sabato 4 maggio 2013

BASTAVA DIRE NO.....


Carina la recensione che Giuseppina Manin, giornalista del Corriere della Sera, dedica al libro scritto dalla collega Chiara Mirafiotti, il cui titolo già spiega tutto : BASTAVA DIRE NO .
A cosa ? Ma è ovvio, alla domanda del sacerdote al momento del giuramento degli sposi..."Vuoi tu....".
Il tema non è originale ma l'articolo lo tratta con leggerezza, e fa sorridere.
Indubbiamente colmo di saggezza è il proposito finale : vivere un nuovo incontro sì, ma risposarsi va evitato.
In tutti i campi un errore è perdonabile...dopodiché fioccano le sanzioni : in campo legale scatta la "recidiva", in campo etico-religioso il perseverare è definito diabolico, in romanesco ti sentirai dire "allosa sei de coccio !!"
Buona Lettura 



A Beautiful succede spesso. I promessi sposi sono già davanti all’altare, prete, fiori, ospiti tutti schierati, quando al momento della fatidica domanda, «vuoi tu…», uno dei due rotea gli occhi intorno e si lascia sfuggire la perla nera destinata a seminare il panico tra gli astanti: «No, grazie». Risposta sbagliata, anzi esattissima. L’avessi detta io, sospira Chiara Maffioletti, giornalista del Corriere della Sera e autrice di un libro eloquente e ironico fin dal titolo, «Bastava dire no» (Marsilio, pp.124, euro 12,50).
No a quel «per sempre» minaccioso, no a quella promessa senza scampo, «finché morte non vi separi», no a quei giuramenti assoluti su un sentimento che invece è tanto fragile… No, no, no. E poi no. «Bastava non essere sposati, bastava non credere in un ideale romantico», si ripete come un mantra l’autrice, decisa a usare la scrittura come antidoto a un lungo tormento, a ripercorrere con lucidità, leggerezza e un pizzico di doveroso cinismo quelle scene da un matrimonio, il suo, finito male.
Cento passi a ritroso, paralleli e opposti a quelli che, con tanta gioia e speranza, l’avevano condotta all’altare. Ma andare all’indietro è difficile e pericoloso. Il rischio di inciampare, cadere, non trovare più un appoggio, è reale. Tanto più se sei donna, se odi farti compatire, se vuoi salvaguardare la tua dignità. E poi, quando sei giovane e ingenua, mettere a segno qualche errore clamoroso è inevitabile. Per esempio, lasciare dopo una sfuriata il tetto coniugale in piena notte, sotto la neve, portandoti dietro solo il cagnolino. Non è una nuova versione della piccola fiammiferaia, è andata proprio così.
Rientrare in quella casa, per metà anche sua, non sarà facile. Neanche con l’aiuto dell’avvocato, che alla fine le consiglia di intrufolarsi di soppiatto, quando l’ex marito non c’è, per portarsi via almeno lo stretto indispensabile, i vestiti, i libri…
E poi bisogna ripartire da capo. Stavolta tutta sola. Trovare un nuovo tetto e continuare a pagare il mutuo dell’altro non aiuta le finanze. Il conto in banca si fa anoressico, giorno dopo giorno ci si ritrova più poveri. E più tristi nello scoprire che quell’uomo che avevi tanto amato, in cui riponevi illimitata fiducia, si rivela gretto e vendicativo. Che non sopporta di esser stato lasciato, che ti propone come soluzione di andare a farsi miracolare da un prete psicologo di improbabile talento. E poi la parte più penosa: dirlo ai genitori, con il segreto timore di averli delusi e traditi.
Infine gli amici. Che solo adesso, a tumulazione avvenuta della coppia, ti confessano che sì, loro l’avevano sempre pensato che sarebbe andata a finire così, che lui aveva mai convinto nessuno, che era pure un po’ «pirla»… Ma perché non dirlo prima? Si chiede Chiara. Perché tutti se n’erano accorti che non sarebbe funzionato e io no? Infine i colleghi. Che si dividono tra quelli che dicono «ti capisco» e quelli che, per capire meglio, ti propongono «usciamo stasera, così magari parliamo». Tornare single, riflette Maffioletti, è come appiccicarsi sulla fronte l’etichetta «disponibile».
Durissima la trafila legale, i patteggiamenti, le ritorsioni, il ritrovarsi in tribunale e, nonostante tutto, non riuscire a trattenere le lacrime. Perché quell’uomo che ti ha fatto soffrire lo hai amato davvero. Tanto, tantissimo. Maledetto il giorno che ti ho sposato… È proprio vero che la causa prima di un divorzio è il matrimonio. Dove sono finiti i tempi belli dell’innamoramento? Le piccole fughe insieme? L’addormentarsi mano nella mano?
Nel tentativo di sbrogliare quei grovigli del cuore, tornano in mente persino la perle di saggezza di Sex and the CityLa filosofia della romantica Carrie: «Quanto eravamo felici prima di decidere di voler vivere felici e contenti per tutta la vita» e quella della sarcastica Samantha: «Non credo nel matrimonio, credo nel botox, quello almeno funziona sempre». Finché, quasi senza rendersene conto, si recupera un nuovo stato sociale («si dice “separata”, ma si legge “tradita”, “fedifraga” o “sfigata”, a seconda di chi ascolta la parola»), si recupera una nuova libertà, una nuova consapevolezza.
Se un matrimonio ti cambia, la sua fine ti trasforma. Più disincantata, forse più saggia e matura. Il «per sempre» di prima viene sostituito con un più realistico «finché dura». Infine si volta pagina, il tormento via via si stempera nel ricordo, la speranza di incrociare di nuovo uno sguardo speciale riaffiora. Un nuovo incontro è dietro l’angolo, specie quando si è giovani, belle e dolci come Chiara.
Ma se sarà di nuovo amore — promette lei — stavolta sarà senza anello al dito. Il matrimonio non è un ciak. Dovrebbe essere «buona la prima». Una seconda non è contemplata. Dal buco nero di un addio si riemerge sempre diversi, persino nei sogni. Il nuovo incontro sarà quello giusto. Un uomo con cui ritrovarsi sempre, a casa e nei viaggi, nei litigi e nelle risate, nei libri e al cinema… A cui sarà bello dire sì ogni giorno. Per sempre, ma senza mai giurarlo.

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