lunedì 6 maggio 2013

MA PERCHE' QUELLI DI SINISTRA HANNO LA FISSAZIONE DELLE TASSE ?


 Si discetta e si litiga sull'IMU e la questione è un buon esempio - non che ne manchino - del perché questo sfortunato Paese stia declinando rapidamente dopo essere riuscito, nei decenni del dopoguerra, a crescere al punto da essere tra i più ricchi del Pianeta ( pensa gli altri, dirà qualcuno...non senza qualche ragione. Però è così, basta guardarli TUTTI gli altri, e non fermarsi ai soliti noti della parte buona dell'Occidente).
Berlusconi fa dell'abolizione dell'IMU un caso dirimente.  Gli italiani non consumano e restituire loro qualche  soldo di più in tasca da spendere fa bene all'economia.  Abolire la tassa sulla prima casa, che vale comunque 4 miliardi, non spiccioli, ha questa valenza. Ha poi un grande ritorno propagandistico : si ripropone il mito dell'uomo che combatte le tasse. Cosa non del tutto vera se dal 1994 a oggi, con il Cavaliere al Governo, il debito pubblico è aumentato (era al 115% nel 1993, nel 1992 addirittura al 105 ! roba da fare festa oggi...) , così come la spesa e anche le tasse. E' vero che nei primi anni del nuovo secolo, probabilmente anche grazie ai bassi tassi degli interessi sul debito. che l'introduzione dell'Euro comportò per oltre un lustro, si era tornati attorno ai livelli del governo Amato, e due volte, una con Berlusconi, nel 2004, e una con Prodi, nel 2007,  si toccò quota 103. Sempre oltre il 100% comunque, laddove l'obiettivo fissato dalla UE, sia pure in un certo lasso di tempo, è il 60% !!, roba che bisogna tornare a Spadolini e il 1981 !! Sicuramente Berlusconi ha cercato di agire più sull'indebitamento che sull'aumento fiscale (che comunque non è certo una pratica né liberista né liberale), però alla fine anche con lui la pressione dell'Agenzia delle Entrate  si è accentuata. Insomma, com'è falsa la vulgata di chi fa credere che in questi 20 anni in Italia abbia governato sempre Berlusconi, lo è quella contraria . Siamo arrivati qui grazie ad un sodalizio diabolico tra eletti ed elettori, ammettiamolo. Tornando all'IMU, sicuramente è un problema, ma farlo diventare IL problema mi lascia alquanto perplesso.
Lo stesso discorso ovviamente vale per la sinistra. Dell'IMU   si sono lamentati quasi tutti, perché colpendo la casa, non ha consentito evasioni di sorta, né fatto differenze di censo. E quindi anche il PD e SEL si sono posti il problema di rimodulare la tassa, esentando i ceti "meno abbienti"...Ma qui casca l'asino, perché in Italia, se ci si sposta dal patrimonio al reddito, scatta la trappola dell'evasione fiscale...Ne' può soccorrere il criterio del valore catastale, che avremmo assurdità per cui un monolocale a P.za di Spagna potrebbe essere esentato rispetto a 100 metri sulla Tuscolana a Roma.
In realtà, il problema delle Tasse andrebbe affrontato cercando di superare steccati ideologici, specie ora, che sul fatto che in Italia si sia arrivati ad una pressione fiscale insostenibile ce lo dicono da fuori !!
Draghi, inversione capo della BCE, da sempre, ma anche il Fondo Monetario Internazionale, e pure altri organismi rilevano come l'eccessiva tassazione soffochi ogni possibilità di crescita. Ma del resto, basta guardare il governo Monti. I montiani oggi ricordano i fascisti del 26 luglio 1943 : spariti !!! Attraverso il salasso fiscale, Monti ha ottenuto di MANTENERE (perché già nel 2011 l'Italia era in avanzo primario) un livello di deficit migliore rispetto a tutti i paesi europei tranne il gruppetto dei virtuosissimi (Germania, e altri due.tre, forse).  Ha però aggravato la recessione e peggiorato di gran lunga il debito !! Siamo al 130%!! E questo perché se diminuisci il PIL, diminuiscono anche le entrate, e il fatto che uno sopperisca a questo con ALTRE tasse, innesca un circuito diabolico. Certo, sul debito avranno anche agito i maggiori interessi pagati nel lungo periodo di spread molto elevato, ma resta il fatto che il problema PRINCIPALE in Italia è la recessione, che segue a un decennio e passa di sostanziale stagnazione. E per risolvere questo problema le tasse, specie sul settore produttivo, vanno ABBASSATE.
Un anno fa, più o meno di questi tempi, Luca Ricolfi lo spiegava molto bene in un suo editoriale, che leggo oggi e che conserva (ahinoi) assoluta attualità.
Buona Lettura


