Pacta sunt servanda, ha osservato Edwuard Luttwak, esperto americano di politica italiana ed estera, riferendosi senza peli sulla lingua, come sua abitudine, alla spinosa vicenda dei marò italiani, con l'Italia colpevole per non farli tornare in India nonostante l'impegno preso al momento di chiedere, e ottenere, il permesso indiano a farli partire per consentirgli di votare e stare un po' con le loro famiglie, come era successo a Natale. Il principio in sé sarebbe giusto, se non fosse che qui i patti inosservati sono vari ed ha sempre prevalso, come in genere accade, specie in campo internazionale, il diritto del più forte, anche solo situazionalmente. E quindi più volte l'Italia si è lamentata presso gli organi indiani, sia istituzionali che giuridici, come non fosse legittimo il trattenere due soldati italiani accusati di un episodio - grave per carità, l'uccisione di due pescatori - che però sarebbe avvenuto (semmai) in acque internazionali e durante lo svolgimento di una missione antipirateria riconosciuta dall'ONU. Per pronunciarsi sulla giurisdizione gli Indiani hanno impiegato più di un anno (peggio di noi !!) , affermando tra l'altro un ibrido e cioè che in effetti la competenza non era dello stato del Kerala, a cui appartenevano i due pescatori uccisi e che deteneva i Marò, però il processo doveva svolgersi in India perché trattandosi di un'area di pesca quella dove sarebbe avvenuto l'incidente mortale questa era da computare con criterio più ampio delle tradizionali dodici miglia dalla costa. Peraltro, siccome c'era una controversia internazionale in corso sulla questione (l'Italia continua a contestare che la nave italiana si trovasse in acque indiane, comunque calcolate ! ) , era necessario costituire una CORTE SPECIALE !!
Mai sentita una roba del genere, non riuscirei nemmeno ad immaginarla nel nostro ordinamento...Un Tribunale costituito APPOSITAMENTE !?!? E poi, quanto ci metterebbero a farlo, se per decidere una cosa di mero diritto hanno impiegato UN ANNO ??
Senza contare, particolare non di poco momento direi, che in India per il reato di cui sono accusati i due Marò è prevista la pena di morte...Secondo il nostro diritto, in condizioni normali non sarebbe consentita nemmeno l'estradizione di un cittadino indiano nel suo paese se rischiasse una pena del genere che la nostra Costituzione NON ammette.
Però noi abbiamo PROMESSO. E quindi pacta sunt servanda....
Caro Luttwack francamente non mi trovo d'accordo. La mia preoccupazione piuttosto è la reazione indiana , tipica di una nazione che ha la violenza e la forza nel suo bagaglio di opzioni, come dimostra l'eterno conflitto, con scontri anche armati, col confinante Pakistan, lo sfiorare di tanto in tanto la guerra civile tra le diverse tribù e stati componenti la confederazione indiana...Insomma è il paese di Gandhi e di filosofie orientali pacifiste, ma non solo...E infatti ecco la ritorsione contro l'ambasciatore italiano, in stato apparente di sequestro. Per carità, erano indignati per il mancato mantenimento di quanto promesso ? Lo possono espellere come persona non grata, interrompere ogni relazione colo nostro Paese...ma la misura adottata come si colloca nei "patti da osservare" , visto che è contraria a trattati internazionali precisi oltre che alla prassi diplomatica. ? Nemmeno gli ambasciatori dei paesi in guerra vengono trattenuti...
Precedente citato, in questi giorni, è l'Iran di Komeini e il personale dell'ambasciata americana ...roba non propriamente esemplare...
Si legge che tutta questa voce grossa sia ad uso e consumo di politica interna, della lotta contro l'opposizione che cavalca il caso a fini propagandistici, però questa è una canzone che sento da un anno....
Allora, se proprio deve continuare ad essere suonata, meglio coi nostri giovanotti liberi...
Sicuramente la comunità internazionale, UE in primo luogo (oddio, lady Ashton...brrrr) , avranno più agio a difendere i diritti di un ambasciatore che quelli di due soldati italiani.
Interessante quanto dichiarato da un ex diplomatico indiano, in assoluto contrasto con la sbrigativa analisi del simpatico politologo americano, amante del buon bere e dei buoni sigari...
Lo posta il Foglio di oggi
Buona Lettura
Ritorsione dell’India contro l’ambasciatore italiano
Un ex diplomatico indiano: “Avete ragione voi. Caso sfruttato dai politici”
Non è consentito neanche in tempo di guerra prendere in ostaggio l’ambasciatore di un altro paese, secondo l’articolo 44 della Convenzione di Vienna del 1965, ratificata sia dall’Italia sia dall’India. Eppure è quello a cui stanno andando pericolosamente vicini la Corte suprema dell’India, che ha chiesto all’ambasciatore italiano Daniele Mancini di non abbandonare il paese, e il governo di Nuova Delhi, che ha messo in allerta tutti gli aeroporti per evitare che Mancini possa salire su un aereo. Il diplomatico evita di creare ulteriori situazioni di conflitto con gli indiani, in raccordo con la Farnesina. Ma sarebbe curioso verificare cosa succederebbe se acquistasse un biglietto e si presentasse al gate d’imbarco. Sarebbe trattenuto?
L’ambasciatore Mancini ha dato alla Corte suprema la sua garanzia che i due marò detenuti in India con l’imputazione di duplice omicidio – avvenuto in mare il 15 febbraio dell’anno scorso – avrebbero fatto rientro al termine del periodo di un mese concesso per le elezioni in Italia. Il governo italiano ha però annunciato che non restituirà i due militari, perché non ha ricevuto risposta all’offerta di soluzione diplomatica fatta all’India. Un discreto apparato di sorveglianza starebbe ora tenendo d’occhio l’ambasciatore italiano, secondo fonti a Nuova Delhi. Lui ha fatto sapere di non avere intenzioni di muoversi a breve termine – ma gli indiani non sono evidentemente nella disposizione d’animo per fidarsi.
