Ho letto molti articoli sulla drammatica vicenda della sparatoria a piazza Colonna, davanti a Palazzo Chigi, e ovviamente anche i vari commenti di uomini più o meno politici, compresi quelli deliranti di alcuni esponenti del M5Stelle, il Becchi votato al complottismo (cui prodest ? , non originalissimo...), e una parlamentare che giudica l'episodio inevitabile di fronte all'"inciucio". Tra tutti, ho deciso di riportare la riflessione di Adriano Sofri, perché la ritengo non retorica ( a differenza di quella di Gianni Riotta sulla Stampa ) e coinvolgente (rispetto a quella più analitica di Dario Di Vico, sul Corsera). C'è anche un'altra ragione : Adriano Sofri, più di chiunque altro, SA cosa vuol dire l'effetto trainante delle parole. E la chiosa finale del suo pezzo, amara e vera, riflette questa verità. Lui, capo di Lotta Continua, ebbe, per giorni e settimane parole di fuoco contro il Commissario Calabresi, colpevole, secondo la convinzione della sinistra del tempo (sia quella extraparlamentare che quella,nauseante, dei salotti e degli ignobili appelli sottoscritti e pubblicati sull'Espresso) , della morte dell'anarchico Pinelli, morto cadendo da una finestra della Questura di Milano dove era interrogato per la strage di Piazza Fontana.
Per meglio ricordare e/o capire riporto uno stralcio degli articoli del giornale del movimento :
Questo marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito [...] Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, che più modestamente di questi nemici del popolo vogliamo la morte... » |
(Lotta Continua del 6 giugno 1970) |
L'omicidio politico non è certo l'arma decisiva per l'emancipazione delle masse dal dominio capitalista così come l'azione armata clandestina non è certo la forma decisiva della lotta di classe nella fase che attraversiamo. Ma queste considerazioni non possono assolutamente indurci a deplorare l'uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia » |
(Comunicato uscito l'indomani dell'omicidio Calabresi su "Lotta Continua") |
Sofri si è sempre dichiarato innocente dall'accusa ( e francamente non si può affermare che la sentenza di condanna sia stata resa "al di là di un ragionevole dubbio", tenuto conto del travagliatissimo iter giudiziario che vede anche una sentenza di assoluzione, tra le tante rese) pur addossandosi la responsabilità MORALE di quella morte. Non è vero, come sostiene Marino, che lui e Pietrostefanio abbiamo mai dato ordine di uccidere Calabresi, ma può assolutamente essere vero che quella campagna di odio contro un "nemico" politico (così era visto un esponente dello Stato) avesse finito per armare menti meno capaci di ben discernere.
E quando questo accade, dopo, pentirsi, non serve più.
Questo è il pacato ma profondamente sentito ammonimento di uno che queste cose LE SA.
Buona Lettura
Il giuramento e la sparatoria
Si anela alla giustizia, poi non ci si crede più, e si ripiega sulla vendetta. Passato lo sbigottimento, quando avremo saputo tutto del signor Preiti, quando tutti i suoi parenti e conoscenti avranno dichiarato che “era un uomo normale, tranquillo”, scopriremo che non c’era niente da sapere, che un uomo tranquillo ha preso il treno, ha pernottato in una stamberga, si è messo giacca e cravatta ed è andato a sparare davanti al palazzo del governo. Diciamo la verità: qualcuno avrebbe immaginato una sparatoria a palazzo Chigi nel pieno del giuramento al Quirinale? E diciamo un’altra verità: quando la notizia si andava definendo, chi non ha sentito oscuramente che “c’era da aspettarselo”? Insinuare che l’azione di Preiti sia il frutto di una particolare retorica politica –del movimento 5 stelle, precisamente- è una sciocchezza vergognosa. Lo sparatore tranquillo è interamente responsabile della sua azione premeditata. Però è anche un sintomo del malanno della nostra comunità. La differenza fra il “gesto di un pazzo” e quello di una persona “normale” è questa, in sostanza: che il primo appare come uno strappo inspiegabile alla trama ordinaria dell’esistenza comune, e il secondo rischia di apparire spiegabile, spiegabilissimo –se non giustificabile. (Le parole non impegnano oltre misura, ma è quello che segnalano i commenti del genere: “Che c’entrano i carabinieri, doveva mirare ai politici”).
