I media ci riempiono di bellissime promesse, dando clamore agli annunci shock dei partiti, con tasse che scenderanno, tanto...(che non si capisce perché per un anno TUTTI i partiti del Parlamento uscente, Di Pietro e Lega esclusi, le abbiano approvate...) , crediti delle imprese che verranno finalmente pagati (se lallero...60 miliardi, forse 100....non sanno nemmeno a quanto ammontano i loro DEBITI !!), la fiscalità sul lavoro abbattuta per far ripartire l'occupazione (altro colpo all'Erario...). Ovviamente il più generoso, per "natura", è Berlusconi. Ma anche il sobrio Monti e il leader della sinistra "tassista" si allargano, ancorché meno (del resto, sono quelli che più probabilmente saranno chiamati a MANTENERLE quelle promesse, per cui sono più prudenti...).
La gente si mostra incredula, però molti un po' ci sperano...anche perché in tanti si ripetono : così non può andare avanti, la crisi dovrà finire !
Io pure penso che finirà, ma credo anche che le cose NON torneranno come prima, e questo per il semplice fatto che per arrivare qui abbiamo truccato il gioco e ci siamo inventati il Debito Pubblico a crescita perenne, pensando che si trattasse di qualcosa che nessuno avrebbe dovuto mai restituire...
Il che è anche auspicabile, anche perché come faremmo mai a ripagare 2.000 miliardi di euro ???
Però, perché quel debito NON sia restituito, bisogna che sia RINNOVATO. E per farlo bisogna pagare un interesse, più o meno alto. Oggi il costo annuale è di circa 80 miliardi di euro, che non vengono utilizzati per investimenti, per servizi...no. Solo per pagare dei soldi che abbiamo GIA' speso e che NON possiamo restituire. Si può fare questo per SEMPRE ? C'è chi sostiene di sì. In Europa hanno detto di no, e quindi, sia pure gradualmente , questo debito va diminuito ( vale a dire, ripagato), riportandolo ad un tetto decente che è stato fissato al 60% del PIL. Per noi si tratta di DIMEZZARLO !
Se questo è lo scenario, ecco che , a scanso di un nuovo miracolo che all'orizzonte non s'intravede ( che so, c'inventiamo qualcosa che sappiamo fare solo noi, e che un miliardo di cinesi decidono che devono avere a tutti i costi !! ) , l'Europa in genere, e l'Italia in particolare dovranno riformarsi come popolo, non solo come istituzioni, e ad immaginare una vita dignitosa, sufficientemente tranquilla, ma non così piacevolmente dispendiosa come l'anno conosciuta le generazioni di quelli nati alla fine degli anni 70 e nel decennio successivo. Noi, quelli del baby boom, siamo stata la prima generazione del nuovo benessere, dell'Italia industrializzata. Alla maggior parte di noi non è mancato nulla, abbiamo potuto studiare, con profitto alterno ma comunque gratuitamente, e abbiamo visto sanità gratis e previdenza sempre più generosa, col passaggio dal contributivo al retributivo (adesso siamo tornati indietro) e pensioni di anzianità a livelli ridicoli (anche 16 anni bastavano per andare in pensione con una retribuzione vicina all'ultimo stipendio ! ). Queste cose non le abbiamo trovate...abbiamo visto farle man mano che crescevamo...La nostra vita era serena, ma NON piena di oggetti e ricca di feste, locali, ristoranti, we e vacanze costose come pian piano sarebbe diventata regola, mai per tutti ovvio, ma per i più sì.
Le Maldive erano meta esotica per un viaggio di nozze da sogno, adesso il barista del mio bar abituale va a Dubai...Come fa, non lo so, né mi sogno di andarlo a chiedere a Befera : fatti suoi.
So che mi stupisce che lo faccia OGGI, di questi tempi, mentre fino a 4-5 anni fa non mi avrebbe meravigliato per NULLA.
Ecco, tutto questo penso che finirà, per non tornare.
Ricordandomi la mia infanzia e adolescenza, non credo sia un brutto ritorno...
