Amarissimo, quasi funereo l'editoriale odierno di Sergio Romano sul Corriere della Sera. Come sempre, lo potrete leggere integralmente di seguito. riflettendoci su, ritengo che lo scoramento e il pessimismo siano autentici e non strumentali. Mi spiego meglio. Romano, come molti altri del Corriere della Sera (Polito, Battista, Di Vico, anche Giavazzi e Alesina, che poi diventarono molto critici), guardò con grande speranza al governo tecnico montiano. La Crisi gravissima in cui versavamo, il pericolo "Grecia" poteva essere l'opportunità eccezionale di fare finalmente le cose di cui si parlava da 40 anni (altro che 20 !!) e che in Italia non si fanno mai non per colpa di Berlusconi, ma per una assenza di appartenenza nazionale che ha origini storiche sociali profonde, di cui in tanti hanno scritto e dibattuto non molto tempo fa, in occasione dell'anniversario dei 150 anni di Unità.
Al di là di destra e sinistra, liberismo o socialismo, ci sono delle cose in comune, condivise in astratto dalle forze politiche maggioritarie in questo come nello scorso Parlamento :
1) riforme istituzionali, vale a dire : eliminazione del bicameralismo perfetto, da tutti ormai avvertito come d'intralcio ad uno stato moderno : maggiorazione dei poteri dell'esecutivo, in modo che il premier non abbia meno poteri di quelli che sono riconosciuti al Presidente della Regione o al sindaco di una città ; riduzione dei parlamentari ; riorganizzazione dei rapporti tra centro e regioni....
2) tagli dei costi politici. Ovvio che la disponibilità qui è solo retorica, come hanno ben dimostrato TUTTI i partiti nella legislatura appena conclusa. Però a parole sono tutti d'accordo : dimezzare i parlamentari (del resto, già eliminando una Camera....), ridurre indennizzi ed eliminare privilegi, eliminare le province (prima era un MUST, ora qualcuno ha scoperto che servono....), eliminare il finanziamento pubblico dei partiti o quantomeno ridurlo drasticamente.....
3) riforma elettorale . Anche qui, a parole tutti criticano il Porcellum, ma nei fatti....
4) misure anti burocrazia e utili a risolvere il collasso della giustizia civile (per i danni economici) e penale ( per i danni alle vite delle persone).
Ci sono poi gli interventi più prettamente economici ma qui le "condivisioni" finiscono o quasi....
E questo è IL PROBLEMA caro ambasciatore ! Perché quand'anche si riuscissero a fare tutte le bellissime cose elencate, cosa buona e giusta, l'Italia ha poi problemi di recessione economica gravi le cui ricette non sono affatto condivise ! Almeno non oggi con una sinistra così SINISTRA....
Già con un Renzi probabilmente l'incontro sarebbe più possibile. Ma con la linea bersaniana, così condizionata (ma lo è veramente ? non è sono d'accordo e fanno solo la parte del poliziotto buono e quello cattivo ? ) dai giovani turchi e dall'ala sindacalista del partito, come si possono trovare dei compromessi utili sulle riforme di lavoro, fisco, tagli alla spesa per un nuovo welfare, più mirato e alla fine equo ?
Ciò detto, il tutti contro tutti denunciato da Romano, e da altri con lui, non è negabile.
E questo non è tanto determinato da incompatibilità ideologiche, che riguardano alla fine folte minoranze...Il nodo gordiano è dato dal potere paralizzante delle singole, numerosissime corporazioni. I veti incrociati che scattano ogni volta che si tocca il singolo settore.
Tutti convinti di avere "già dato" e che adesso tocchi "agli altri"....
Come preconizza Romano, presto non ci sarà più granché per nessuno...
pARTITI, ISTITUZIONI: TUTTI CONTRO TUTTI
La sindrome dei Balcani
Per alcuni anni il partito di maggioranza relativa in Svizzera (Unione democratica di centro, fondata dall'industriale Christoph Blocher) è stato una forza politica intollerante, xenofoba, attraversata da umori razzisti e pregiudizialmente ostile a qualsiasi forma di integrazione europea. Le sue posizioni non erano condivise dagli altri maggiori partiti democratici (cristiano-sociali, socialisti, liberali) ma non hanno impedito che fra questi fratelli nemici si stabilisse un pragmatico rapporto di collaborazione nell'interesse del Paese. È accaduto perché tutti, anche Blocher, hanno capito che un dissidio interno, portato alle sue estreme conseguenze, avrebbe impedito alla Confederazione di affrontare e superare le grandi crisi economiche e finanziarie degli ultimi anni. Il risultato della convivenza fra i maggiori partiti svizzeri, nell'ambito di una grande coalizione, è un Paese prospero in cui le grandi banche hanno risanato i propri conti, la maggiore preoccupazione della Banca centrale è quella di evitare che l'eccessivo apprezzamento della moneta nazionale pregiudichi le esportazioni, il tasso di disoccupazione è al 3,1%, i cittadini elettori dicono no alla riduzione delle ore di lavoro e sì a quella dei bonus con cui i banchieri gratificano se stessi.
L'Italia ha imboccato la strada opposta. I partiti e persino le istituzioni (fra cui la stessa magistratura) non hanno altro orizzonte fuorché quello della propria sopravvivenza, della propria identità, della difesa delle proprie prerogative. Conosciamo bene i nostri mali: spese inutili, un Parlamento pletorico, una classe politica avida, una burocrazia e una giustizia paralizzanti, un gettito fiscale che non giova alla crescita perché serve in buona parte a pagare i debiti del Paese. Ma ogniqualvolta un governo cerca di prendere il toro per le corna, quasi tutti vedono nelle riforme soltanto il danno che potrebbe derivarne per la famiglia politica o sindacale a cui appartengono. Come nella penisola balcanica all'inizio degli anni Novanta, il desiderio di sfogare la propria rabbia e punire il «nemico» prevale su qualsiasi altra riflessione.
Per un breve periodo (i primi mesi del governo Monti) abbiamo sperato che le maggiori forze politiche avrebbero assicurato all'esecutivo la loro collaborazione. Più recentemente abbiamo sperato che il risultato inconcludente delle elezioni avrebbe costretto i maggiori partiti (quelli che hanno grosso modo programmi convergenti) ad accantonare i loro dissensi. Avrebbero dato al Paese un governo e al Movimento 5 Stelle lo spettacolo di una classe dirigente ancora capace di un soprassalto di orgoglio e buon senso. È accaduto esattamente il contrario. Nessuno è disposto a sacrificare qualcosa o a fare un passo indietro. Come nei Balcani, durante il decennio degli anni Novanta, si è perduto, a quanto sembra, il sentimento di un destino comune. I primi ad accorgersene saranno i partner europei e, naturalmente, i mercati. Quando constateranno che l'Italia balcanizzata è soltanto un campo di battaglia fra corporazioni economiche e istituzionali, tutti smetteranno di attendere il suo risanamento e cominceranno a scommettere sul suo collasso. Il costo del debito aumenterà e tutto diventerà ancora più difficile. Beninteso, quel giorno le battaglie corporative che hanno paralizzato il Paese avranno perduto qualsiasi significato: non vi sarà più niente da spartire.
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