martedì 26 febbraio 2013

MARONI VINCE IN LOMBARDIA. LA MACROREGIONE ORA POTENZIALMENTE C'E'



Dopo il Senato, la Lombardia gira le spalle a Bersani e alla sinistra anche alla Regione. E' un risultato importante, sul quale Maroni aveva puntato tutto. Se non avesse vinto, come ormai pare che invece sia ( a due terzi dei voti scrutinati è avanti di 6 punti, e le proiezioni lo confermano in testa di 5) , la sua avventura politica sarebbe stata finita, e ingloriosamente. Ha imposto ai suoi l'alleanza indigesta alle politiche, che in molti non hanno accettato, come sembra evidente dal calo dei voti in Piemonte e Veneto (dove pure il centro destra si è affermato piuttosto agevolmente , mentre il Piemonte è stato perso per poco ).
Però alla fine la Macro Regione sulla carta l'ha formata : il Nord, cioè la parte più popolosa e ricca (meno povera ? ) del Paese, è oggi governata dal Governatori della Lega. Certo, il suo elettorato è ai minimi storici, ma bisognerà vedere adesso cosa accadrà, con la rinuncia a Roma e il recupero totale dell'identità territoriale...
Intanto anche questo è un successo affatto scontato, dopo tutti gli scandali e le vicissitudini dell'ultima parte dell'"era" Formigoni.
Ecco il commento di Aldo Cazzullo sul Corriere on line






Roma resta senza governo
Ma al Nord comanda la Lega

La «vacatio» nei Palazzi del governo e, tra poco, del Quirinale
Il progetto macroregione e la scommessa (vinta) dai Lumbard

Mentre a Roma si discute, il Nord è espugnato. Nella capitale non c’è il governo, e le tre grandi Regioni del Settentrione sono in pugno a una forza che resta antisistema. La Lega, pur scendendo ai minimi storici, vince la sua scommessa e realizza il suo scenario ideale: prendere il potere al Nord, mentre i Palazzi romani – la sede del governo, tra poco il Quirinale e persino il Papato – sono vuoti. Da una parte, un Paese ingovernabile, un rebus complicatissimo da risolvere senza ricorrere ad elezioni anticipate, con i mercati a speculare contro l’Italia e l’Europa a reclamare un interlocutore che non c’è. Dall’altra parte, la macroregione che rappresenta da sola la gran parte della produzione industriale italiana, della finanza, del design, della moda, dell’editoria, della ricerca, nelle mani di un partito che nega l’Italia stessa. Davvero uno scenario da brividi.
OBIETTIVO SECCESSIONE - Non è affatto vero che con Maroni la Lega abbia rinunciato alla secessione. È vero il contrario. Maroni ha rinunciato a cambiare le cose da Roma, e ha scelto la strategia opposta: ripartire dal territorio, prenderne il controllo, e giocare da lì la partita anti-sistema, anti-establishment, anti-Stato; il che di questi tempi non significa affatto vogare controcorrente, anzi. Il leader leghista l’aveva detto, proprio al Corriere: «Gli Stati nazionali non esistono più. La politica monetaria, i bilanci, ora pure il fisco: si decide tutto a Bruxelles. Noi non siamo contro l’Europa. Siamo per una nuova Europa, fatta non più da Stati ma da macroregioni. Ci candidiamo a costruire quella del Nord». Il primo passo gli è riuscito. Il rischio per la Lega era pazzesco, e Maroni non ha esitato a correrlo: sacrificare il Veneto, dove Tosi e Zaia sono passati dal 34% all’11, e il Piemonte, dove la giunta Cota pareva sul punto di crollare, per prendere la Lombardia, a costo di stringere l’ennesima alleanza tattica con Berlusconi.
LA SFIDA DELLE TASSE - La scommessa è vinta. La Lega non può certo pensare di fare la secessione con un pugno di voti. Ma ora si ritrovare a gestire un potere immenso, ulteriormente accresciuto dalla «vacatio» a Roma. Trattenere il 75% delle tasse in Lombardia a dispetto della legge non sarà facile. Il centrosinistra ha ancora una carta da giocare: Matteo Renzi. Il centrodestra no. Ma intanto, finché non si fa un governo stabile o non si indicono nuove elezioni, la Lega è l’unica forza che governa davvero.

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