Questo l'articolo di Polito sull'Editoriale odierno del Corriere, che riprende un po' questi temi, trattandoli meglio.
Buona Lettura
LA COMPETITIVITÀ, TEMA DIMENTICATO
Non ci sono più pasti gratuiti
Forse stiamo avendo la campagna elettorale che ci meritiamo. Si avverte rassegnazione, assuefazione a un destino di impoverimento e di declino. Ognuno se ne lamenta, certo, e ognuno cerca di lenirne il disagio tirando la coperta dalla propria parte, magari preparandosi a votare per chi promette di proteggerlo di più; ma nessuno sembra davvero credere che esista il modo di allargare la coperta. L'essenza della crisi italiana resta nascosta, taciuta: produciamo troppa poca ricchezza rispetto a quanta ne consumiamo. Per questo ci siamo riempiti di debiti. Se vent'anni fa si poteva credere allo slogan «meno tasse per tutti», ora il pessimismo consiglia un «meno tasse per me e più per gli altri». Il tarlo del «gioco a somma zero», l'idea che se uno sta meglio un altro deve per forza stare peggio, si è insinuato nello spirito pubblico della nazione. In parte è l'effetto di una lunga depressione. Ma ne è anche la causa. Abbiamo avuto quindici anni di stagnazione e cinque di recessione; nessuno, neanche il Giappone, ha conosciuto un ventennio peggiore.I partiti attizzano la guerra fratricida tra italiani per le risorse pubbliche, ingegnandosi a scovare sempre nuove tasse per sostituire quelle che pagano i propri elettori: accise sui tabacchi al posto di imposte sulla casa, condoni dei capitali in Svizzera invece che gettiti di Equitalia, patrimoniali sui ricchi per sconti sui poveri. Si illudono di usare il Fisco come strumento salvifico di giustizia sociale. Di conseguenza si scagliano addosso devastanti sospetti di clientelismo fiscale: i quattro miliardi dell'Imu servono a salvare il Monte dei Paschi o a pagare le multe per le quote latte?L'altra sera in tv c'era un servizio sulla crisi della storica Cartiera Burgo. Un operaio la spiegava semplicemente così: non siamo più competitivi, l'energia elettrica costa troppo, non conviene più produrre qui. Si potrebbe aggiungere che anche il costo del lavoro è troppo alto, nonostante i salari siano troppo bassi, perché dalla nascita dell'euro a oggi è cresciuto in Italia il 30% in più della media europea. Si potrebbe aggiungere che non si investe in ricerca applicata, che il mercato del lavoro è ancora uno dei più rigidi del mondo, che i gradi di burocrazia necessari per avviare un'impresa sono cinquanta come le sfumature del grigio. Uno studio in circolazione a Francoforte mette il nostro Paese in fondo alle classifiche di tutti i fattori di competitività, compresi i livelli di corruzione e di educazione. Ma i politici in studio non hanno parlato di niente di tutto ciò. Hanno cominciato a snocciolare progetti, ovviamente finanziati con le tasse, per assistere le vittime di questo tsunami sociale o per disegnare «piani» per il lavoro, magari fantasmagorici come quello dei 4 milioni di posti evocato ieri da Berlusconi. Ma come si crea lavoro se non si producono più beni e servizi, e a costi minori?Ha scritto Lorenzo Bini Smaghi sul Financial Times che la parola mancante di questa campagna elettorale è quella cruciale: competitività. La nostra non è migliorata neanche dopo la crisi, nonostante la cura da cavallo della svalutazione interna: è infatti cresciuta meno che in Spagna e Irlanda, perfino meno che in Grecia. Per questo noi italiani stiamo soffrendo più di ogni altro in Europa, con l'eccezione dei poveri greci: dal 2008 il Pil è sceso di 7 punti, facendo fare al nostro reddito un balzo indietro agli anni 90. La crisi è così grande che non andrebbe sprecata. E invece la stiamo sprecando, con una campagna elettorale che somiglia sempre meno all'alba della Terza Repubblica, e sempre più a una reincarnazione della Seconda.
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