Ma Bersani non si era dimesso ? Non ha bisogno di un po' di riposo ? Mi sembrava proprio di sì nel vederlo in streaming ! Parla di unità di partito, di ordine, si è rivolto supplice a Napolitano perché si ricandidasse, visto il caos dei suoi e la bocciatura prima di Marini e poi di Prodi (uomini LORO !! entrambi tra i fondatori del PD ) e poi è lì che mette i bastoni tra le ruote come una Bindi qualunque ??
"Il governo non si deve fare a tutti i costi"...allora che lo ha chiamato a fare Napolitano ???
Che non lo sapeva qual'era la convinzione del capo dello Stato ? Non era stato Napolitano a non dargli l'incarico pieno in cui il compagno segretario sperava per ottenere il voto di una ciurmaglia sufficiente di grillini ?
E dunque ?? Che malattia mentale ha preso Bersani ? O è l'avatar di quell'ignorante (politicamente parlando) di Miguel Gotor (che già uno con questo nome....) ?
Bersani ci ha riempito le palle durante tutta la campagna elettorale con la parola RESPONSABILITA', ma è stato niente rispetto a come ce le ha frantumate, sempre con lo stesso concetto, DOPO.
Ora la domanda è : ma LUI, il compagno segretario, sa cosa vuol dire questa parola ?
L'Italia è in emergenza economica e occupazionale, l'unica cosa che ci tiene in piedi è la tregua dei mercati e dello spread che ci consente di rinnovare i titoli del tesoro in scadenza, che se no da mo' eravamo in bancarotta, eppure lui, incaricato di verificare la possibilità di un governo che ti fa ? consultazioni che prendono una settimana (Letta ci ha messo UN giorno) , sentendo tutti tranne il mago Otelma.
Dopodiché, avuto il due di picche che si sapeva, ha tentato di portare sul Colle un presidente che gli ridesse l'incarico e stavolta pieno. Nulla, Colpito e affondato, con tanto di dimissioni. E' quindi andato col cappello in mano da Napolitano e adesso che vuole ?
La realtà, come scrive bene Sorgi (un socialista che a me non tanto piace, che scrive sulla Stampa, ma che stupido non è ) , è che proprio sta cosa di un governo con Berlusconi a quelli del PD non va giù...
Ma credono per caso che a noi del centrodestra piaccia così tanto farlo con loro ???
Però non ci sono molte opzioni. L'alleanza con Grillo l'hanno tentata in tutti i modi ma non l'hanno ottenuta, se no non stavamo qui a parlare....Quindi o PDL (e Lista Civica) o elezioni.
Anche perché Napolitano, se è onesto, di fronte alla pervicacia del PD, delle due armi che ha in mano dovrebbe scegliere la più indigesta ai compagni militanti tra i democrats : lo scioglimento delle elezioni, dove stavolta il rischio è che arrivino nemmeno secondi ma TERZI.
Certo, Napolitano potrebbe dimettersi, ma intanto non si capisce allora perché i democratici lo hanno pregato in ginocchio di tornare (certo, non tutti, ma la maggioranza sì, visto che lo hanno votato oltre 700 grandi elettori ! ) , e poi perché il presidente dovrebbe premiare il tradimento del PD che gli aveva promesso di collaborare al governo da lui indicato ?
Semmai questa arma il Presidente la dovrebbe usare contro il PDL se fosse quest'ultimo a ostacolare l'operato del nuovo governo. Ma al momento così non è. Berlusconi si mostra, finora, ragionevole.
Tutti i capricci vengono da sinistra.
Però parlano di responsabilità...Ma vaffa !!!
Ecco la discreta analisi di Sorgi di cui accennavo
Buona Lettura
La sindrome del “governo amico”
A dispetto di molte previsioni ottimistiche, l’ultima notte di vigilia è stata inquieta. E non, come vuole la tradizione, perché, si sa, la lista dei ministri può considerarsi definitiva solo quando viene letta al Quirinale, e la storia delle crisi italiane è piena di aneddoti su cancellazioni e sostituzioni di nomi avvenute un minuto prima. Ovviamente, come aveva previsto anche Enrico Letta, il toto-ministri infuria. Ma s’intuisce che il problema vero è un altro.
Malgrado gli sforzi fatti da Napolitano, infatti, il Pd non riesce a digerire l’idea di far parte di un governo di larghe intese con Berlusconi. I tentativi di indorare la pillola dandogli un nome diverso, «del Presidente», «di convergenza», «di servizio», finora non sono serviti a niente. Gli artifizi sulla delegazione che per conto del partito dovrebbe affiancare Letta non hanno egualmente portato a nulla: non funziona né l’idea di un paio di ministri giovani (anche se l’incaricato ha detto che non vuole gente che «debba fare la scuola guida») affiancati da super tecnici (tipo Saccomanni), né quella delle vecchie glorie (Amato e D’Alema) che facciano da nave scuola.
