Trovo molto ben fatta l'intervista di Paolo Valentino, del Corriere della Sera, a Antonin Scalia, giudice della Corte Suprema (equiparabile alla nostra Costituzionale) degli Stati Uniti, in "quota" repubblicana ( i Giudici della Corte vengono nominati dai Presidenti USA, previo consenso del Senato, e sono le uniche cariche non elettive e prive di durata ) . L'intervista ha di buono che si riduce molto il filtro del giornalista, a cui comunque resta il ruolo importante di porre o meno determinate domande...lo sappiamo bene in Italia dove troppo spesso si leggono pezzi giornalistici paragonabili più a delle genuflessioni che non alla ricerca di approfondimenti, e si apprende direttamente il pensiero dell'intervistato.
Perché accada questo occorrono due ingredienti : che il giornalista faccia le domande giuste ( e Valentino, con educazione e rispetto, le fa ) e che l'intervistato sia sincero.
Nel servizio che segue questi elementi sono presenti entrambi : il professionista non evita i temi scottanti, il Giudice non svicola e non si aggrappa alla diplomazia e al politically correct.
Dopodiché si può essere più o meno d'accordo, però questo è. Personalmente, sulle armi, non comprendo come si possa accettare che i cittadini comuni si dotino, ancorché per autodifesa, di armi da guerra. Però se la Costituzione, varata del 1789, a distanza di oltre 200 anni si mostra su certi punti inadeguata, nulla vieta agli americani di modificarla. Fino a quando non avviene, un Giudice la applica.
Un ottimo insegnamento anche per i nostri.
Buona Lettura
L'intervista al giudice conservatore su diritti, democrazia e armi
Il supergiudice americano Scalia
«Chiudere Guantánamo? Un'ipocrisia»
«Quando protestate per i detenuti a Guantánamo, rispondo: "Vorreste prenderne qualcuno da voi?". La risposta è sempre no»
Antonin Scalia, «Mr. Justice» a una conferenza sui diritti civili (Ap)
Il suo sarà un atto di accusa, come sempre diretto ed esplicito, alle «agende politiche di moda» che portano molti magistrati a sottovalutare le protezioni costituzionali dei diritti economici. Scalia ha in mente gli Usa, ma il suo messaggio sulla necessità per i giudici di «interessarsi di più ai diritti proprietari e alle libertà economiche» previste dalla Costituzione americana, acquista valore di appello universale. Con Antonin «Nino» Scalia, nato nel 1936 a Trenton, New Jersey, da immigrati siciliani, abbiamo parlato al telefono alla vigilia dell'appuntamento torinese.
Mr. Justice, il presidente Obama ha detto di recente che la guerra al terrorismo, come tutte le guerre, dovrà finire, ammettendo anche che gli Stati Uniti in questi anni sono stati in conflitto con i propri stessi principi. Lei crede che dopo l'11 settembre l'America, in nome della sicurezza, sia stata in difetto con la sua Costituzione?
«La nostra Costituzione protegge i non-americani quando sono in America, ma non limita le attività del governo all'estero, eccezion fatta quando si tratta di cittadini americani. Questa è la legge. Naturalmente il presidente decide quale politica debbano seguire i militari».
Ma non esistono dei diritti universali?
«Io non applico diritti universali. Io devo applicare la legge americana, espressa nella Costituzione e nelle leggi approvate dal Congresso. Non applico le leggi di Dio o di chiunque promulghi la cosiddetta legge internazionale».
Ma ci sono convenzioni internazionali, cui gli Stati Uniti aderiscono...
«Certo. E nella misura in cui le abbiamo sottoscritte, sono diventate leggi americane che vincolano l'esecutivo. Ma non ne conosco una, in tema di guerra al terrorismo, che limiti le azioni degli Stati Uniti contro i nemici che ci attaccano. Certo, c'è la Convenzione di Ginevra. Ma non si può invocarla, se non si è un esercito, soggetto al comando di qualcuno, che indossa un'uniforme. I terroristi non indossano uniformi, giusto? Ginevra si applica nel caso di una guerra e non si applica a chiunque decida di far esplodere una scuola o un grattacielo».
Lei non pensa che nella guerra al terrore l'America abbia violato principi che sono alla base della sua democrazia?
«Troppo generale. A me interessa sapere se l'America abbia violato la sua Costituzione».
Ma è possibile mettere qualcuno in prigione per sempre senza giudicarlo?
«Sta parlando di Guantánamo?».
Sì.
«Non è una descrizione accurata. Il tema non è se uno possa essere detenuto laggiù, ma se vi possa rimanere senza un processo civile. I detenuti a Guantánamo sono stati giudicati da commissioni militari, cosa normale in guerra. Nessuno delle centinaia di migliaia di tedeschi catturati nella Seconda guerra mondiale ebbe un processo civile negli Usa, furono giudicati da tribunali militari. Questa nozione che stiamo facendo qualcosa di inaudito è assurda. Quando parlo con i miei amici europei e mi dicono che non possiamo tenerli in prigione per sempre, rispondo: "Bene, ci stiamo pensando. Vorreste prenderne qualcuno in Italia, in Germania, in Francia, visto che siete così ligi ai principi del rispetto dei diritti umani?". La risposta è sempre no. Trovo questa polemica molto ipocrita».
Lei è considerato la maggiore forza intellettuale dietro la cosiddetta lettura «originalist» della Costituzione americana. Può un testo redatto quasi due secoli e mezzo fa essere applicato, senza interpretazione, a una società radicalmente cambiata ed evoluta da allora?
«Ovviamente dev'essere interpretato. Quando ci sono nuovi fenomeni che non esistevano al tempo in cui la Costituzione fu scritta, uno deve calcolare in che modo lo spirito di quel testo si applica a loro. Per esempio, il diritto di espressione: come si applica alla radio, alla tv, ai social media. Ciò che non accade, secondo gli originalist , è che i fenomeni che esistevano al tempo vengano improvvisamente trattati diversamente poiché lo pensano i giudici di oggi. L'esempio migliore è la pena di morte. C'è qualcuno che pensa che la pena di morte sia diventata incostituzionale. Assolutamente incomprensibile per me: il popolo americano non ha votato per renderla incostituzionale. Ogni Stato se crede può abolirla e 17 di questi lo hanno fatto. Ma non c'è alcuna base per dire che la nostra Costituzione proibisca la pena di morte, chi lo dice è un incendiario».
E questo si applica anche al diritto di portare armi?
«Esattamente».
Ma allora l'autodifesa aveva senso, oggi ci sono istituzioni che proteggono il cittadino.
«Bene, allora cambino il secondo emendamento. E sarebbe anche più facile, perché il suo scopo era di consentire ai cittadini di difendersi dalla tirannia del potere. Se la gente non lo ritiene più necessario, allora si cambi la Costituzione, ma non mi dite che qualcosa sia cambiato. Ci sono molte proposte di legge che riguardano quali armi possano essere portate. Per esempio, armi a spalla che possono lanciare missili in grado di abbattere un aereo. Ma il principio generale che i cittadini possano avere armi, incluse armi da guerra, è chiaro nel testo del secondo emendamento. Se si vuole essere onesti e non si vuole che siano i giudici a scrivere la legge, i cittadini americani hanno il diritto di portare armi, come difesa dai tiranni».
Ma è un fatto che sempre più di frequente queste armi sono usate per uccidere persone innocenti...
«Nonsense. Non c'è nessuna prova che le combat arms o le "armi d'assalto" siano la causa di questi episodi. Ogni cacciatore in America ha un fucile automatico».
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