mercoledì 5 giugno 2013

CRESCERE O REDISTRIBUIRE ? BOTTA E RISPOSTA TRA ROMANO E GALLO


Poco tempo fa postammo il commento di Sergio Romano ad un pamplhet scritto dal prof. Franco Gallo, ennesimo emerito giudice della Corte Costituzionale (una carica che può durare anche due mesi, per cui non si nega quasi a nessuno...) . Era una recensione critica, sostenendo Romano come, nella assoluta priorità redistributiva del fisco, con estensione a ogni forma di "ricchezza", Gallo non solo eccedesse in egualitarismo, ma perdesse di vista il problema della crescita economica di un paese. Il post in cui riportavamo il tutto lo potete leggere qui di seguito http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/05/tassare-e-opera-meritoria-ed.html .

AL ché il Professore ha deciso di replicare con il post che segue, a cui pure Romano dedica poche righe di chiosa. Credo sia interessante leggere la discussione, ribadendo che, anche in questa occasione - non accade sempre con l'ex ambasciatore - condivido la posizione del secondo e non del giudice. Apprezzo che quest'ultimo abbia voluto prendere le distanze da tristi esempi di socialismo del passato (quelli peraltro più affermati nella storia, per quanto poi o decaduti, come l'URSS, o in grossa commistione col capitalismo, come la Cina ) , e nega di disprezzare il Merito e la Proprietà Privata. Semplicemente, li pospone all'esigenza egualitaria. In teoria si tratterebbe di equilibri, in realtà si assiste a qualcosa i diverso.
Inoltre, ritengo che il punto nodale che pone Romano sia esiziale : se sia fondamentale ingegnarsi per trovare nuovi modi per distribuire una torta che si fa sempre più piccola (e l'ingegneria radicale di sinistra mi sembra concentrata su questo), oppure sforzarsi per tornare a produrre ricchezza e quindi a far tornare più grande quella torta.
Comunque scambio da leggere

EGUAGLIANZA 1

Un Fisco che sa distribuire le risorse
alla base delle democrazie moderne

Caro Romano, mi dispiace che l'eccessiva sintesi del piccolo pamphlet sull'uguaglianza tributaria, che Ella ha criticamente recensito nell'inserto «la Lettura» del Corriere della sera del 26 maggio, abbia portato un attento lettore come Lei a fraintendere il mio pensiero fino al punto di ritenere che io sia un egualitarista fautore di quella «società degli eguali» che ha caratterizzato i Paesi del socialismo reale e, per di più, un potenziale ideologo dei diversi movimenti no global.