Il ministero degli Esteri indiano ieri ha disposto un abbassamento di grado delle relazioni diplomatiche con l’Italia, trattenendo in patria il nuovo ambasciatore indiano, Basant Kumar Gupta, che sarebbe dovuto arrivare a Roma venerdì prossimo. Nuova Delhi cerca qualcosa da gettare in pasto all’opinione pubblica furiosa, che guarda con rancore all’italianità di Sonia Gandhi, nume politico del partito di governo e che osserva con sospetto come i giudici indiani abbiano bisogno delle carte italiane per andare avanti con le indagini sullo scandalo degli elicotteri Agusta. La rottura dei patti decisa dal governo italiano (in scadenza) è finita al centro della tempesta perfetta del revanscismo indiano.
Nitin Pai, direttore della National Interest Review, rivista di affari strategici indiani, saluta con soddisfazione la decisione di limitare gli spostamenti di Mancini: “Buone mosse. Serve di più”. “L’India non dovrebbe prendere di mira i rapporti economici con l’Italia – dice Pai al Foglio – dovrebbe portare la questione all’Unione europea. L’India dovrebbe dire chiaramente che il comportamento dell’Italia avrà ripecussioni sulla sua capacità di ottenere aiuti dall’Unione europea”. Pai è rassegnato all’idea che i due marò non saranno restituiti, ma sostiene che per l’India è essenziale mantenere intatta la sua capacità di deterrenza: “Chi non rispetta i patti con l’India deve temerne la reazione”.
“Roma ha capito come sarebbe andata”
Nel coro dei furiosi, spicca la reazione composta da Nuova Delhi di M. Bhadrakhumar, ex ambasciatore indiano, che su Asia Times loda “la ragionevolezza, l’umanità e la flessibilità della posizione italiana fin dal primo giorno. Tutto quello che volevano era un’indagine congiunta prima di andare a processo per stabilire chi avesse la competenza giurisdizionale, l’Italia o l’India, per giudicare i marò. Gli italiani hanno pagato un risarcimento enorme alle famiglie, che è molte volte quello che avrebbe dato il governo indiano in circostanze simili”. Il diplomatico scrive che il caso dei marò è il terzo in cui i politici indiani per motivi di partito giocano la parte degli agitatori e creano problemi internazionali, “come è già successo con lo Sri Lanka e con il Bangladesh”. “Roma ha realizzato che questo stava diventando un caso senza fine, considerato il ritmo a cui si muove il gigantesco sistema indiano e le incursioni politiche. Intanto, i due marine sarebbero restati prigionieri”. “Oltretutto – continua l’ambasciatore – non capisco cosa è successo ai partiti della sinistra quando la marina americana ha sparato a due pescatori indiani vicino Dubai due mesi fa […] in quel caso, non c’era ciccia politica da ricavare dalla morte di due pescatori ignoti del Tamil Nadu, dove nessuno ha mai sentito nominare la sinistra e il caso è stato subito archiviato. Invece questo caso italiano riguarda il Kerala ed è scoppiato l’inferno”.
Nitin Pai, direttore della National Interest Review, rivista di affari strategici indiani, saluta con soddisfazione la decisione di limitare gli spostamenti di Mancini: “Buone mosse. Serve di più”. “L’India non dovrebbe prendere di mira i rapporti economici con l’Italia – dice Pai al Foglio – dovrebbe portare la questione all’Unione europea. L’India dovrebbe dire chiaramente che il comportamento dell’Italia avrà ripecussioni sulla sua capacità di ottenere aiuti dall’Unione europea”. Pai è rassegnato all’idea che i due marò non saranno restituiti, ma sostiene che per l’India è essenziale mantenere intatta la sua capacità di deterrenza: “Chi non rispetta i patti con l’India deve temerne la reazione”.
“Roma ha capito come sarebbe andata”
Nel coro dei furiosi, spicca la reazione composta da Nuova Delhi di M. Bhadrakhumar, ex ambasciatore indiano, che su Asia Times loda “la ragionevolezza, l’umanità e la flessibilità della posizione italiana fin dal primo giorno. Tutto quello che volevano era un’indagine congiunta prima di andare a processo per stabilire chi avesse la competenza giurisdizionale, l’Italia o l’India, per giudicare i marò. Gli italiani hanno pagato un risarcimento enorme alle famiglie, che è molte volte quello che avrebbe dato il governo indiano in circostanze simili”. Il diplomatico scrive che il caso dei marò è il terzo in cui i politici indiani per motivi di partito giocano la parte degli agitatori e creano problemi internazionali, “come è già successo con lo Sri Lanka e con il Bangladesh”. “Roma ha realizzato che questo stava diventando un caso senza fine, considerato il ritmo a cui si muove il gigantesco sistema indiano e le incursioni politiche. Intanto, i due marine sarebbero restati prigionieri”. “Oltretutto – continua l’ambasciatore – non capisco cosa è successo ai partiti della sinistra quando la marina americana ha sparato a due pescatori indiani vicino Dubai due mesi fa […] in quel caso, non c’era ciccia politica da ricavare dalla morte di due pescatori ignoti del Tamil Nadu, dove nessuno ha mai sentito nominare la sinistra e il caso è stato subito archiviato. Invece questo caso italiano riguarda il Kerala ed è scoppiato l’inferno”.
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