domenica 2 giugno 2013

IL 2 GIUGNO E UNA REPUBBLICA CHE DEVE DIVENTARE PRESIDENZIALE


Oggi è il 2 giugno, qualcuno lo ha notato ? Penso la maggior parte di no. Ciampi è stato l'unico Presidente, a mia memoria, che si è battuto e sbattuto,  molto e vanamente, per ridare un certo anelito patriottico a noi italiani. Diceva che gli sarebbe piaciuto che noi usassimo mettere più spesso le bandiere dell'Italia fuori dai balconi e non solo per le vittorie nelle partite della nazionale.
Napolitano, che sicuramente non disdegna - e meno male - la parola Patria, ci ha tenuto tanto alle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità , nel 2011, ma non gli andò tanto bene, anche causa il precipitare della crisi economica che ancora ci attanaglia. La Festa della Repubblica risente della mestizia grande di questo periodo (epoca tra un po' potremo dire) che si aggiunge ad un popolo che unito non si è sentito mai.
Nell'occasione, posto la riflessione di Davide Giacalone, che prende spunto dalla disaffezione italiana, al di là della retorica di pochi che però fanno molto chiasso e sembrano tanti, tipo quelli di giustizia e libertà, per la Repubblica, che ha, naturalmente, spiegazioni storiche ben precise.
Tra le cose che Giacalone scrive, c'è una proposta che abbraccio senza esitazione. Un referendum "d'indirizzo" su varie riforme di questa "merravigliosa" Costituzione, che sarà pure la più bella del mondo ma qualche acciacco e crepa la mostra, e anche qui, non a caso, ma per ragioni precise, non ultima il tempo in cui fu redatta e quello che l'aveva preceduta.
Ha un bel parlare il Presidente Napolitano di fare le riforme, e in particolare quella elettorale, rilasciando poi interviste nelle quali una di queste, voluta dal centro destra e ormai anche da diverse parti del centro sinistra, a lui NON piace, e lo dice esplicitamente : il presidenzialismo.
Eppure, nei giorni precedenti la sua rielezione, si è assistito ad una forte partecipazione della gente, più politicamente sensibile, alla vicenda del Quirinale. Dibattiti e voti in rete, preferenze raccolte dai giornali cui hanno partecipato decine di migliaia di lettori, le convulsioni dei grillini e dei piddini, il mal di pancia violento degli elettori di destra contro l'ipotesi Prodi o anche di Rodotà .
Insomma, a me sembra evidente che, soprattuto da quando, negli ultimi lustri, il ruolo del Presidente della Repubblica è cambiato, e non è più il mero notaio e cerimoniare dello Stato, la gente vuole SCEGLIERLO:
Mi sbaglio ? E vediamo no ?
Basta con la Bindi, Zegrebelski, Rodotà e i difensori di questo paralizzante parlamentarismo. Come propone Giacalone, verifichiamo davvero se gli italiani  preferiscono questo sistema o una riforma costituzionale in senso presidenziale. Contiamoci qualche volta e poi RISPETTIAMO quello che emerge !!
Senza contare , esimio Presidente Napolitano, che come scrive pure oggi, in altro commento, Antonio Polito, l'unico compromesso possibile tra le due forze maggiori, PD e PDL , è proprio sul semipresidenzialismo alla francese, dove il primo ottiene il suo preferito doppio turno e il secondo l'elezione diretta del Capo dell'esecutivo.
Chiedere le riforme è sacrosanto, il cambio della legge elettorale anche, che però poi queste debbano essere quelle che piacciono a Lei Presidente, non è obbligatorio vero ?
Buona Lettura




Rifacciamo il 2 giugno

 