Né destra né sinistra: meno tasse


LUCA RICOLFI
Ogni tanto se ne riparla. La settimana scorsa, poi, è stato un profluvio: quasi simultaneamente, Corte dei Conti, Banca d’Italia, Garante per la privacy l’hanno ripetuto: in Italia le tasse sono troppo alte, mentre le garanzie a tutela del cittadino onesto sono insufficienti, nonché in preoccupante declino.

Poi però, come è appena successo nei giorni scorsi, il tema rientra e si torna a dibattere delle solite cose, rimandando al futuro ogni intervento di riduzione delle aliquote.
Insomma, possiamo anche rallegrarci che ogni tanto se ne riparli, ma dovremmo essere coscienti che sono parole al vento. I governi hanno altre priorità, e i cittadini probabilmente anche.

Perciò, anziché lodare l’ennesimo effimero sussulto anti-tasse, vorrei cercare di rispondere alla domanda: perché, verosimilmente, non se ne farà nulla nemmeno questa volta?
Una prima ragione, a mio parere, è che il tema delle tasse ha un sapore ideologico troppo forte. Diciamolo brutalmente: se chiedi meno tasse sei bollato come uno «di destra», nella migliore delle ipotesi come un «vecchio liberale».

Sì, certo, c’è stato anche un tempo - dopo i successi delle rivoluzioni liberiste di Reagan e della Thatcher - in cui lo slogan «meno tasse» si era fatto strada nella cultura progressista, quantomeno nei paesi in cui la sinistra non era troppo conservatrice. Ma quel tempo ora è finito, e la sinistra di oggi è completamente rientrata nei ranghi: ridurre le tasse non è una sua priorità, e persino la destra - spaventata dalla crescita del debito pubblico - preferisce dedicarsi a temi meno scottanti. Ridurre le tasse è tornato ad essere uno slogan di destra, che - tuttavia - la destra stessa ha paura di agitare.

C’è però un’altra ragione, molto più importante perché più concreta, per cui i governi riescono solo a parlare di riduzione delle tasse, raramente passando dalle parole ai fatti: ed è che tutti i governi, quale che sia il loro colore politico, letteralmente vivono di tasse. È grazie alle tasse che possono spendere, ed è spendendo che si procacciano i voti degli elettori, ossia la base stessa del proprio potere. La macchina dei favori elettorali richiede sempre più soldi, e i soldi si possono trovare solo in due modi: facendo debiti e mettendo più tasse. Finita l’era dei debiti - perché i mercati hanno detto basta - restano solo le tasse.

Ma la ragione più insidiosa che rende permanentemente inattuale il programma della riduzione delle aliquote è, a mio parere, di natura culturale, per non dire teorica. Ed è che la teoria che dovrebbe stare alla base di un programma politico di riduzione delle tasse è oggi minoritaria, non solo in Italia ma nella maggior parte delle società avanzate. Non saprei dire perché sia così, ma è così.

L’unico argomento veramente forte a favore della riduzione delle tasse è che aliquote troppo alte soffocano la crescita e noi - con il debito pubblico che ci ritroviamo - non possiamo permetterci un altro decennio di stagnazione. Il problema è che questo tipo di analisi, che sarebbe parsa semplicemente ovvia anche solo una decina di anni fa, oggi non è più tale. Oggi il senso comune di osservatori, studiosi e analisti è completamente cambiato. Per molti vale l’ingenuo corto-circuito che collega le minori tasse alla rivoluzione liberista, e la rivoluzione liberista alla crisi degli ultimi anni: se il liberismo ci ha portati all’attuale disastro, pensano costoro, non è ripristinandolo che ne usciremo. Ma anche fra gli studiosi, che non si basano su impressioni ma su ricerche, le cose sono molto cambiate da allora. Oggi la teoria della crescita snobba le tasse, e punta tutte le sue carte su leve come capitale umano, innovazione, tecnologie informatiche, investimenti in ricerca e sviluppo, liberalizzazioni, concorrenza. Tutte cose che o non costano nulla (liberalizzazioni), o comportano più spese (capitale umano), non certo un minore prelievo fiscale.

