sabato 8 giugno 2013

SIAMO SICURI CHE PER STEFANO CUCCHI L'UNICA GIUSTIZIA POSSIBILE SIA QUELLA DEI TRIBUNALI ?


La storia di Stefano Cucchi non l'ho seguita in passato. Ho fatto più attenzione in questi giorni perché colpito dalle reazioni e dai commenti. Che la gente applauda o insulti nei tribunali è cosa che da un po' accade e se anche la biasimo non mi sorprende. Nemmeno la prevalenza giustizialista dell'opinione pubblica è una sorpresa. Viene commesso un reato, e la gente vuole che qualcuno paghi. Se è il colpevole meglio, ma comunque qualcuno deve pagare. Se la priorità è la seconda, è ovvio che il principio garantista, pure recepito dalla nostra Costituzione (con essa, tutte quelle dei paesi liberi , dove vige lo Stato di Diritto) , per il quale deve valere la presunzione di non colpevolezza, è vissuto come un grande e fastidioso impiccio.
Anche perché tale presunzione ha come corollario che l'accusa deve provare la responsabilità dell'imputato "Oltre ogni ragionevole dubbio", e se quest'ultimo resta, si deve assolvere.
Questa è proprio una cosa che alla gente non va giù. Ma fin qui...transeat : siamo pronipoti di quelli che andavano al Colosseo e sbandieravano il pollice verso; anche pagine importanti del progresso dell'uomo (rivoluzione francese) sono state accompagnate da processi ed esecuzioni sommarie, con tanto di attempate donne del popolo che facevano la maglia ai piedi della ghigliottina tra una decapitazione e l'altra. Insomma, l'essere umano non è così meraviglioso come vaneggiava Rousseau.
Però la questione è diversa quando questo fastidio per la presunsione d'innocenza impera nelle procure (dove comunque il diritto lo hanno studiato e in teoria dovrebbero applicarlo) e, ancora peggio, tra i giudici.
Questi ultimi secondo me hanno capito come funziona : se condannano VA BENE. E se qualcuno si ribella a queste condanne, e ha potere per farlo, possono invocare l'attentato all'autonomia e all'indipendenza, sapendo che buona parte dell'opinione pubblica e anche dei media sarà dalla loro parte. Se assolvono, allora sono complici degli assassini e la gente lo può gridare impunemente in aula e fuori dal tribunale - è successo anche a Perugia, dopo l'assoluzione di Amanda e Raffaele -  e il ministro di Giustizia esprime rispetto per i giudici ma solidarietà per la famiglia.
Personalmente, scritto più volte, non mi fido della giustizia a priori. Come suggeriva Adriano Sofri, mi riservo di decidere di volta in volta, diciamo che di questi tempi più spesso no.
Premesso questo, l'assoluzione per "Insufficienza di prove" come si chiamava un tempo (poi abolita come espressione ) la trovo doverosa. Se i giudici, alla fine di un processo, non si sono convinti di un fatto o del nesso di causalità tra questo e la condotta degli imputati, devono assolvere.
Tornando al processo di Stefano Cucchi, ho letto e sentito le dichiarazioni del difensore della famiglia che punta esplicitamente il dito contro la procura che avrebbe sbagliato l'impostazione dell'accusa. In buona sostanza, con quell'impianto accusatorio, era pressoché scontato che andasse a finire com'è finita. Ha avuto ragione, e quindi è evidente che la colpa in questo caso NON può essere della Corte d'Assise.
Come ho detto, ho letto molti, diversi commenti (lo faccio spesso, lo suggerisco vanamente anche agli altri, per cercare di allargare l'orizzonte della mente...) e mi sono piaciuti in particolare quelli di Giacalone, che di seguito riporto, e anche di Bianconi, sul Corsera.
Quest'ultimo diceva delle cose a mio avviso non contestabili : al di là delle responsabilità penali, della fondatezza delle accuse che sono state rivolte agli imputati , della giustezza o meno della sentenza, la vicenda Cucchi ripropone problemi generali di inciviltà giuridica del nostro paese. Forse non c'è prova che le lesioni di Cucchi fossero dovute all'azione degli agenti , ancora di più che ci sia un nesso causale tra la violenza e la morte (se vado in ospedale perché ho il naso fratturato per un pugno, e poi muoio perché i medici si sbagliano e mi viene fatta una iniezione di morfina che si rivela letale, non è che si possa  accusare di omicidio quello che mi ha picchiato).  Però c'è la lunga rappresentazione di atteggiamenti omissivi, negligenti, trascurati che fanno parte purtroppo dell'esperienza diffusa di chi ha a che fare con la giustizia e anche (meno) con la sanità.
E queste sono colpe, che la gente vorrebbe fossero punite. Usare gli strumenti sbagliati non è ovviamente la strada virtuosa. Non si rimedia ad un male con un altro male.
Per cui, faccio meri esempi, SE ( e ripeto SE) esiste l'alta probabilità, ancorché non la certezza, che Stefano Cucchi sia stato picchiato, ebbene quegli agenti, che possono essere assolti per insufficienza di prove in ambito penale, devono essere sanzionati disciplinarmente e in modo severo (sospensione, retrocessione) dalla loro amministrazione. Parimenti per l'infermiere insensibile e trascurato. E infine, perché no ? andrebbe sanzionato anche il giudice che, vedendo il grave stato di Stefano Cucchi, non ne dispone la scarcerazione con la possibilità di cure ospedaliere con la propria famiglia accanto.
Insomma, che Stefano Cucchi sia stato la vittima di molte condotte poco umanamente accettabili, questo sembra essere un fatto non negabile.
C'è una corsa patologica alle aule penali, a ridurre la vita ad una responsabilità da codice penale. Non è così. E la galera non è l'unica sanzione possibile per condotte comunque biasimevoli, reato o no.
Vi lascio a Giacalone

