mercoledì 30 gennaio 2013

DORANDO PETRI NEGLI INCUBI DI BERSANI



Fino a quando continuerò a leggere e sentire definire la coalizione PD, SEL e PSI "centro sinistra",  chiederò "MA PERCHE' CENTRO ??".
SEL e PSI non hanno problemi di identità da questo punto di vista, comprendo viceversa che possa averli il PD, per la sua genesi. Nel 2007  il partito dei DS, vale a dire i successori del PCI, e quello della Margherita, cioè i sopravvissuti della sinistra democristiana più diciamo certa parte laica e "riformista" dell'elettorato , si sciolsero per fondare un nuovo soggetto politico , appunto il PD. La somma dei due partiti, lo si era sperimentato nelle elezioni precedenti, non arrivava al 30%, sfiorando l'uno il 20 e l'altro il 10. Fusi, alle politiche del 2008, perse con Veltroni alla guida, si superò il 33%. Che dai sondaggi odierni sembra traguardo non raggiungibile.
Perché invece di crescere in questi quasi sei anni il PD è rimasto dov'era e anzi, retrocede ?
Perché il grande progetto innovativo è fallito, e la pur onorevolissima sconfitta di Renzi alle primarie è lì a dimostrarlo . La sinistra diessina , più numerosa ma anche più ricca e organizzata, ha fagocitato il centro e marginalizzato la parte Liberal del partito. Questo non ha portato ad aumentare gli aderenti, semmai a perderne. Lo diceva Renzi : con me, si arriva da SOLI al 40%. Hanno preferito restare chiusi, recuperando confini e posizioni antiche. L'alleanza con il centro si potrà sempre fare, anzi si dovrà, anzi si dovrà...ma DOPO le elezioni, e in posizione di prevalenza.
Antonio Polito, che per me resta uno dei più acuti osservatori delle cose di quell'area politica, anche per averla frequentata dall'interno (fu senatore dei DS eletto nel 2006, e spesso in TV come esponente dell'Unione prodiana ) , sottolinea questo evidente schiacciamento del PD a sinistra, iniziato con la segreteria Bersani, con l'uscita dal partito di personaggi importanti come Rutelli (ricordiamolo : era il Segretario delle Margherita nel 2007 ) e altri che oggi appoggiano e sono candidati con Monti, e accentuato con l'alleanza con SEL . Noi organizziamo il campo dei progressisti, ha detto Bersani, peccato che da questo campo ha praticamente escluso la parte Liberal, Radicale, Liberale e Laburista ...marginalizzandola.
Il motivo, dice Polito, è la sindrome risalente al PCI d'antan : nessun nemico a sinistra.
Non pare che funzioni, però contribuisce alla chiarezza.
La sinistra - senza più centro - si candida alla guida del paese senza più maschere, com'era quella del democristiano e cattolicissimo Prodi, e alleanze eterogenee.
Si passi alla conta e vedremo quanto pesa effettivamente in Italia.
Se nemmeno stavolta, che dopo 70 anni ha un'occasione UNICA, vista la debolezza e la frammentazione dei competitor, riesce nell'intento e sarà costretta per governare a cercare alleati in giro, con tutte le difficoltà di convivenza conseguenti, avrà subito una lezione storica che nemmeno nel 1948.
Vedremo. Intanto, buona lettura



IL PD E I NEMICI A SINISTRA
Perdere la medaglia arrivando primi




Nel Pd serpeggia una specie di «sindrome Dorando Pietri»: la paura cioè di perdere la medaglia d'oro pur arrivando primo al traguardo della maratona elettorale, come accadde all'atleta italiano ai Giochi del 1908. Nessun altro contendente sembra infatti in grado di battere la sinistra, ma la lotteria del Senato può mutilarne la vittoria fino a renderla di Pirro. I sondaggi danzano sul filo nelle Regioni contestate. Non resta che aspettare la notte dello spoglio, e vedere se il dio delle elezioni si giocherà a dadi il futuro dell'Italia.