La diagnosi sta in questa sensazione angosciata: c’era da aspettarselo. E’ lei a impedire di chiudere il caso evocando la pazzia (se non è pazzo uno che va a uccidere bravi carabinieri e passanti casuali…). Chissà quanto il signor Preiti abbia saputo prevedere dell’effetto del suo gesto, che voleva “eclatante”. Ascoltavo alla radio i ministri che giuravano: provavo a dedurre, dal modo in cui ciascuno recitava la formula, degli indizi sui meno conosciuti. E all’improvviso i flash di agenzia sulla sparatoria di piazza Colonna si sono insinuati dentro la cerimonia, e le formule del giuramento si inframmezzavano alle notizie di fuori: di essere fedele alla Repubblica…, sparatoria a palazzo Chigi…, nell’interesse esclusivo della nazione…, agenti feriti…, di osservarne lealmente…, la piazza evacuata… L’Italia stava finalmente procurandosi un nuovo governo, ma al prezzo di una sparatoria cruenta. Era successo che un forsennato a Firenze aveva braccato i senegalesi per ucciderli e ferirli prima di morire lui, ma là il doppio scenario mancava. In cambio, “i politici” sono diventati i senegalesi di una gran parte degli italiani. Se la sono cercata, dicono i commenti. Infatti: qualcuno più, qualcuno meno, altri niente affatto. (I senegalesi poi niente affatto). Nell’incattivimento di una società, c’è almeno un concorso di colpa. Nella gara accanita all’irresponsabilità, siamo a questo punto: che ci si è rassegnati a non confidare più nella giustizia, e si ripiega sulla vendetta. “Un gesto eclatante”: non per trovare un lavoro migliore, o semplicemente un lavoro, non per far riconoscere le proprie ragioni, non per divincolarsi da debiti e umiliazioni. Per finirla col botto. Per vendicarsi. E chi agisce per vendicarsi, cerca negli altri almeno un posticino in cui farli sentire oscuramente vendicati. Arriva un giorno in cui la frase così affabilmente consueta a tante donne e uomini perbene, che a Montecitorio bisognerebbe metterci una bomba, ti fa mordere la lingua. “I politici” sono diventati la spiegazione della rovina e del malumore di un popolo e dei suoi membri solitari e perduti. La rovina succede, e può travolgere ogni riparo. Disgrazia si aggiunge a disgrazia, finché non si abbia più forze e speranze per provare a uscirne. Succede anche ai paesi interi, e loro fanno una gran fatica ad ammetterlo. Un piccolo imprenditore di se stesso si impicca, e buonanotte: poi si discetterà sulle statistiche dei suicidi, per vedere se la crisi c’entra o no. Un paese resiste di più, è fiero, pensa: “Voi non sapete chi sono io, la quinta potenza industriale…”. Poi può cedere. L’Italia è ricca di piazze in cui finirla. La rovina si compie prima di tutto nel linguaggio. La rete non lo suscita, lo rivela, e lo favoreggia.
Nella guerra spietata che i ricchi conducono contro i poveri, gli impoveriti scelgono il bersaglio dei “politici”, cioè degli arricchiti. Ridistribuire la ricchezza sarebbe un atto di giustizia. Far fuori “i politici” è una vendetta. Non riduce lo stridor di denti, ma lo premia. Poi, come succede, si spara a due carabinieri da 1.400 euro al mese.
Perciò dunque il gesto romano suona a suo modo prevedibile. Dopo di che, lo sparatore ha sparato “all’impazzata”, accontentandosi della piazza, pur vuota di politici. E’ a Montecitorio che oggi si va a commettere gesti insani, come su certi monumenti a buttarsi giù, e bisogna stenderci attorno reti di salvataggio. C’è anche un po’ di americanizzazione. Negli Stati Uniti, quella combinazione fra omicidio e suicidio che sembrò una mutazione peculiare del fanatismo islamista, si manifesta come il desiderio di ammazzarsi portandosene dietro un bel mucchio. Compagni di scuola, avventori del grande magazzino, passeggeri del proprio treno: un gesto “eclatante”, attraverso cui lasciare un segno del proprio misconosciuto passaggio. Succede ormai anche in Europa: non come nell’assassino di massa norvegese che simula di condurre la sua crociata, ma nella gratuita strage che faccia punteggio. “Uccide sedici scolari, poi si spara”. Si riscattano così giornate di lavoretti saltuari e nottate di videogiochi e lontananze da un bambino di undici anni. Poi, a volte, alla fine prevale la paura e la viltà, e non ci si uccide affatto, e nemmeno i carabinieri ti uccidono, benché tu, dicono le cronache, glielo stia chiedendo: “Ammazzatemi”.
“I politici”: sono i primi della lista, ormai. Prima dei padroni, dei giornalisti, dei magistrati, dei preti, dei medici e dei farmacisti. Appena dopo gli esattori delle imposte, di cui appaiono i mandanti. Sono la prima linea della società corrotta e arrogante. Che abbiano in tanti lasciato crescere e gonfiarsi così a lungo la tempesta in cui si trovano, ecco un’altra pazzia. E le distinzioni sono un argine pericolante o crollato: fra mezzo miliardo di euro rubati qua, e mille euro di francobolli per lettera rubati là. Tutti ladri.
La disperazione e la rabbia che corrono nella società non devono diventare un ricatto contro chi si provi a cambiarla e renderla meno ingiusta. Però bisogna sapere su quale orlo di vulcano si danza. Prima che lo sparatore della piazza domenicale bruci la distanza che separa la sua solitudine dalla stessa piazza di un giorno feriale, piena di ribollenti spiriti. Se gridi ai “politici”: “Siete tutti morti. Sei un morto che cammina”, non stai certo sobillando ad ammazzarli. Ma la volta che uno di loro sia morto e non cammini più, ci resterai male.
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