sabato 30 marzo 2013

UN CAFFE' AMARISSIMO. SI ALLONTANA SENZA PERMESSO. LICENZIATO


Non ci credo... Un impiegato chiude lo sportello, noncurante del pubblico che attende e se ne va a prendere un caffè, lasciando, tale era l'urgenza di caffeina, la cassa aperta, e viene licenziato.
Da quel poco che si legge è più quest'ultima negligenza che gli sarebbe costata il posto di lavoro, che non l'aver disertato arbitrariamente il posto di lavoro lasciando gli utenti in attesa.
Il dipendente si sarebbe difeso (scusate i condizionali, ma quando leggo una notizia, specie di carattere giudiziario, diffido di una sola versione dei fatti e se non ho avuto   il modo di confrontarla con altre fonti, preferisco mantenere il dubbio sul fatto appreso ma non verificato ) eccependo la sproporzione tra condotta non corretta e sanzione, anche considerato che quella della pausa caffè "extra time" fosse prassi tollerata in ufficio, e comune alternativamente a tutti i colleghi. Della serie, se licenziate me, allora lo dovete fare con tutti. Capisco una difesa di questo tipo. Siamo in Italia mica in Svizzera o in Germania. E abbiamo visto licenziamenti annullati  in casi ben più gravi di questo : dipendenti in malattia che svolgevano un'altra attività, sistematico assenteismo, insubordinazione ai superiori, budge consegnati a colleghi che timbravano il cartellino al posto dei ritardatari cronici . Molti di questi casi sono stati spesso oggetto di trasmissioni come Striscia la notizia e le Iene senza che accadesse mai nulla, appunto per una tolleranza diffusa.
Sono quindi assolutamente disposto a credere che nell'agenzia di banca dove lavorava lo sportellista in questione la prassi fosse quella da lui descritta e ciò spiega la sua convinzione di subire una ingiustizia.
Magari, leggendo le carte, potremmo scoprire che il dipendente aveva già subito altri richiami, e quindi non è il singolo episodio ma la somma degli stessi. E comunque, non è il motivo per cui il lavoratore si è allontanato, ma la conseguenza nella fattispecie : la presenza di utenti di cui quindi si prolunga l'attesa e l'aver lasciata incustodita la cassa.
Resta che il licenziamento è la massima delle sanzioni, e, come detto, non è assolutamente la regola l'adozione di un rigore di questo tipo.
Non dico che sia ingiusto, ma allora SEMPRE. In modo che si capisca che un certo lassismo, anche giudiziario, è finito, e le persone non sfidino la sorte. Oggi, il pensiero comune non è che quell'uomo sia stato punito perché ha sbagliato, ma perché "è capitato coi giudici sbagliati".
Sfortunato insomma.
Ecco la cronaca


LA SENTENZA

Caro caffè, per la Cassazione è legittimo
il licenziamento per un break di troppo

Il caso di un bancario siciliano che si era allontanato lasciando la cassa aperta e rallentando le operazioni

PALERMO - La pausa caffé? Può costare cara, ma molto cara. È stato così, almeno, per un bancario siciliano, messo alla porta dal Credito Emiliano per un break di troppo: quel licenziamento è stato convalidato dalla sezione lavoro (sentenza 7819) della Corte di Cassazione, che ha confermato la decisione della Corte di Appello di Caltanissetta. I giudici, ben inteso, precisano che la sanzione dell'espulsione non può riguardare di certo tutti i lavoratori che si concedono una pausa al bar. L'elemento discriminante risiederebbe nel fatto che quell'allontanamento crei, o meno, un rallentamento rilevante del lavoro.
«RALLENTÒ LAVORO» - La questione è stata sottoposta per due volte ai giudici del Palazzaccio. Nel 1998 il dipendente era stata licenziato perché si era rifiutato di effettuare un'operazione complessa richiesta da un cliente, e poi, a distanza di sei giorni, aveva lasciato la cassa aperta ed i soldi incustoditi, con una eccedenza di 500 mila lire, allontanandosi per andare al bar senza aver prima registrato l'ultima operazione. Una prima volta era stato reintegrato dal giudice del lavoro e dalla Corte d'Appello di Catania. Ma nel 2008 la Suprema Corte aveva però spiegato che «la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, dev'essere apprezzata con riguardo non soltanto all'interesse patrimoniale della datrice di lavoro, ma anche alla potenziale lesione dell'interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito». E con questa motivazione aveva rinviato il caso alla corte d'Appello di Caltanissetta, che, nel 2010, ha dichiarato legittimo il licenziamento.
LA DIFESA - Non è valsa, in difesa del cassiere, l'aver opposto che fosse una «prassi» aziendale che i dipendenti si allontanassero per un caffè «senza apposito permesso», coprendosi a vicenda. Poiché, come hanno rilevato i giudici d'Appello dichiarando proporzionata la sanzione, «la concreta situazione avrebbe richiesto da parte del lavoratore maggiore sollecitudine». Ora la Cassazione conferma il licenziamento e definisce «senza rilievo» l'esistenza della prassi aziendale invocata dal lavoratore, poiché non incide «sulla valutazione della negligenza della condotta» accertata in secondo grado.

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