L'editoriale di Luciano Fontana è l'articolo che ogni tanto ti capita di leggere proprio il giorno dopo che stavi formulando gli stessi pensieri. Veramente, erano più di un giorno che mi frullavano per la testa.
Parlo della ruvidissima polemica elettorale in corso tra quelli che tutti pensiamo saranno i prossimi alleati di governo : Monti e Bersani. Io, come tanti, ho naturalmente pensato si tratti di pantomime, volte a rastrellare (con l'inganno evidentemente ) elettori non di sinistra il primo , MOLTO di sinistra il secondo, specie col timore che quell'elettorato finisca sempre più drenato da Ingroia e i suoi, con il rischio concreto di perdere voti importanti nelle regioni incerte per la vittoria al Senato.
Insomma, i classici Ladri di Pisa, che di giorno si azzuffavano e di notte andavano a rubare insieme.
Però intanto , un conto sono le baruffe tra politici di lungo corso...come Casini con Vendola o lo stesso Bersani per dire...che sono abituati a fare poi finta di nulla il giorno dopo ( lessi questo stupore da parte di un eletto per una sola legislatura...la cosa che più l'aveva colpito da neofita era questa capacità di dirsi cose sanguinosissime un giorno, roba che tra persone normali la rottura sarebbe definitiva, e quello appresso salutarsi come se nulla fosse...), diverso è con un personaggio come Monti , estremamente suscettibile , ma permaloso sarebbe più corrispondente al vero, e che non dovrebbe essere abituato a questi teatrini .
Per un anno Bersani e il PD si sono impazziti a conciliare l'appoggio al governo, preteso da Napolitano che le Camere non gliele avrebbe sciolte se non a carissimo prezzo, e le strattonate della CGIL e della pancia più autentica di quel partito. Parlano di lealtà, io parlerei di forza maggiore che però è stata condotta come al solito con più compattezza di quella vista dalla parte opposta. E' anche vero che, sull'unica riforma veramente critica per il PD, quella sul lavoro, si sono messi ben di traverso, come preteso dalla Camusso, e hanno fatto partorire un aborto. Sulle pensioni non fecero UN FIATO, e adesso elettoralmente Bersani alza il ditino per gli esodati ? Questo comunque è il passato. Il futuro come sarebbe dopo tutte queste urla e colpi bassi ?
E soprattutto, con il PD sempre più a sinistra (i giornali continuano a scrivere "centro sinistra", mi spiegano perché mai ? il PD è sinistra e basta, nemmeno più Liberal. Non è un male. E' così ). , con una agenda economica che parla sempre di più un linguaggio non tanto lontano da Monti, che alla fine può valere poco, ma da quello dell'altro Mario , che conta assai di più, e sta a Francoforte. Draghi ancora l'altro giorno parlava di tasse da diminuire e tagli da effettuare. L'esatto opposto della sora Camusso e che Bersani ora appoggia....Bene, come farà il PD a portare avanti una politica economica fatta di patrimoniale, spesa pubblica, annullamento dell'unica riforma decente del montismo ? così fuori dai criteri tuttora dominanti in Europa ?
Buona Lettura
La polvere che resterà
Una campagna di veleni e
attacchi
Dobbiamo confessarlo subito:
siamo stati molto ingenui. Pensavamo che l'anno di tregua, con un governo
tecnico sostenuto dalla «strana maggioranza» Pd-Pdl-Centristi, avesse cambiato,
almeno un po', il panorama politico italiano. Invece è come se questo anno non
fosse mai esistito. Cancellato, azzerato, rinnegato. Basta parlare di pareggio
di bilancio, riforma delle pensioni, contratti, liberalizzazioni, tagli alla
spesa pubblica. Si torna alle antiche certezze: promesse che non saranno mai
mantenute e fendenti tra i leader delle forze politiche.
