Qualche giorno fa comparve sul POST, quotidiano on line indipendente e di ispirazione liberal , quindi di sinistra illuminata, non settaria, un articolo sorprendente nel quale si
contestava, numeri alla mano, l'esistenza di una emergenza denominata da tutti ormai FEMMINICIDIO.
Rimasi colpito, come chiunque immagino, lo lessi, e lo riportai sul Camerlengo.
Adriano Sofri oggi su Repubblica scrive replicando a quelli che definisce i "negazionisti" del fenomeno - strano che uno come lui ricorra ad un termine dispregiativo. modo scorretto di affrontare un dibattito, partendo subito con la squalifica preventiva degli avversari - con un lungo articolo che pure riporto.
Come al solito, Sofri NON ha il dono della sintesi, e nemmeno della semplicità. In compenso è profondo e ha, a volte, intuizioni preziose, non ordinarie.
Insomma, leggerlo è faticoso (almeno per me spesso lo è) ma in genere premiante.
E quindi eccolo qui il suo articolo
I conti avari sulle donne uccise
C’è una vera ragione di allarme sulle donne uccise, o c’è un allarmismo
colposo o doloso? Si è andata ampliando la reazione negatrice, fino a
diventare una campagna. Lo scandalo sul femminicidio è montato
lentamente e tardissimo. Ha da subito eccitato dissensi troppo aspri e
ottusi per non essere rivelatori. C’è stato anche chi ammoniva che gli
uomini uccisi sono più numerosi delle donne uccise: vero, salvo che il
confronto va fatto fra le donne uccise da uomini e gli uomini uccisi da
donne, e allora diventa irrisorio. Strada facendo, le obiezioni si sono
irrobustite, valendosi anche di una (effettiva) carenza di statistiche
esatte. All’ingrosso, si è negato che le uccisioni di donne siano
cresciute in numeri assoluti, e si è sottolineato che la crescita
–impressionante- nella loro quota relativa rispetto al totale degli
omicidi è dovuta solo alla riduzione degli altri omicidi, soprattutto
quelli di mafie. Prima di motivare i dubbi sulla prima affermazione –il
numero di femminicidi che resta sostanzialmente stabile nel tempo e nei
luoghi- sbrighiamo la seconda: se nel complesso degli omicidi c’è una
rilevante riduzione, e quelli contro donne restano inalterati, vuol dire
che la nostra convivenza migliora tranne che nei rapporti fra uomini e
donne. A questa allarmante constatazione si aggiunge l’altra, che
abbiamo alle spalle (recenti) un mondo patriarcale e un codice penale
che giudicavano con sfrenata indulgenza, o con malcelata simpatia, gli
uomini che ammazzavano le “loro” donne; e ora ci illudiamo di vivere in
un mondo più affrancato dai pregiudizi e più libero per tutti. Anzi, un
altro dato, secondo cui le uccisioni di donne sono molto più frequenti
al nord che al sud, segnala una relazione complicata se non inversa fra
liberazione dei costumi e insofferenza maschile. Rinvio, per una replica
generale, al blog di Loredana Lipperini (“Il fact-screwing dei
negazionisti”, 27 maggio). Per parte mia, faccio alcune obiezioni
peculiari.
Nella discussione “specialista” al neologismo
‘femminicidio’ si è aggiunto da tempo l’altro ‘femicidio’ (sono
latinismi passati attraverso aggiustamenti anglofoni): il primo
alludendo alle vessazioni che donne subiscono da parte di uomini, il
secondo all’assassinio. Il binomio mi sembra privo di senso e comunque
di utilità, e tengo fermo il solo termine di femminicidio come, alla
lettera, uccisione di donne. Gli obiettori all’esistenza di una
“emergenza di femminicidi” hanno capito che la categoria riguardi le
donne uccise da loro mariti e amanti e fidanzati o ex-mariti, ex-amanti,
ex-fidanzati (e padri e fratelli…), dunque “dal loro partner”. Questa
delimitazione è frutto di un significativo fraintendimento. E’ vero, e
raccapricciante, che la gran parte delle violenze e delle stesse
uccisioni di donne è perpetrata dentro le mura domestiche, dove i panni
andavano lavati, cioè sporcati, al riparo da sguardi estranei. Ma questa
selezione statistica toglie altre circostanze in cui donne vengono
uccise “perché donne”. Addito le prostitute assassinate. Piuttosto: non
“le prostitute”, ma le donne che si prostituiscono; correzione
essenziale, se appena riflettiate alla differenza, di spazio e di
emozione, fra i titoli che dicono “donna uccisa” o “prostituta uccisa”.