E la ragione per cui nessuna di queste ipotesi rappresenta una soluzione è politica, non necessariamente legata ai nomi. Il Pd, in altre parole, non ha ancora risolto il nodo della pacificazione, seppur temporanea, con il Giaguaro che fino a poco fa voleva «smacchiare». E cerca il modo di far nascere il governo senza aderirvi fino in fondo: un po’ come la vecchia Dc ai tempi dei «governi amici», guidati e composti da propri esponenti, ma senza poter contare sull’effettivo appoggio del partito. Le dichiarazioni esplicite allineate fino a ieri, si tratti dell’ex-presidente del partito Bindi o dell’ex-ministro del lavoro Damiano - per non dire del giovane Civati, che ha lanciato l’allarme sui «traditori che diventeranno ministri» - sono una chiara conferma di tutto ciò. E preoccupante è il computo di una cinquantina di parlamentari indisponibili, o magari disposti solo a denti stretti, a votare la fiducia, e di conseguenza pronti a trasformarsi in franchi tiratori nelle prime votazioni sui provvedimenti del governo.
Ma accanto a queste più o meno esplicite riserve, c’è un interrogativo di fondo che investe tutto o quasi il corpo del partito: perché mai noi Democrat dovremmo entrare, non in un esecutivo di larghe intese voluto/imposto da Napolitano, ma in una coalizione di cui Berlusconi è il vero padrone, come azionista di riferimento che può togliere la fiducia quando gli pare? E di cui Letta, anche come nipote di suo zio, non è il vero presidente del Consiglio, ma una sorta di sottoposto del Cavaliere? A dimostrazione di questo ragionamento, che in tanti, nel Pd, svolgono a bassa voce con queste stesse parole, si cita il fatto che le consultazioni hanno subito un intoppo preventivo, con la dura dichiarazione di Alfano sul «governo balneare», quando Berlusconi ha ordinato di frenare. E sono poi proseguite sul velluto, quando lo stesso Berlusconi, richiesto da Napolitano, da Dallas ha dato pubblicamente il suo via libera.
È innegabile che sia esattamente quel che è accaduto. Ma l’errore del Pd - non di tutto, ma di una sua parte consistente - sta nello scambiare per causa quel che invece è manifestamente l’effetto del proprio atteggiamento. Berlusconi, e con lui tutto il Pdl, hanno detto dal primo giorno dopo le elezioni che il risultato uscito dalle urne non lasciava altra scelta che un governo di larghe intese o il ritorno ad elezioni. Era la stessa indicazione venuta dal Quirinale: tanto che il Presidente, quando ancora non pensava di poter essere rieletto, rendendosi conto che i suoi sforzi in questa direzione non trovavano ascolto presso il suo vecchio partito, aveva voluto egualmente connotare, con la nomina della commissione dei saggi e il documento che ne era sortito, la conclusione del settennato. Ma anche in questo caso, tolto Renzi ed escluso Violante, che era uno dei saggi, da parte Pd non era venuto alcun segno di ripensamento. Almeno fino alla rielezione di Napolitano e al secondo giro di consultazioni, in cui il vertice del partito, dopo le dimissioni di Bersani, finalmente s’era espresso ufficialmente a favore della nascita del governo.
Si dirà che bisogna tener conto del travaglio in cui il Pd è immerso e che una pacificazione, provvisoria per quanto sia, con il nemico di una guerra durata vent’anni, non si fa da un giorno all’altro. O ancora che gli effetti della distruttiva battaglia interna, che ha portato al siluramento di ben due candidati per il Colle, non si digeriscono tanto facilmente. Inoltre, seppure si sia stabilita una tregua, quanto solida non si sa, tra le diverse correnti, alla guida del partito in questo momento non c’è nessuno. Lo stesso Letta, che come vicesegretario s’era assunto il compito di gestire questa fase fino al congresso, ricevendo l’incarico da Napolitano è diventato fatalmente parte, e non più garante dell’armistizio. Occorre, insomma, più comprensione per un passaggio di una complessità inaudita.
Tutto vero. E immaginarsi se qualcuno sottovaluta le complicazioni di un accordo di larghe intese. Anche in Germania, quando l’hanno fatto, non è stato di certo dalla sera al mattino. E in Italia, se pensiamo al governo Andreotti del lontano 1976, ci vollero più di centoventi giorni, quattro mesi, prima di mettere le firme. Con la differenza che sia in Germania, sia in Italia, i partiti già avversari, che dovevano divenire alleati, lavoravano convintamente al raggiungimento del risultato.
A ben vedere, la debolezza del Pd sta in questo: nel credere di potersi consentire incertezze e divisioni, e di arrivare, in conclusione, a un mezzo accordo o a un’intesa poco convinta sul governo, perché tanto a volere la grande coalizione è soprattutto Berlusconi. Una strana convinzione, chissà fondata su cosa, che parte da un’ulteriore sottovalutazione del Cavaliere. Al contrario, quest’atteggiamento del Pd non cambia, la sorpresa delle prossime ore potrebbe essere opposta: il governo, o si fa oggi, o non si fa più. Il centrodestra dà legittimamente la colpa al centrosinistra. E torna il rischio di elezioni, con i sondaggi che danno già Berlusconi per favorito.
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