giovedì 21 marzo 2013

MENNEA, LO SPRINTER CHE PARLAVA IN TERZA PERSONA


E' morto Pietro Mennea, l'indimenticato campionissimo dell'atletica italiana , velocista campione olimpico a Mosca nel 1980. Vogliamo dirlo che gli americani non c'erano per il boicottaggio contro l'URSS per l'invasione dell'Afghanistan ? diciamolo. Però in quegli anni sui 200 Mennea era veramente il più forte di tutti, come aveva dimostrato l'anno precedente con il record mondiale su quella stessa distanza, 19,72, che durò la bellezza di 16 anni .
Mennea era il campione della mia giovinezza (nel 1980 avevo 20 anni...) , e lo ammiravo, come tutti.
Però non mi piaceva, non mi era simpatico. A lui ho sempre preferito l'altra campionessa prestigiosa di quegli anni, sempre nell'atletica leggera : Sara Simeoni. Sorridente, simpatica, semplice.
Tutto quello che non era Mennea.
Forse era lo sforzo doppio che gli veniva richiesto per essere il primo o tra i primi, lui con un fisico normalissimo, niente a che vedere con i super atleti neri...Per primeggiare a Mennea certamente non è bastata la velocità di base che tutti gli sprinter devono avere "in natura", che se no, non c'è allenamento che tenga.
Me lo spiegava un mio simpaticissimo amico che faceva per passione atletica : " vedi, quasi tutti quelli che vengono al campo per la prima volta vorrebbero scoprirsi degli sprinter. Poi arriva uno degli allenatori che ti cronometra....così, subito, senza alcuna preparazione, tecnica, niente. Se fai più di 12 secondi ti dà una pacca sulle spalle e ti dice <giovanotto, se ti va, l'atletica per te può essere fondo o mezzo fondo. La velocità scordatela".
L'allenamento, la tecnica, di corsa , di partenza, di postura, sono tutte cose preziosissime, ma se non hai fibre veloci, non servono.
Sicuramente Mennea aveva la velocità nel sangue, però NON il fisico. E per colmare questo gap ha lavorato sempre a livelli maniacali. Sacrifici enormi e lodevoli, che lui riteneva non venissero apprezzati sufficientemente dall'ambiente, segnatamente dalla  FIDAL (la federazione azzurra) .
Di qui le polemiche continue, un carattere ombrosissimo, l'insoddisfazione che lo accompagnava malgrado le vittorie (una medaglia d'argento era un fallimento, una vittoria con un tempo non brillante era amara...).
Insomma ha dato molte più gioie ai suoi tifosi che soddisfazioni a se stesso, almeno esteriormente è stato così.
Non so se abbandonato le piste si sia un po' rasserenato. Forse sì, certo glielo auguro.
Una cosa mi faceva sorridere, una debolezza rivelatrice : quando lo intervistavano spesso lui rispondeva parlando di sé in terza persona...un tratto in genere delle persone un po' narcise e autoreferenziali (anche un pochino strane talvolta).
Che la terra ti sia lieve grande Pietro


MORTO A 60 ANNI IL VELOCISTA AZZURRO, PER ANNI HA DETENUTO IL RECORD DEL MONDO

Addio a Pietro Mennea, il re dei 200

Da tempo lottava contro un tumore
Berruti: «Era un asceta. Noi come Platone e Aristotele»

È morto in una clinica di Roma, all'età di 60 anni, Pietro Mennea, ex velocista azzurro, campione olimpico a Mosca 1980 e per 17 anni detentore del record del mondo dei 200 metri. Da tempo lottava contro un tumore, sembra al pancreas.
Ecco la telecronaca del record sui 200 metri
LA BIOGRAFIA - Originario di Barletta, dove era nato il 28 giugno 1952, Mennea ha cominciato la sua lunga carriera internazionale nel 1971, agli Europei, piazzandosi al sesto posto nei 200 e conquistando il bronzo assieme alla staffetta 4X100. L'anno dopo il debutto olimpico a Monaco di Baviera e la prima medaglia, un bronzo, nei 200 mentre nel '74, agli Europei di Roma, sale sul gradino più alto del podio oltre a conquistare l'argento nei 100, alle spalle del sovietico Borzov. Dopo qualche anno sottotono ma coronato da successi a Giochi del Mediterraneo e Universiadi (all'Olimpiade di Montreal chiuse senza medaglie), Mennea si rilancia a Praga, nel '78, centrando l'accoppiata europea 100-200. Ma per scrivere la storia bisogna aspettare Città del Messico e le Universiadi del '79. Studente di scienze politiche (si è laureato poi a Bari e successivamente ha conseguito anche le lauree in Giurisprudenza, Scienze dell'educazione motoria e Lettere), Mennea vince i 200 in 19"72, nuovo record del mondo che resisterà per ben 17 anni, battuto solo da Michael Johnson ai Trials per Atlanta '96 (19"66, poi ritoccato nella finale dei Giochi a 19"32).
Pietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'ItaliaPietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'Italia    Pietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'Italia    Pietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'Italia    Pietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'Italia    Pietro Mennea, la Freccia del Sud che fece sognare l'ItaliaL'ORO OLIMPICO - L'anno dopo a Mosca, ai Giochi Olimpici, Mennea vince l'oro, beffando per due centesimi Allan Wells. «La Freccia del Sud», questo il soprannome dato all'atleta italiano, torna dalla Russia anche col bronzo della 4X400 e nel 1981 annuncia il ritiro salvo poi tornare sui suoi passi. Per lui arrivano altre due medaglie mondiali (bronzo nei 200 e argento nella 4X100 a Helsinki '82) e un oro ai Giochi del Mediterraneo nei 200 mentre le successive partecipazioni olimpiche (Los Angeles '84 e Seul '88) gli riservano solo delusioni anche se in Corea del Sud si toglie la soddisfazione di fare da alfiere per l'Italia durante la cerimonia d'apertura. Per lui, nel 1983, anche il primato mondiale dei 150 piani con 14"8 a Cassino. Sposato con Manuela Olivieri, Mennea ha ricoperto, a livello sportivo, anche la carica di direttore generale della Salernitana nella stagione '98-99 ma è stato anche eurodeputato dal '99 al 2004 e docente universitario all'Università Gabriele d'Annunzio di Chieti-Pescara.
«ERA UN ASCETA» - «Scompare un asceta dello sport, interpretato sempre con ferocia, volontà, determinazione». Livio Berruti, medaglia d'oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Roma 1960, ha ricordato così Mennea: «È stato un inno alla resistenza, alla tenacia e alla sofferenza. All'atletica italiana manca questa grande voglia di emergere e di mettersi in luce». «Tra noi c'è stato un rapporto molto dialettico - ricorda ancora Berruti -: per lui l'atletica era un lavoro, io lo facevo per divertirmi; lui era pragmatico, io idealista. Il nostro è stato uno scontro, come tra Platone e Aristotele».
LA CAMERA ARDENTE - Appresa la notizia della morte del campione, il presidente del Coni, Giovanni Malagò, è rientrato precipitosamente da Milano, dove si trovava per impegni di lavoro. Il numero 1 dello sport italiano ha disposto l'allestimento della camera ardente per giovedì pomeriggio, nella sede del Coni, a Roma. In una recente intervista al Corriere del Mezzogiorno aveva tracciato un bilancio sulla sua vita.



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