Gli assassinii di prostitute sono molti e orrendi. Gran parte dei
detenuti per omicidio di un carcere non speciale hanno ammazzato la
“loro” donna, o una, o più, prostitute. Non è femminicidio? Per bassezza
di rango? O perché le prostitute non hanno padre, coniuge, fidanzato, e
gli assassini non sono i loro “partner”? Ma lo sono senz’altro. Nel
caso delle prostitute, l’assassino è “il loro partner”. Basta a renderlo
tale la cifra che sborsa o promette per il prossimo quarto d’ora, o il
loro stare su un marciapiede a disposizione di chi le voglia e prenda a
nolo. La nudità esposta delle prostitute da strada –le più allo
sbaraglio- è per loro un modo di aderire, per la durata della loro
fatica, all’alienazione di sé, di sospendere la propria identità salvo
rientrarvi a nottata passata; per gli uomini, è la manifestazione
denudata dunque resa astratta e universale –come la moneta, corpo che
sta per tutti i corpi- del piacere che può loro venire, della loro
indigente questua di badanti sessuali. La gelosia maschile è così
diversa da quella femminile (come attesta la sproporzione di botte e
coltellate, salvo che la si riduca alla differente muscolatura) perché
noi uomini intuiamo e temiamo una superiorità sessuale femminile, una
disposizione al piacere che nessuna presunzione amorosa può del tutto
addomesticare. Lo sapevano gli antichi, e ne avevano confidato al mito
la memoria anche dopo aver ridotto le donne in cattività, prime fra gli
animali domestici. Ne hanno ereditato la nozione, pur non sapendo più
spiegarla né spiegarsela, e dandola falsamente come una prescrizione
religiosa, le società che si dedicano scrupolosamente a mutilare le
bambine degli organi sessuali, mutando in strumenti di dolore e anche di
morte una fonte di piacere renitente al comando. (Ricordiamo il
catalogo: “Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la
moglie di lui, né il suo schiavo e la sua schiava, né il suo bue né il
suo asino…”). Alle donne che fanno le prostitute gli uomini prendono a
basso costo e basso rischio un surrogato alla violenza casalinga e
amorosa: come le bambole sulle quali i medici cinesi visitavano le loro
pazienti vestite, le prostitute sono le fidanzate momentanee e
traditrici su cui infierire. “Non era che una puttana”. Romena, russa,
bielorussa, nigeriana: “Uccisa una nigeriana”.
Titoli in corpo
piccolo (si chiama così la statura delle lettere a stampa, corpo), al di
sotto del femminicidio consacrato. Vuoi mettere, si dirà, una nigeriana
uccisa con la ragazza quindicenne che ci ha spezzato il cuore? Certo
che no. Eppure sì.
E’ affare di noi uomini. Le donne che fanno le
prostitute e partono ogni sera per la più asimmetrica delle guerre
civili la sanno lunga, su noi, che esitiamo a seguire il filo dei
pensieri fino al punto in cui fa il nodo. E’ seccante rileggere i più
bei frutti della nostra creatività letteraria e artistica per scorgervi
la rovina del Grande Delinquente che ha ucciso la puttana perché l’amava
e la voleva solo per sé.
I volontari della campagna
anti-scandalismo sul femminicidio protestano che una morte vale
un’altra: la ragazza massacrata vale il pensionato rapinato (qualcuno si
spinge a confrontare le uccisioni di donne con le vittime degli
incidenti stradali!). Che si distingua chi perseguiti o uccida qualcuna o
qualcuno perché è donna –o perché è gay, o perché è ebreo, o nero-
sembra loro un’insensibilità costituzionale. Il paragone con le
minoranze è improprio: le donne sono la sola maggioranza brutalizzata.