Sfila la parata militare, ma non volano le Frecce Tricolori. Fossi stato io a decidere avrei fatto il contrario: visto che si deve risparmiare, visto che abbiamo solo un milione e mezzo da spendere, ma visto anche che la ricorrenza dovrebbe far vibrare l’orgoglio, facciamo volare le Frecce e rinunciamo al resto. Facciamole decollare da Comiso (così qualcosa decolla dall’aeroporto senza aerei) e lasciamo che atterrino a Trieste. La loro coda colorata è spettacolo per i bimbi e memoria per gli adulti. La parata la vedono solo quelli che ci vanno. Le Frecce le vedono tutti. Invece ci sarà la parata, con il palco delle autorità affollato di soggetti che ci tengono a far sapere che sono pacifisti e antimilitaristi. Dalla scena saranno esclusi i nostri militari che sono in guerra (fossi stato io a decidere avrei fatto una economicissima sfilata di maxi schermi, facendovi scorrere la loro giornata).
Quanti sanno cosa ricorre il 2 giugno? Non è solo questione d’ignoranza generosamente equidistribuita, è che tanti anni di sfilate e ricevimenti al Quirinale non sono serviti a scalfire la scorza di una cultura che ha più orrore che orgoglio della Repubblica. Quest’anno il taglio dei salatini e le Frecce negli hangar non serviranno a far vedere che si risparmia, ma a sentenziare il trionfo di quella cultura. Che non lo sa, perché è cultura incolta, ma non è mica figlia dell’internazionalismo o del disincanto indotto dal libero pensare, non nasce mica dalla povera caratura della classe politica (mediamente migliore di quella professorale), bensì dall’antico pregiudizio antistatale che fu iniettato nelle vene dell’Unità quando questa si fece contro la chiesa cattolica. Dacché noi si vive una contemporaneità in cui s’avvolge nel tricolore repubblicano una destra le cui radici furono monarchiche e lo scansa da sé una sinistra cui quella distanza fu insegnata in parrocchia. Nel mezzo c’è la retorica della “migliore Costituzione del mondo”, preservata tale dal non essere letta.
Oggi festeggiamo il compleanno della Repubblica. Come capita a certi piccinini invecchiati male, il festeggiato non ci tiene a essere tale. I genitori sono morti, del resto, e fra di loro c’era chi voleva la Repubblica, ma non la libertà. Sono gli stessi che di libertà si riempirono la bocca, giacché affetti da dissociazione fra pensiero e linguaggio. Eppure, a dispetto di tanto crasso oltraggio alla memoria, da quel 2 giugno ci arriva un suggerimento. E se lo rifacessimo?
Nel 1946 l’Italia fu condotta a un doppio appuntamento: a. il referendum istituzionale, per scegliere fra monarchia e Repubblica; b. l’elezione dell’Assemblea Costituente, che a partire da quel verdetto popolare avrebbe dovuto scrivere la Costituzione. La Repubblica nata allora, e la Costituzione entrata in vigore nel 1948, ebbero alterne vicende, nel complesso cambiarono il volto d’Italia, rendendoci ricchi e forti, ma sono state abbattute fra il 1992 e il 1994. Da quelle ceneri nacque uno sgorbio denominato “seconda Repubblica”, di cui ancora subiamo la radiazione prematuramente fossile. Di far nascere la terza non è aria. Non si trovano genitori all’altezza. Ebbene: ridiamo la parola al popolo. Convochiamo referendum d’indirizzo: a. elezione diretta e presidenzialismo; b. più poteri esecutivi al capo del governo e al governo stesso; c. riordino delle autonomie con cancellazione delle provincie e accorpamento delle regioni; d. tetto alla pressione fiscale e alla spesa pubblica. Contemporaneamente eleggiamo l’Assemblea delegata a riscrivere la Costituzione, ovviamente sulla base di quegli indirizzi.
Su ciascuno di quei punti ci sono ragioni che militano per il consenso, come per il dissenso. Ciascuno divide trasversalmente schieramenti tanto faziosi quanto vuoti. Siccome la classe dirigente non è in grado di decidere, la parola torni al popolo. Sessantasette anni fa eravamo vinti, distrutti e affamati. Riuscimmo a ripartire (anche perché Yalta ci aveva messo dalla parte fortunata del mondo). Sessantasette anni dopo siamo ricchi, ma spaventati, tremuli, viziati. Possiamo rimettere in moto l’Italia. Con orgoglio e con il coraggio che ci deve venire dal sapere che se restiamo inerti ne usciamo massacrati.
Per questo avrei fatto volare le Frecce, perché l’Italia si riprende alla grande se riesce a guardare in alto. Mentre marcisce se continua a gradarsi le parti basse.

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