chi è che lo candida? A
sentire come parla si direbbe che è lui a “candidare” gli altri!). Per la
Severino va bene, ne ha il diritto, ma… Ma il problema è che anche la Severino
non pare abbia avuto niente da dire quando è veramente “sceso in campo” non da
candidato, ma da magistrato, quando ha proclamato da magistrato le “verità”
della storia, e delle storie e delle storielle. Quando da magistrato ha annunziato
che “lui sa”. In fondo, oggi, candidandosi come uno qualsiasi, Ingroia rientra,
si può dire, in una certa legalità.
E, poi, la sua
candidatura impone a tutti di parlare di giustizia o, se vogliamo essere seri e
puntuali nel linguaggio, di quella parodia di giustizia che il partito dei
magistrati, con le sue frange ed i suoi contorni di estremismo eversivo, ha da
anni ammannito al Paese. Di parlarne, certo, con qualche maggior concretezza di
quanto ne abbia capacità la Severino e dimostri di esserne capace. Ci impone, o
ci imporrebbe di parlare di giustizia e di magistrati. E di politica dei
magistrati.
Se neanche Ingroia
candidato basterà a rompere il muro del silenzio che chiude come in un loculo
la questione giustizia e la sua centralità nella vita italiana, tuttavia, non
ci meraviglieremo. Non c’è maggior sordo di chi non vuol sentire. E nessuno ci
venga a dire che ora il miglior modo di fronteggiare Ingroia è quello di far
finta che non esita, di non dargli corda. Come se si trattasse di un fatto
personale, di una questione, magari d’ordine psicologico o un pochetto
psichiatrico.
L’eco delle parole
di Mannino, personaggio che non è certo stato mai nelle nostre simpatie
politiche, che ad Ingroia ha detto il fatto suo in televisione (ma non avrebbe
dovuto parlare solo di lui, ma di un sistema che, a suo tempo, lo stesso
Mannino aveva fatto ingigantire assieme agli Ingroia?) non si è ancora spento.
Non è proprio che
Ingroia candidato ci faccia pensare. Ma è un’occasione per liberarci dalla
tentazione di celare il nostro pensiero, su questioni assai più serie di
Ingroia stesso e delle sue imprese passate e future.
In tanto squallore
di una campagna elettorale, che ha tutta l’aria di essere una recita a soggetto
di guitti che hanno perso il copione, la “questione magistrati” (non parliamo
di giustizia per non recarle offesa) richiede, così, che le si dedichi un po’
d’attenzione.
Meglio di niente.
Per fortuna, dunque, che c’è Ingroia.
Vi ricordate
quella canzoncina di tanti anni fa: “E per fortuna che c’è Riccardo quello che
giuoca sempre a bigliardo…”.
Provate a farne la
parodia, sarà divertente.
Nessun commento:
Posta un commento