 Giustizia & condanna


Una possente (in)cultura, una vasta (in)politica e un galoppante squadrismo manettaro considerano “giustizia” sinonimo di “condanna”. Se c’è la condanna non solo c’è la giustizia, ma le sentenze non si commentano e si rispettano. Se manca la condanna allora non solo non c’è la giustizia, ma le sentenze si dileggiano e dimostrano quanto gli adorati giudici siano anche dei fetenti complici di un mondo che fa schifo. Lasciamo perdere la coerenza, che è chiedere troppo. Lasciamo perdere il diritto, questo sconosciuto. Ma a tanti sembra far difetto anche la logica elementare. E passi che accada a quelli che del giustizialismo fanno un pasto e un fatto quotidiano, ma il caso del povero Stefano Cucchi dimostra che certa deficienza culturale ha oramai attecchito ovunque. Giornaloni in prima fila.
Una cosa è certa: Cucchi è entrato in carcere vivo e ne è uscito morto. E’ gravissimo, naturalmente. Ma c’è di più: proprio un paio di giorni fa (notizia ignorata dai media) il giudice dell’udienza preliminare ha rinviato a giudizio altri imputati, fra i quali dei medici, per la morte di un detenuto nel carcere di Rebibbia, a Roma, nel 2008. Tralascio la solita osservazione sui tempi incivili, sicché per cose di questo genere le indagini (vale a dire le perizie) si fanno in sei mesi massimo e il processo entro un anno, mentre qui non siamo neanche all’inizio e di anni ne sono già passati cinque. Sta di fatto che queste morti, come la più che documentata condizione di sovraffollamento, nonché le plurime violazioni dei diritti dei detenuti, che io stesso denunciai (senza che nulla sia accaduto), sono questioni la cui responsabilità ricade sul ministro della giustizia. Affrontare i guasti sistemici delle carceri non è compito dei magistrati, ma di chi governa. Discendendo nella scala gerarchica. Il male collettivo si cura nella clinica della politica, non nel mattatoio della giustizia. Purtroppo molti ministri della giustizia, da un pezzo a questa parte, o hanno chinato il capo innanzi alle corporazioni togate o sono finiti al mattatoio. Taluno entrambe le cose.
I casi come quello di Cucchi pongono un problema diverso, relativo alle supposte responsabilità individuali, specifiche e provate, di questo o quel soggetto, sia esso medico o guardia. Circa questo genere di responsabilità non serve a nulla scrivere: guardate come lo hanno conciato, e sono stati assolti. Né serve a nulla mostrare il disappunto e lo strazio dei congiunti. Perché non basta il morto per stabilire che io sono un assassino e da noi non vige la legge islamica, sì che il diritto di punizione e grazia è intestato ai familiari. Con tutto il rispetto per il loro dolore, ma vale sempre, anche per quelli che animano per decenni i comitati “familiari delle vittime”.
E’ scandalosa la sentenza romana che assolve le guardie carcerarie? Che ne so io e che ne sappiamo tutti? Ma qui si grida prima ancora di conoscerne le motivazioni! Il punto non è “guardate cosa hanno fatto a Cucchi”, ma: ci sono le prove per dimostrare la responsabilità penale degli imputati? Il tribunale ha ritenuto di sì per i medici e di no per gli altri. Se questa risposta è considerata inammissibile, allora che li facciamo a fare i processi? Facciamo i sondaggi. Così ci troviamo un bel sistema strafatto e quotidiano. Le sentenze si possono criticare eccome, ma pima vanno almeno lette.
In ogni caso, il “processo”, in Italia, per chi se ne fosse dimenticato, è uno solo e si compone di tre possibili gradi: due di merito e uno di legittimità. Si ferma al primo grado solo se la sentenza soddisfa tutti. Siccome non mi pare il caso (non lo è praticamente mai), siamo solo al primo passo. E, allora, ritengo che il coretto della pretesa ingiustizia, stonato dalle ugole raglianti, ma anche da quelle che s’accreditano come melodiche, finisce con l’avere un valore intimidatorio nei confronti dei giudici futuri: sarete voi giusti, condannando, o immondi e riprovevoli, assolvendo? Il tutto a cura degli stessi che se ti permetti di dire, come scrissi, scrivo e scriverò, che l’Italia è un Paese senza giustizia sono lì pronti a darti come minimo del complice dei criminali, ma meglio ancora del criminale in proprio. Solo per tua fortuna appartenente alla categoria dei (momentaneamente) “non condannati”.
Già, perché gli adepti a tale scuola di pensiero ritengono inesistente l’innocenza, sussistendo solo la disonestà non ancora sentenziata. E qui li capisco, perché conoscendo sé stessi è abbastanza normale che giungano a quella conclusione.

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