Le leggi, dicono, valgono per tutti. E’ vero, e riconoscono aggravanti
particolari. Come spiegano Lipperini e Murgia –e tante altre- occorre a
un capo l’impegno culturale e all’altro capo il sostegno materiale ai
centri antiviolenza. Aggravare le pene è il riflesso condizionato di
legislatori di testa leggera e mano pesante. Di una sola misura c’è
bisogno, più efficace a impedire di nuocere a chi ha minacciato,
picchiato e molestato abbastanza da annunciare l’esito assassino. Qui è
il punto penale: solo in apparenza preventivo, perché quelle minacce e
molestie e violenze, quando siano accertate, sono già sufficienti alla
repressione che il femminicidio attuato renderà postuma.
La
minimizzazione del femminicidio si presenta come un’obiezione al
sensazionalismo. Si potrà dire almeno che ha avuto una gran fretta. Si
sono ammazzate donne per qualche migliaio di anni, per avidità amorosa e
per futili motivi: da qualche anno si protesta ad alta voce, e già non
se ne può più?
Postato su FB, sul suo profilo, sono intervenuto con questo commento :
GIUSEPPE RICAGNI
RispondiEliminaHo letto entrambi i post (questo e quello precedente sul "negazionismo", ma non ho capito la tua posizione. Che ne pensi alla fine?
Premesso che spero che altri mi trovino meno criptico Giuseppe, la mia posizione è che si cerchi di fare la cosa più difficile : prevenire. Non credo nella deterrenza, che comunque si fonda più sulla certezza della pena che sulla sua asperità. Mio padre, che faceva il giudice,serio e capace, a differenza di molti degli attuali , mi spiegava come meglio pochi anni ma SICURI (e quindi un efficace sistema di individuazione del colpevole, velocità della cattura e della sentenza di punizione, EFFETTIVO sconto della pena ) , che favoleggiare di ergastoli, per di più di "genere" (se uccidi una donna sì e sempre, se uccidi un uomo parliamone), che poi non vengono mai scontati. Tempo fa postai l'intervista di un funzionario di polizia, donna (che a questo punto meglio citare le donne, che noi non contiamo se non ci allineiamo) che esprimeva perplessità sulle proposte della Bongiorno - fare del femminicidio una nuova tipologia di reato - , e invece esortava al potenziamento di settori della polizia e della procura destinati alla tutela delle donne nei casi di minacce e violenze. In genere l'omicidio non è un fulmine a ciel sereno in questi casi. Ma gli interventi sono lassi e tardivi. Detto questo, c'è bisogno di collaborazione GRANDE, delle vittime. Che non denunciano, che tornano insieme agli aguzzini, e pure quelle che, al contrario, denunciano calunniando. E' capitato più di un caso che una denuncia per stalking e violenza si sia trasformata, dopo le prime indagini, in una per calunnia contro la donna. E NON per iniziativa dell'uomo, ma d'ufficio, per atto del PM. Insomma il problema non è semplice e le campagne di sensibilizzazione sono ottime perché aumenti l'attenzione e la sorveglianza sociale, così come la consapevolezza delle vittime di FARE per sottrarsi, quando possono, al loro carnefice. Ma attenzione ai risvolti giudiziari, che la via della repressione è sempre quella più facile e popolare, non quella più giusta ed efficace.
EliminaGIUSEPPE
EliminaSono perfettamente d'accordo. Devo dire la verità che con il passare degli anni mi sono sentito progressivamente sempre più infastidito dalle "vittime predefinite" della nostra società. Ci sono categorie (legate a religione, etnia, genere, abitudini sessuali, e chi più ne ha più ne metta) che se uno si azzarda anche solo minimamente a sfiorare, a volte anche solo verbalmente, si ritrova sempre e inesorabilmente dalla parte del torto.
A mio avviso ciò è parte del problema, una parte importante. Crea un'occasione (pericolosa) alla quale alcune vittime non riescono a rinunciare.
Ricordo come se fosse ieri aspri confronti di inizio-fidanzamento con la mia attuale moglie (22 anni fa) in cui lei mirava deliberatamente e ripetutamente a provocarmi affinché la picchiassi. Eh si, perché se un uomo picchia una donna, la ragione è matematicamente dalla parte di lei. Ovviamente io non lo faci mai, fu chiaro dopo un po' che la strategia non funzionava, e l'atteggiamento svanì'.
Ma cosa sarebbe potuto succedere con un altro uomo ? Quante donne fanno questo giochetto e poi, con il passare del tempo, perdono il controllo della situazione?
La verità ha sempre più di un risvolto, le vittime predefinite sono solo frutto dell'immaginario collettivo.