sabato 30 marzo 2013

EPPURE COS'è CAMBIATO RISPETTO AL NOVEMBRE 2011 ?



Giuseppe Turani è stato uno dei grandi sostenitori di Monti . Dal primo momento, quando erano in tanti ad esserlo, e fino alla fine, quando il numero era assai sceso. Sono certo lo abbia votato.
Ma se la "fedeltà" è rimasta, non così l'apprezzamento, che col tempo si è andato un po' affievolendo, ancorché sostenendolo sempre e denunciando quanto le crescenti inefficienze del governo tecnico fossero determinate dagli ostracismi crescenti dei partiti e delle varie corporazioni. Cosa vera, sicuramente, ma alla quale sarebbe stato bene che Monti reagisse con ben altra energia, forte dell'appoggio presidenziale ed europeo.
Comunque è andata così, e in effetti, quando si parla di governissimo, cioè l'unica alternativa logica (che Bersani scarta non perché improvvisamente folle, ma per interessi di bottega ormai evidenti ) al ritorno alle elezioni , io mi domando cosa possa far pensare che questo nuova coalizione allargata andrebbe diversamente dalla prima...A meno che non si mettano d'accordo con chiarezza sulle cose da fare, escludendo le altre sulle quali MAI potrebbero votare insieme - e quindi no riforma della giustizia penale, no articolo 18, no conflitto di interessi, no corruzione, no ineleggibilità, no patrimoniale - ma sì a : riforma elettorale, o con il ritorno al Mattarellum, o un sistema proporzionale tedesco, con un premio di maggioranza cristiano e non falsante come l'attuale, o il doppio turno col presidenzialismo alla francese ; riduzione dell'IMU, avvio della dismissione di quote del patrimonio pubblico per diminuire il debito ; riduzione del cuneo fiscale per dare ossigeno a imprese e lavoratori ; misure popolari contro i privilegi di politici e grandi burocrati ; riforme istituzionali come riduzione dei parlamentari e eliminazione del bicameralismo perfetto.
Ecco, queste cose, che Grillo NON voterebbe ma TUTTI gli altri sì, potrebbero essere la piattaforma di un governo votabile, prima di tornare alle elezioni.
E il Capo dello Stato, pare la vera partita di questo post elezioni, Napolitano. Magari col patto, se da lui stabilito, di sue dimissioni dopo la nuova tornata elettorale che portasse ad un responso non paralizzante come l'attuale.
Ecco comunque la bella nota del direttore Turani, che condivido integralmente




Molti anni fa, quando non pensava ancora alla politica (ma quando il nostro debito pubblico era già altissimi) Giulio Tremonti era solito fare una battuta con gli amici: “Siamo talmente nei guai che è folle pensare che possa tirarci fuori un partito o anche due. Bisogna mettersi tutti insieme”. Può darsi che con il tempo le sue opinioni siano cambiate. Ma in quella affermazione c’è un fondo di verità.
I nostri politici, abituati da una vita a fare i loro giochi, stanno continuando con le stesse mosse, e con gli occhi sempre puntati al possibile risultato elettorale di un dopodomani che alcuni immaginano vicino. Ma sbagliano, naturalmente. Il problema, per ora, in queste ore e in questi giorni, è di fare quello che serve perché ci sia un dopodomani, un futuro.
E qui si arriva alla questione: governo di tecnici o di politici? La mia idea è che il quesito mi appassiona assai poco.
Non esistono superiorità “naturali” o di genere. Se avessimo sottomano un De Gasperi, o anche un Togliatti, un Berlinguer, per non dire di un Ugo La Malfa, nessuno si porrebbe il problema. Si pensa ai tecnici quando si vede che la politica, i politici, grazie anche ai loro veti incrociati (che si accumulano come le liti in certe famiglie o in certe faide paesane) hanno superato la soglia tollerabile.
Mario Monti è arrivato a palazzo Chigi (ricordiamolo) non perché a qualcuno gli era venuta voglia di provare i tecnici, ma perché la politica era finita contro un muro. E era partito benissimo, alla grande. Poi hanno fatto di tutto per farlo perdere nel labirinto, e lui ha anche dato una mano.
Oggi il problema non è molto diverso. Il paese è davvero allo stremo. Quando la Confindustria lancia i suoi appelli, va creduta. Questa volta non si tratta di lamenti per strappare un po’ di finanziamenti: le imprese stanno davvero morendo. E gli imprenditori più tosti (decisi a non mollare) stanno pagando gli stipendi a rate.
Da questa emergenza bisogna uscire e bisogna farlo nel giro di pochi mesi, con poche misure molto secche e molto rapide (ci vorrebbe un Monti della prima ora, quello che in venti giorni fece la riforma delle pensioni). E per uscirne in fretta ci sono solo due strade da percorrere contemporaneamente: una bella sforbiciata alla spesa pubblica (per recuperare un po’ di soldi da investire nella crescita) e un trattativa onesta (ma chiara e precisa) con l’Europa per avere un po’ di respiro. Il tutto, ripeto, va fatto nel giro di trenta giorni. Così da essere pronti per usare quel che resta del 2013 per uscire dalla palude nella quale siamo finiti.
Si vede in giro uno statista-politico capace di tagliare autorevolmente 50 miliardi di spesa pubblica (senza che le lobby parlamentari lo mangino vivo) e di farsi ascoltare con rispetto a Bruxelles? Io non lo vedo, ma magari è colpa mia.
Vedo un tecnico con queste caratteristiche? In Italia, ormai, abbiamo un po’ affondato il mito Bocconi. Ci rimane la Banca d’Italia, che nessuno finora ha messo in discussione o accusato di partigianeria. E’ ora di chiamarla in soccorso (dopo, dovesse fallire, c’è solo la protezione civile).
Se poi l’uomo-Banca d’Italia lo si volesse circondare di politici autorevoli, giusto per dare un senso di compattezza nazionale, benissimo. Con una sola preghiera. Stiano zitti e lascino fare, per qualche mese. Poi, potranno ricominciare a fare le comari.

(Dal "Quotidiano Nazionale" del 30 marzo 2013)

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