venerdì 8 marzo 2013

QUEGLI ITALIANI IN CERCA DISPERATA DI UN CAMBIAMENTO


Molto, molto bella l'analisi di Ernesto Galli della Loggia, pubblicata oggi dal Corriere della Sera,  che dà una sua personale spiegazione del successo del voto a Grillo. Non si tratta, spiega Galli della Loggia , di gente che aderisce necessariamente al programma del M5S o subisce il fascino carismatico (??) del comico genovese. Molto di più, è una protesta contro l'immobilismo, vale a dire con quella parte di Italia, e di potere italico, che da decenni (almeno dagli anni '70 indica l'autore) tiene prigioniera la Nazione in una crescente palude di inefficienza, corruzione, consociativismo.
Come poter votare, dice, non a torto, Galli della Loggia partiti che nemmeno di fronte ad una crisi così devastante e sistemica sono riusciti a fare TRE cose TRE :
- riforma delle legge elettorale (invocata a gran voce sia dal Capo dello Stato che dalla Corte Costituzionale)
- tagli della politica (in un momento in cui si chiedevano sacrifici importanti alla popolazione, con parte di essa in condizioni di serissima difficoltà )
- una minima riforma istituzionale, come quella della riduzione dei parlamentari e l'abolizione del bicameralismo perfetto, da tutti indicato come assolutamente inadeguato e anzi nocivo per gli inaccettabili tempi che impone al lavoro legislativo.
Il Governissimo, c'è da osservare al PDL di queste ore, c'era...presieduto da Monti, e non è stato capace di fare queste poche cose. Perché dovrebbe riuscirci ORA , se i protagonisti, Berlusconi in primis ma anche Bersani e QUESTA SINISTRA POST COMUNISTA, con QUESTO SINDACATO, restano gli stessi ??
Quasi 9 milioni di italiani, tanti da essere il primo partito italiano, hanno scelto il Movimento5Stelle come in passato si sono rivolti speranzosi verso altri che promettevano un cambiamento. Ultimo tra questi, proprio Berlusconi. Lui si giustifica dicendo che gli è "stato impedito". Non c'è dubbio che non lo ha fatto. Le responsabilità a mio avviso sono varie e complesse, e si possono discutere, ma il risultato è questo. Certo, fa tremare l'idea che appena si toccano i fili di questo moloch autoconservatore si scatenino campagne mediatiche e procure...
Magari sta per accadere anche a Grillo, a vedere la copertina dell'Espresso...
Ma sentire nel post elezioni quelli del Pd parlare con un linguaggio che manco i "figgiciotti" delle assemblee studenteshe del 1977, Berluscono invocare la grande coalizione con gli odiati comunisti, i commentatori di governo di drata minima per "votare quelle tre cose (SEMPRE QUELLE TRE !!!) per poi tornare a votare" fa ben capire il VAFFA grillino.
Da leggere
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UN’IRREQUIETA DIVERSITÀ

