domenica 10 marzo 2013

RETROCESSI IN SERIE B. CHE FACCIAMO ? CI PREOCCUPIAMO ?


Dopo Standard Poor's e Moody's anche la terza agenzia di rating ci manda in seire B. L'ultima piccola A è caduta.anche su Fitch....Le agenzie di rating hanno i difetti che sappiamo, e Obama ha deciso anche di fare causa a quella che aveva conservato la tripla A a Lehaman Brother's fino al giorno prima del crac...
Però i mercati ne sono influenzati...e quindi una qualche riflessione magari è utile.
Per questo vi propongo quella di Davide Giacalone
Buona Lettura


Prezzo del vaniloquio

Ecco il declassamento, decretato  da Fitch, ma già nell’aria da giorni. Usciamo dall’area A (da dove le altre agenzie ci avevano già escluso), sebbene ridottasi ad A- con outlook negativo (vale a dire con previsione di peggioramento), ed entriamo nell’area B, sebbene al gradino più alto BBB+. Ci riconoscono ancora che siamo in grado di rimborsare i nostri debiti, ma segnalano agli investitori che siamo a rischio, che non c’è da fidarsi troppo. La ragione? Il risultato delle elezioni.

La democrazia va rispettata. Le urne hanno sempre ragione, perché in esse si trova la sovranità popolare. Ma è da lunedì 25 febbraio che andiamo ripetendo: l’aritmetica dice che un governo si fa solo se c’è un accordo fra Pd e Pdl, mentre l’idea di un esecutivo retto dai voti grillini non è solo irreale: è suicida. Se il governo poggia sul consenso di chi vuole il referendum sull’euro noi siamo automaticamente messi in condizioni disperate. E abbiamo ripetuto, da allora a oggi, che a questa obbligata conclusione si deve giungere in fretta, senza inutili e deprimenti perdite di tempo. Si deve chiudere l’accordo prima che ceda il pilastro del Pdl, fin qui dimostratosi disponibile e il cui leader è sottoposto a un forsennato attacco giudiziario. Invece di far politica il Pd s’è abbandonato a una seduta analitica di gruppo. Ha disertato la ragione e s’è irrigidito in una posizione priva di costrutto e avvenire. Di fatto, se non cambia e non cambia subito, ci dirigiamo verso nuove elezioni. Naturalmente con la medesima legge elettorale. Follia.

Sono giorni che indichiamo l’andamento degli spread, in particolare il riavvicinamento di quello italiano e spagnolo. Non ce ne è ragione, se si guardano i numeri dell’economia. Negli ultimi due anni il nostro debito pubblico è cresciuto assai meno del loro (da 119,2% del prodotto interno lordo a 126,5, contro un 61,5 divenuto 86,1); il loro deficit è fuori controllo (da -9,7 a – 9,9) mentre il nostro è sotto i parametri di compatibilità (da -4,5 a -2,9); il loro settore privato e le loro famiglie sono indebitate il doppio dei nostri, avendo noi un patrimonio largamente superiore e nessuna bolla immobiliare esplosa. Non c’è ragione per cui i mercati debbano considerare noi e gli spagnoli sullo stesso livello. Salvo una: loro hanno un governo. Noi non ne abbiamo uno paragonabile, ovvero eletto dal popolo, fin dal novembre del 2011. Non è il nostro unico problema, ma è quello che si vede in mondovisione.

Non sono un feticista dello spread, ho scritto e ripetuto che misura non l’affidabilità dei singoli Paesi interni all’area dell’euro, ma l’affidabilità dell’euro. Quando gli spread si divaricano troppo è segno che i mercati mettono in conto che l’euro possa saltare. Fin qui solo la Banca centrale europea ha messo in atto politiche di contrasto, mentre i governi sono bloccati e i tedeschi ne approfittano finanziandosi senza costi. Una situazione non sostenibile. So benissimo che le agenzie di rating non sono oracoli, ma concentrazioni d’impressionanti conflitti d’interesse. Ma ciò non toglie che noi ci stiamo rovinando con le nostre mani. Ciò non toglie che un mondo politico d’irresponsabili immagina si possa spettare il 15 di marzo per iniziare le danze delle consultazioni, laddove, al contrario, si doveva chiuderle subito dopo il voto, per poi attendere che il presidente della Repubblica ne prendesse atto.

Il tempo è scaduto. Fitch ha suonato un allarme che rintrona. Se Bersani e Berlusconi (più il primo che il secondo, per la verità) non lo sentono o non lo capiscono il problema loro non sarà Grillo, ma l’Italia produttiva che si decompone e quella mantenuta che resta a secco. Cosa diamine deve succedere perché chiudano la partita? Sia il Quirinale a stabilire quale forma debba prendere un governo politico di garanzia economica e democratica, basato sui voti parlamentari di Pd e Pdl. Hanno paura dei grillini? Li ricorderanno con rimpianto, se non saranno all’altezza di chiudere con decenza e dignità la storia fallimentare della seconda Repubblica.

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