La serietà del confronto è
svanita anche tra chi dovrebbe, secondo i sondaggi, garantire dopo il voto un
governo stabile al Paese. Gli scambi di accuse velenose tra Pier Luigi Bersani
e Mario Monti sono talmente tanti che diventa difficile seguire il crescendo
degli ultimi giorni e capire davvero chi ha iniziato le ostilità. Il segretario
del Pd, aspirante premier del centrosinistra, ha rinfacciato al Professore di
non essere un gran tecnico, di aver creato gli «esodati» (i lavoratori nel
limbo senza salario e senza pensione), di nascondere la «polvere sotto il
tappeto» (i conti pubblici non sarebbero a posto come afferma il governo
uscente), di andare a braccetto nel Ppe con politici populisti come Berlusconi
e l'ungherese Orban. Per finire con due affermazioni categoriche: non mollerà
mai Vendola e la Cgil per fare un'alleanza con i centristi; e Monti non speri
di fare il premier o il presidente della Repubblica.
Il Professore, riposti nel
cassetto gli abiti british e indossati quelli suggeriti dal nuovo consigliere
David Axelrod, non è stato da meno: il Pd, parlando di conti fuori controllo,
crea «sinistri equivoci sui mercati»; la sinistra succube della Cgil ha impedito
una buona riforma del lavoro; Bersani e lo stato maggiore democratico non
fingano di essere estranei alla catastrofe del Monte dei Paschi di Siena.
Stoccata finale: Pd e Pdl hanno rovinato per vent'anni il Paese. E per il dopo
voto è possibile un dialogo con il centrodestra senza Berlusconi.
Certamente le campagne
elettorali sono fatte per strappare voti agli avversari. L'incomunicabilità di
oggi potrebbe sbriciolarsi domani. Ma se il gioco della delegittimazione
continuerà nei prossimi giorni di competizione, come potranno centrosinistra e
centristi dare vita a quell'alleanza di governo che sembrava lo sbocco più
probabile (e auspicato dagli stessi protagonisti) del dopo voto? Tutto avrebbe
il sapore del trasformismo e dell'antico vizio italiano di mostrare la faccia
feroce per poi accomodarsi.
In realtà i motivi di
preoccupazione sulla coerenza di un patto tra Monti e Bersani non mancano. Il
Pd ha sopportato per necessità il governo dei tecnici, già negli ultimi mesi
dell'esecutivo il fossato si era allargato. Sulla pessima riforma del lavoro
licenziata dal Parlamento hanno pesato i veti della Cgil.
E in campagna elettorale sono
tornati vecchi temi cari alla tradizione socialista: ruolo predominante dello
Stato, spesa pubblica e assunzioni statali come motore della crescita, fine
della liberalizzazione dei mercati, in particolare quello del lavoro. Bersani
vuole naturalmente tenere unito il suo mondo. È preoccupato della concorrenza a
sinistra e convinto di potercela fare da solo. Le esperienze passate con le
sconfitte delle «gioiose macchine da guerra» progressiste dovrebbero spingerlo
alla prudenza.
Mario Monti ha via via alzato
il tono dello scontro con il Pd e con il suo sindacato di riferimento, la Cgil.
L'obiettivo è fermare la corsa di Bersani verso la premiership. Sostiene
un'agenda in cui il rigore, il rispetto dei patti europei, la flessibilità nel
mercato del lavoro e la riduzione dell'apparato pubblico sono punti
irrinunciabili. Forse sta anche riflettendo sull'opportunità perduta di costruire
un polo moderato collegato al Partito popolare europeo, capace di attirare le
forze del Pdl che non si rassegnano al populismo berlusconiano.
Ma le velleità di vittorie
solitarie e gli anatemi stanno bruciando la possibilità di proseguire insieme
il faticoso lavoro di uscita dalla crisi. Crisi del debito, ma soprattutto di
imprese che chiudono e italiani che restano senza lavoro. Il rischio è di
trovare nel dopo voto solo rovine: un Parlamento senza una maggioranza unita,
un governo instabile che vanificherà i pesanti sacrifici fatti dagli italiani,
un Paese in cui riprenderanno fiato gli estremismi di ogni genere. Di macerie
ne ha lasciate tante la Seconda Repubblica, meglio non aggiungerne altre.
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