Il voto di quell’Italia insoddisfatta
che da quarant’anni cerca di cambiare

Nell'interpretazione che viene data del massiccio consenso elettorale ottenuto dal Movimento 5 Stelle si nota spesso un fraintendimento: cioè l'assunto che votare per M5S abbia significato aderire al programma del movimento stesso o, ancora di più, confidare nelle capacità di leadership politica di Beppe Grillo. Sicché ci si chiede scandalizzati come sia stata possibile questa apertura di credito da parte di tanti pur dotati di qualche giudizio.
Non sapendo darsi una risposta, allora, secondo un antico costume nazionale, si avanza immediatamente il sospetto di opportunismo, trasformismo, «voltagabbanismo», e quant'altro.
A mio giudizio chi vede le cose a questo modo si condanna a capire poco o nulla della storia recente e meno recente d'Italia. A non capire un dato di fondo: che c'è una generazione d'Italiani, c'è una parte del Paese, la quale già a partire dalla fine degli anni Settanta si accorse di quattro fatti che solo ora, dopo decenni, stanno entrando nella consapevolezza di tutti. Questi: a) che il sistema di governo sancito dalla seconda parte della Costituzione, nonché la legge elettorale proporzionale, erano ormai del tutto inadeguati ai bisogni del Paese; b) che esisteva un fenomeno come la partitocrazia, responsabile non solo di aver distorto profondamente il funzionamento del sistema suddetto ma anche di un malcostume e di un malgoverno sempre più vasti e opprimenti, c) che la Democrazia cristiana stava esaurendo la sua originaria spinta propulsiva e la sua funzione di salvaguardia democratica; d) che la presenza egemone a sinistra del Partito comunista equivaleva alla perenne subalternità della sinistra italiana, e cioè che con il Pci questa sinistra non avrebbe mai vinto un'elezione, non sarebbe mai andata al governo. Quella parte del Paese, insomma, vedeva con molto anticipo che un'intera fase storica - la fase del dopoguerra - andava ormai terminando, pur potendo continuare a contare sull'immane forza di una vischiosa continuità. E che dunque era necessario imboccare strade nuove.
Da allora - dapprima esigua, poi negli anni sempre più numerosa - quell'Italia del cambiamento è alla disperata ricerca del modo in cui riuscire finalmente a mutare lo stato delle cose: di uno strumento, di un'idea, di un varco. Ed è così che da allora quella parte del Paese, e con lei una fascia generazionale d'Italiani, di volta in volta ha guardato con simpatia al Partito radicale, ha sperato in Craxi, si è schierata con le iniziative referendarie di Mario Segni, ha cercato di capire le ragioni della Lega, ha puntato inizialmente su Berlusconi. Così come adesso fa un'apertura di credito a Grillo. Ma vogliamo dirlo? Non identificandosi mai, realmente, con le scelte di volta in volta compiute. Vedendone benissimo limiti e contraddizioni, ma sperando sempre, se si vuole illudendosi di servirsene strumentalmente: come una sorta di grimaldello.
Ingenuità? Certo, ingenuità. È facile dirlo (dirlo ieri e dirlo oggi), ma l'alternativa quale era? Una sola, evidentemente: stare dall'altra parte. Dalla parte, cioè, che fino ad oggi ha resistito o si è opposta ogni volta al cambiamento, o vi si è adattata solo perché non poteva altrimenti; di chi ha dovuto aspettare la caduta del muro di Berlino per decidere di non dirsi più comunista; dalla parte che ha preferito vedere la Dc disintegrarsi piuttosto che fare qualcosa prima; che fino a ieri giurava sull'intangibilità della Costituzione; dalla parte di chi a suo tempo (per quanto tempo!) giudicava una bestemmia qualunquistica parlare di partitocrazia; di chi per decenni non ha mai fatto nulla di concreto, mai nulla, per arginare corruzione e sperperi di misura inaudita. Ma che naturalmente - proprio come sta facendo anche oggi - ogni volta non mancava di arricciare il naso atteggiandosi a custode del bon ton politico, esibiva la propria educata compostezza di Padre Fondatore di fronte alla sgarbata impertinenza dei nuovi venuti, impartiva a destra e a manca lezioni di coerenza. L'Italia del cambiamento, così, si è dovuta (e si deve) sentire dare dell'opportunista e del voltagabbana da chi in quarant'anni è passato tranquillamente dal Pci di Togliatti e Longo al Pd di Bersani ma è convinto che però lui no, per carità, lui non ha mai cambiato idea! Solo gli altri fanno queste cosacce.
Un'Italia del cambiamento, irrequieta, sempre divisa, destinata regolarmente a vedere le sue speranze deluse per mille motivi, tra cui non da ultimo l'inadeguatezza dei partiti e degli uomini cui è stata fin qui costretta ad affidarsi. E molto probabilmente sarà così anche stavolta, con gli sprovvedutissimi parlamentari del M5S e con il loro capo. «Ma non era ogni volta prevedibile?» - mi sembra già di sentire chiedere dall'immancabile censore. Sì, forse sì: era prevedibile (e anche previsto, aggiungo). Ma almeno un dubbio, una sia pur tenue possibilità ogni volta c'era. Mentre dall'altra parte che cosa c'era ancora alla vigilia delle ultime elezioni? Il tetragono immobilismo di chi in dodici mesi non aveva trovato il modo di cancellare una legge elettorale nefanda o di avviare la minima riforma istituzionale, l'insensibilità di chi in un anno intero non aveva mosso un dito per tagliare davvero costi e privilegi della politica, neppure per abolire una manciata di province. E come sola alternativa accreditata la presunzione che per governare bastino i conti in ordine.
Prigioniera di un lungo passato, tramutatosi in un eterno e soffocante presente, l'Italia del rinnovamento ha preferito chiudere gli occhi. E fare un salto nel buio.

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