Sono in diversi a sostenere che DESTRA e SINISTRA sono concetti superati, specie tra i giovani. Non ho dubbi sulla seconda affermazione, ma non per motivi che considero validi, piuttosto per una certa superficialità (ignoranza è parola brutta) politica di molti juniores. Per gli adulti, e tra questi persone serie colte e preparate come Monti, Giannino, e, nell'informazione, Pierluigi Battista, il discorso è diverso e ha sicuramente argomenti al suo arco.
Se non si è fortemente ideologizzati , ma c'è gente che ancora lo è, in effetti i due concetti si sono un po' corrotti vicendevolmente, e trovi condivisioni, addirittura ribaltoni, delle posizioni originarie. Ne abbiamo già parlato : oggi il garantismo è più concetto dei moderati, che non di una sinistra troppo spesso tentata dal giustizialismo. Molte persone liberali sono oggi assai più aperte sui discorsi delle libertà civili, così come tante di sinistra accettano i concetti di libera iniziativa e di merito.
Però restano delle bussole guida prioritarie, che sono, come ricordava Eugenio Scalfari, giovedì scorso, alla presentazione dell'ultimo libro di Franco De Benedetti, la LIBERTA', prioritaria sull'Eguaglianza, per la Destra Liberale, e viceversa per la sinistra. Come già evidenziato, non si tratta di esclusioni reciproche : i liberali non rinnegano il concetto di uguaglianza né le persone di sinistra quello di libertà (almeno, le componenti illuminate dei due schieramenti ). Però, come anche avviene nel diritto, a volte ci sono interessi meritevoli entrambi di tutela che possono confliggere in certe situazioni. In campo giuridico gli esempi sono infiniti : i rapporti tra conduttore e locatore, tra datore di lavoro e lavoratore, tra donna e uomo nella scelta della genitorialità, tra proprietà privata e interesse pubblico. Non c'è un soggetto giusto e uno sbagliato, in tutti i casi elencati. Ma parti che, nella dinamica delle relazioni umane e sociali, possono entrare in conflitto, e la regolamentazione dello stesso prevede di frequente la preferenza di un interesse sull'altro. E' una scelta, dettata dalla prevalenza di un certo sentire del legislatore (a volte legato anche al tempo, al periodo storico ) che si traduce in norma.
Ecco, a monte di questo processo, c'è appunto la "bussola" politica che un paese si dà. I compromessi sono spesso utili, a volte indispensabili, ma C'E' un NORD.
Il mio Nord è la Libertà, intesa anche come assunzione di responsabilità, di non pensare che debba esserci una entità superiore che a tutto PROVVEDE, perché tutto governa e decide.
Se faccio qualcosa, mi piace poter pensare che la faccio liberamente, e non perché qualcuno me lo impone.
Poi, ovviamente, siccome questa cosa deve valere per tutti, ci devono essere delle regole.
Sul tema delle differenze tuttora ben presenti tra pensiero liberale e socialista, torna, in modo ben spiegato (non sempre il "nostro" si esprime in maniera semplicissima ), Piero Ostellino nell'articolo che segue.
Buona Lettura
VERSO LE ELEZIONI
La politica può ancora proporre un modello di società aperta
Che potesse essere la campagna elettorale - attraverso il confronto fra le litigiose forze politiche in competizione per il governo - a generare e proporre un modello di «società aperta» era, forse, farsi qualche illusione non solo sulla cultura politica nazionale, ma anche e persino sulla stessa forza propulsiva del liberalismo dopo le crisi del Novecento. Sperare che, almeno nelle ultime battute del confronto elettorale, si rifletta tutti assieme sul passato, e la Politica proponga un plausibile modello di «società aperta» non è, però, del tutto illusorio. Affinché ciò sia possibile, occorre, d’altra parte, che si abbandonino gli stereotipi ideologici, la si smetta con le baruffe di bottega e ci si ponga l’interrogativo che la filosofia politica si è posta nei secoli: quale sia il fondamento etico dell’ordine sociale e politico.
Da parte del pensiero socialista, occorre capire che una versione non liberale della democrazia - l’eguaglianza a scapito delle libertà - è una pericolosa contraddizione in termini; bisogna prendere atto, perciò, dei limiti della conoscenza, rinunciando all’idea di una «ragione ordinatrice», identificata nello Stato che a tutto e a tutti provvede e persino alla fastidiosa «incombenza di pensare». La convinzione provvidenzialistica che lo statalismo, declinazione della «volontà generale» (democratica) e incarnazione della «ragione ordinatrice» (razionalistica), sia il (vero) fondamento dell’ordine sociale e politico ha generato, nel Novecento, i «mostri» chiamati fascismo, nazismo, comunismo e ancora minaccia le democrazie liberali del Terzo Millennio. L’ordine sociale - è questa la terza condizione da rispettare sotto il profilo conoscitivo - non è il prodotto razionale della mente umana. È il frutto di una sorta di spontaneismo e di evoluzionismo esistenziali che precede l’ordine politico e si concreta attraverso la molteplicità di azioni degli uomini. Che non perseguono un obiettivo «intenzionale», bensì, ciascuno di essi, la realizzazione di principi e di interessi soggettivi, l’uno diverso dall’altro e non di rado in competizione, e producono «inintenzionalmente» il Bene comune.
Ciò non significa, evidentemente, che la democrazia liberale sia il regno della soggettività portata alle estreme conseguenze, cioè dell’arbitrio o dell’indifferenza di fronte ai bisogni di chi non ha. Le libertà liberali sono un fatto giuridico; sono garantite dalla «democrazia delle regole»; e la tutela dei meno abbienti, prima che un imperativo morale, è l’utilitaristica difesa preventiva di chi ha contro eventuali rivolte sociali. La «democrazia delle regole», per dirla con Luigi Einaudi, che fu, innanzi e soprattutto, un uomo politico di buon senso, è il governo degli uomini di senso comune, cioè della Politica che affida la verifica dei propri atti alle loro conseguenze. Più che di improbabili governanti particolarmente geniali, avremmo bisogno di uomini politici di normale buon senso.
La straripante produzione legislativa (troppe leggi, regolamenti, licenze, permessi e divieti) e l’eccessiva invasività burocratica - che gravano sui processi sociali e caratterizzano in senso dirigistico l’intero nostro ordinamento giuridico - sono limitative delle libertà individuali e dello spirito di intrapresa; sono state, finora, pregiudizievoli alla nascita di una «società aperta». Nei giorni conclusivi della (brutta) campagna elettorale, le forze politiche dovrebbero porsi - ancorché ciascuna per proprio conto e nel rispetto delle proprie identità culturali -almeno il problema di tali limiti e prevederne la correzione.
Gli italiani, presi individualmente, pur con tutti i loro difetti sociali, morali e caratteriali come collettività, hanno le risorse umane per crescere culturalmente, politicamente e economicamente non meno dei cittadini di altri Paesi che ora ci sopravanzano. Solo che si incominciasse a trattarli come soggetti liberi e responsabili, smettendo di ritenerli incapaci di provvedere a se stessi nella libertà. Lo «Stato papà (e/o mamma)», condannandoli a una perenne condizione di infantile sudditanza, minaccia di relegarli in quella di una ancor più grave carenza generalizzata di libertà.
postellino@corriere.it
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