Illustr. di Chiara DattolaIllustr. di Chiara Dattola
La voglio, però, rassicurare sulla mia distanza da tali ideologie estreme e sulla mia simpatia per chi intende arricchirsi puntando sul merito. Soprattutto, La rassicuro sulla mia adesione alle classiche teorie liberali distributive che vedono nella proprietà un diritto fondamentale dell'individuo, bilanciabile con i diritti sociali e, perciò, limitabile dalla legge (anche tributaria). Come potrà meglio rilevare dalla lettura di un mio più compiuto saggio sull'equità fiscale, edito qualche anno fa per i tipi del Mulino (Le ragioni del Fisco. Etica e giustizia nella tassazione), il solco in cui mi muovo non è del tutto originale. È quello tracciato da filosofi e giuristi come Rawls, Dworkin, Murphy e Nagel ed economisti come Sen, Stiglitz, Krugman e Musgrave e altri ancora. I quali, con le dovute differenze e senza essere statolatrici, pongono l'accento in conflitto con gli epigoni di von Hayek sulla giustizia distributiva, sulla funzione mediatrice dello Stato e, soprattutto, annoverano la politica tributaria tra gli strumenti di distribuzione, senza negare per questo l'importante funzione del mercato. Mi rendo conto che la mia idea di capacità contributiva, intesa come ragionevole criterio di riparto del carico fiscale, potrebbe anche «spaventare» chi concepisca solo forme di tassazione incidenti prevalentemente su redditi e patrimoni e ritenga, perciò, preferibile non gravare altre forme di ricchezza che pure esprimono posizioni di vantaggio misurabili economicamente. Tuttavia, debbo rilevare che in tutte le società liberal-democratiche occidentali è pratica comune (e da lungo tempo) prevedere tributi costruiti su presupposti non reddituali e non patrimoniali (si pensi alle imposte ambientali; alle business taxes, come l'Irap, e alla cosiddetta Tobin tax italiana e comunitaria; per non parlare delle vecchie imposte su atti e altre ancora). Inoltre - e l'osservazione è quasi banale - nei periodi di crisi come quello attuale, in cui occorre reperire urgentemente risorse per lo Stato e non è possibile operare sufficienti tagli delle spese, diviene quasi inevitabile per il legislatore assoggettare a imposta forme di ricchezza diverse da quelle costituite dai redditi di qualsiasi genere e dai patrimoni immobiliari, già così fortemente e insopportabilmente tassate nel nostro Paese, e riguardo alle quali si fa sempre più crescente la giusta aspettativa di una riduzione del carico fiscale.
Mi sembra, poi, abbastanza scontato che un «Fisco distributivo», improntato al principio di capacità contributiva intesa, appunto, come ragionevolezza, coerenza e proporzionalità e, comunque, un Fisco non confiscatorio non sia un ostacolo allo sviluppo del mercato e anzi - se ben utilizzato dalle maggioranze politiche - possa aiutare la crescita. Gli economisti non neoliberisti cui ho fatto riferimento ci ricordano sempre più spesso i vantaggi dell'uso del tributo in funzione distributiva, anche ai fini della crescita. Stiglitz, ad esempio, insiste da tempo nel sottolineare che è ormai screditata la tesi secondo cui la concentrazione delle ricchezze produce effetti vantaggiosi a cascata su tutta la società. Egli evidenzia, al contrario, che sono proprio le carenze distributive e l'eccessiva concentrazione che, riducendo i consumi e la produttività, deprimono la crescita e rendono il sistema nel complesso meno efficiente. Evidentemente, alla base delle affermazioni di questi economisti sta, in termini di giudizio di valore, l'idea che una società fondata ancora sul mito della autolimitabilità della proprietà e priva degli interventi di uno Stato distributore, si ridurrebbe inevitabilmente a una società preborghese, regredita alla fase precedente alla Rivoluzione Francese: una società senza coesione sociale, senza considerazione dei rapporti interpersonali e con scarsa formazione di capitale umano. Nelle moderne democrazie, l'intervento pubblico può essere, a volte, paternalistico, ma è indispensabile non solo per attuare, attraverso lo strumento fiscale, la ripartizione dei carichi pubblici secondo il principio di equità distributiva e superare gli eccessivi egoismi del mercato, ma anche per adottare politiche concrete per lo sviluppo da Lei auspicate.
Ma il discorso, a questo punto, richiederebbe ben altro spazio e mi porta a rinviarLa a quanto ho scritto, nel richiamato volume, sugli specifici temi della capacità contributiva, del rapporto tra diritti proprietari e diritti sociali e del finanziamento dei secondi a carico dei primi.
Sperando di avere in futuro occasione di continuare questa nostra interessante discussione, le invio i miei più cordiali saluti.


EGUAGLIANZA 2

La vera priorità è creare sviluppo

Mi pare sbagliata l'idea di tassare i beni che semplicemente soddisfano i bisogni di un individuo

Caro Gallo, se le ho dato l'impressione di considerare il suo libro quello di un «potenziale ideologo dei diversi movimenti no global», ne sono spiacente. Non era nelle mie intenzioni. Ma è certamente vero che in alcune delle sue riflessioni ho intravisto una grigia società egualitaria. Penso in particolare alle pagine in cui lei suggerisce di estendere il presupposto d'imposta, vale a dire ciò che è tassabile, a beni da cui non si trae reddito, ma da cui alcune persone «traggono vantaggio in termini sia di soddisfazione di bisogni o interessi sia di maggiore benessere sia, anche, di potere». Tassare il reddito proveniente da un bene è relativamente semplice; tassare una «soddisfazione» o un «potere» può prestarsi a una politica classista. So che lei, se dovesse individuare concretamente questi beni, sarebbe attento e prudente. Ma posso anche immaginare che cosa accadrebbe se questa filosofia tributaria cadesse nelle mani di altre persone.
Ho notato nel saggio, inoltre, che il problema della crescita è assente e che lei non si chiede quali effetti una riforma più «egualitaria», ma pur sempre progressista, del sistema tributario italiano avrebbe in questo momento sull'economia nazionale. Siamo eguali come essere umani. Ma non siamo eguali per ingegno, tenacia, spirito di sacrificio, capacità d'intraprendere. Viviamo in un mondo in cui, per fortuna, è più facile scegliere il luogo in cui vivere e lavorare. Quanti industriali sposterebbero altrove la loro azienda?
Ho l'impressione che il nostro scambio d'idee ripeta ciò che accade abitualmente nel mezzo di tutte le grandi crisi economiche, soprattutto quando hanno pesanti ricadute per una parte della società.
Vi è chi pensa che occorra meglio distribuire ciò che rimane di una ricchezza fortemente intaccata dalla crisi. E vi è chi pensa che la vera soluzione consista nel ricercare nuovi mezzi per ricominciare a produrre ricchezza.

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