Ma l'ansia del Pd nasce anche da altri elementi. Le rilevazioni dicono che il suo consenso si sta ridimensionando rispetto ai picchi delle primarie, e ancor più dopo lo scandalo di Siena. Eppure entrambe le cose erano prevedibili. Più preoccupante è un altro dato che emerge dal sondaggio Tecnè (realizzato per Sky Tg 24 e pubblicato ieri in prima pagina dall' Unità ). L'intera coalizione di sinistra infatti è data al 34,5%; cioè sotto la fatidica soglia del 36,26%, che è la somma di quanto ottennero cinque anni fa (anche se allora divisi) il Pd di Veltroni e la Sinistra Arcobaleno. Il partito di Bersani è infatti oggi accreditato di tre punti in meno rispetto al 2008 (dal 33,2 al 30,2%), e quello di Vendola è dato al 3,8%, cioè appena uno 0,7% in più. Discorso analogo per il confronto con il 2006, quando invece del Pd in campo c'era l'Ulivo. Sette anni fa la lista guidata da Prodi ottenne infatti il 31,3% e Rifondazione comunista il 5,8%: la somma dava dunque un 37,1%, sempre più di oggi.

Se questo sondaggio venisse confermato, ma anche se migliorasse di un paio di punti, darebbe ragione a chi sostiene che la sinistra italiana ha sempre lo stesso tetto elettorale e che ha fallito anche stavolta il tentativo di sfondarlo. Obiezione alla quale i dirigenti del Pd potrebbero benissimo rispondere con un'alzata di spalle, visto che con il peggior risultato da quando esiste il Pd vincerebbero comunque le elezioni. Se non fosse per un dettaglio.

Il dettaglio è che la frantumazione elettorale che consentirebbe oggi alla sinistra di vincere pur senza convincere può anche essere la sua dannazione dopo il voto. Si è creata infatti a sinistra del Pd e di Vendola un'area di dimensioni mai prima conosciute: tra Grillo, accreditato del 14,7%, e Ingroia al 4,8%, c'è un venti per cento circa dell'elettorato che si schiera per politiche più radicali o più populiste, e comunque di opposizione. Naturalmente né Grillo né Ingroia possono essere definiti tout court uomini di sinistra, avendo invece al loro arco molte frecce che vengono dalla cultura politica di una destra «law and order». Ciò non di meno, entrambi attaccano il Pd da sinistra, rimproverandogli cioè una propensione al compromesso che lo renderebbe molto simile al Pdl (Grillo lo chiama «Pdl meno elle»). Si assiste così al paradosso che proprio quando Bersani ha scelto la linea del «pas d'ennemis à gauche», spostandosi a sinistra per rappresentare l'intero arco dei «progressisti», si è affollato come mai il campo di coloro che da sinistra tenteranno di rendergli la vita impossibile se e quando andrà a Palazzo Chigi.

Ci sarebbe da riflettere. La verità è che, anche volendo, un partito di governo non può non avere nemici a sinistra. Non foss'altro perché ha governato. Prendete il caso Monte dei Paschi: dopo mezzo secolo di gestione, come si può immaginare di uscire indenni dalla sua crisi? E infatti Ingroia ne approfitta e dice di sentire «odore di tangenti», invece del «profumo di sinistra» che vorrebbe spargere Vendola. Non è un caso se in tutta Europa i partiti socialdemocratici alzano una barriera alla propria sinistra, tenendo fuori quella radicale: la Spd non si allea con la Linke, i socialisti spagnoli non si alleano con Izquierda Unida, e neanche Hollande con Melenchon, che pure aveva ottenuto l'11% alle Presidenziali. Perfino i socialisti greci, pur travolti nel disastro del Paese che avevano governato, si sono rifiutati di seguire all'opposizione il partito estremista ed antieuropeista di Tsipras.

La storia dice che la rincorsa a sinistra, lungi dal portare molti voti (Vendola oggi vale quanto Casini nei sondaggi) porta molte grane; perché per ogni estremismo accolto, ne nascono due nuovi. Ma è troppo presto per giudicare sulla base di sondaggi, e certamente i dirigenti del Pd avranno valutato attentamente questo rischio.


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