Si potrebbe dire, semplificando un po’ per chiarire, che il pendolo ideologico della teoria della crescita si è spostato. La teoria della crescita ha avuto quasi sempre un’anima liberale, perché non ha mai smesso di credere nel ruolo cruciale del mercato, della concorrenza, del libero scambio, fino alla recente totale adesione al paradigma della globalizzazione. Ma accanto a questo nucleo teorico liberale (di cui molti esponenti dell’attuale governo italiano sono convinti assertori) nel dibattito sulla crescita degli ultimi cinquant’anni sono sempre stati presenti almeno due altri elementi portanti: l’idea della basse aliquote, e l’idea degli investimenti in capitale umano. Insomma un’anima che i più considererebbero di destra (meno entrate fiscali) e un’anima che considererebbero di sinistra (più spese per l’istruzione). Negli Anni 90 il pendolo della teoria oscillava verso destra, oggi oscilla verso sinistra.

Io penso però che sia sbagliato, in questo campo, scegliere secondo parametri ideologici. Non solo perché l’evidenza empirica disponibile suggerisce che tutti e tre i gruppi di fattori - istituzioni economiche efficienti, alta qualità dell’istruzione, basse aliquote sui produttori - hanno un impatto elevato (e di entità comparabile) sul tasso di crescita, ma perché un paese che vuole tornare a crescere dovrebbe partire - innanzitutto da un’analisi spietata dei propri ritardi. La prima cosa che un Paese dovrebbe chiedersi non è se preferisce una politica di destra o di sinistra, ma qual è la leva più potente che ha a disposizione, e quanto tempo ha di fronte a sé. Nel caso dell’Italia la risposta è che, se come termine di paragone si prendono le economie avanzate (Paesi Ocse), i suoi due ritardi fondamentali - e dunque le leve su cui ha maggiori margini di miglioramento - sono le mancate liberalizzazioni e l’elevatissima pressione fiscale sui produttori. Con un’importante differenza, tuttavia: che le liberalizzazioni non potranno produrre effetti apprezzabili prima di 5-10 anni, mentre una riduzione incisiva delle aliquote sui produttori può darci un 1% di crescita in più nel giro di 1-2 anni.

In breve, vorrei dire che sulla crescita sarebbe bello che si cominciasse a ragionare in termini più empirici e pragmatici. Si può essere di destra o di sinistra, ma si dovrebbero preferire le politiche di cui il proprio paese ha bisogno in un dato momento storico. Essere europei, forse, significa anche questo. Un cittadino europeo, oggi, dovrebbe preferire politiche «di sinistra» dove e quando la crescita è frenata dalla bassa qualità del capitale umano, politiche «di destra» dove e quando la crescita è soffocata dalle tasse che gravano su chi produce ricchezza. E l’Italia, che piaccia o no, non ha (ancora) il record dell’ignoranza, ma detiene saldamente quello delle tasse.


7 commenti:

  1. LUIGI CALABRESE

    Eccellente

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  2. Meno tasse subito. Le tre parole che il Centro-SX in Italia non riesce e non può dire, perché ha esageratamente caratterizzato il proprio profilo politico degli ultimo 20 anni sul grido di battaglia: "Dagli all'evasore!".. Ora, non ha la possibilità di dialogare con gli elettori dell'altro schieramento (e meno male..): quando uno di loro, con evidenti doti di leader come Renzi, ci prova lo epurano...

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  3. UGO CALò

    Perché non sono libertari

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  4. MASSIMO BENOCCI

    perché sono massima parte della loro dieta abituale

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  5. DOMENICO FIORI

    Notevole !

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  6. ALBERTO MASCIONI

    Perchè è meno faticoso che lavorare.

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  7. SABINO NANNI

    Perchè sullo sfruttamento dei sudditi-produttori, la casta predatrice fonda il suo potere. Ve lo ricordate il vecchio discorso del plus-valore e del plus-lavoro? Oggi, a sfruttare, non c'è più il capitalista, c'è l'apparato statale

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