sabato 20 luglio 2013

FIANDACA BOCCIA I SUOI "ALLIEVI "E AVVERTE : "ATTENTI, COSì SI DEVASTA IL DIRITTO "


All'indomani della sentenza che ha assolto il generale Mori dall'accusa infamante di essere colluso con la Mafia e di aver per questo, ai tempi, salvato dall'arresto Provenzano, il Corriere della Sera ha ospitato due pareri, quello del Procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi e quello del Prof. Giovanni Fiandaca, da lustri ordianrio della cattedra di Diritto Penale all' Università di Palermo.
Credo che sia un documento da conservare come testimonianza della siderale distanza di cosa sia il Processo , la Giurisdizione, la Giustizia.
Uno è giusto , l'altro è sbagliato. Non è questione di pareri, non dovrebbe almeno.
 Leggiamo le dichiarazioni del primo : "  Nelle assoluzioni del passato , ad esempio nei processi Andreotti e Mannino, c'erano elementi utilissimi a svelar ei rapporti tra mafia e politica, a partire dagli anni sessanta e settanta . Poi ci hanno detto che condannare servivano altri elementi che non eravamo riusciti a trovare, ma che paese è quello che per arrivare alla verità ha bisogno solo delle condanne ? "
Addirittura il giornalista del Corsera, Bianconi, non è riuscito ad esimersi da domandare al Dr. Teresi "Ma i processi dovrebbero servire ad accertare i reati e individuare i colpevoli..."
Seee...come la fa semplice. Teresi gli spiega che "Come magistrato resto convinto che il processo è il luogo dove si deve cercare la verità . Perciò mi stupisce la sospetta mancanza di curiosità intorno al nostro processo, come se la verità non interesasse.".
Affermazioni  sconcertanti, desolantie ma rivelatrici. Bordin, sul Foglio, nel commentarle ha primo evocato Calamandrei che ai giudici in cerca della verità preferiva di gran lunga quelli che si accontentavano di applicare la legge ..., e poi ha giustamente osservato : " se le parole hanno un senso , secondo Teresi si può portare a giudizio , e magari prima arrestare, qualcuno contro cui non si hanno prove mail cui processo può essere comunque interessante. L'interrogativo può dunque essere ribaltato : che paese è diventato quello in cui magistrati che ragionano così sono alla guida  di uffici importanti e delicati ?".
Non si può che sottoscrivere, e se Teresi si sentirà vittima - come tutti loro del resto - di una persecuzione, gli farei rispettosamente (sforzandomi) osservare che i perseguitati, quelli che per anni finiscono schiacciati dal peso di processi siffatti, non sono certo loro.
E veniamo al Professor Fiandaca, lasciando spazio all'articolo del Corriere.

«Pm approssimativi: contro
il generale hanno fatto solo ipotesi»

Parla Giovanni Fiandaca, professore ordinario
di Diritto penale all'università degli studi di Palermo

PALERMO — Il professore che ha allevato i pm di Palermo, il cattedratico che ha lavorato con il pool antimafia dai tempi di Falcone e Borsellino dispensando, anche da componente del Csm, consigli tecnici su associazione mafiosa, pentiti e reati da tipizzare sarebbe pronto a bocciare Ingroia, Di  AMatteo, Teresi e qualche altro magistrato protagonista di processi eccellenti come quello concluso con l'assoluzione del prefetto Mori. Epilogo vaticinato da Giovanni Fiandaca, un'autorità in Diritto penale, da sempre nel cuore della Sinistra, il suo dipartimento di Palermo considerato un laboratorio scientifico, adesso attaccato duramente dall'ala più vicina a quei pm, compresi i fan di movimenti come le «Agende rosse». L'ha scritto un mese fa su una rivista accademica, l'ha ripetuto una settimana fa a un convegno che nell'altro elefantiaco processo sulla «trattativa» le imputazioni a ministri e generali sono sbagliate, diventando bersaglio di polemiche furiose. E adesso che Mori esce a testa alta dal primo round per Fiandaca è una triste conferma: «Cade una colonna portante dell'impianto accusatorio. Aspetto di leggere le motivazioni, ma il presunto patto mai provato fra Mori e Provenzano sta alla base di tutto il resto».
Dove avrebbero sbagliato i pm?
«Nel non motivare le accuse. Nella poca chiarezza che contraddistingue perfino il capo di imputazione sulla cosiddetta "trattativa"».
L'hanno accusata di non avere letto tutti gli atti del processo.
«Un pm come Vittorio Teresi che si permette di dire che bisogna leggere tutti gli atti prima di discutere il capo di imputazione non sa niente della giurisprudenza di Strasburgo».
Che dice?
«Che l'imputazione deve essere chiara ed evidente, che deve capirla anche un bambino di dieci anni. La verità è che si sono rivelati tecnicamente approssimativi».
Non condivide la ricostruzione del patto scellerato che avrebbe accelerato la morte di Paolo Borsellino?
«In un tribunale non basta ipotizzare. Ho letto la loro memoria. Venti paginette. Le prime quindici dalla nascita del mondo alla caduta del Muro di Berlino in un affresco sociologico. Le altre cinque tentando di contestare il reato di violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato, reato che però considero sbagliato configurare in questo caso».
Hanno ammesso che forse è stato un errore strategico presentare la memoria.
«Parlano di "strategia" senza che si capisca a che cosa alludono. Mi dispiace per questi magistrati che conosco bene. Ingroia è stato mio allievo, gli voglio bene, però questo non mi impedisce di essere critico. Di Matteo non lo conosco bene, ma a prescindere dai singoli magistrati ho l'impressione che campeggi un orientamento di tipo sostanzialistico, non sufficientemente attento ai principi e alle categorie del diritto penale. Ma bisogna pure che qualcuno lanci l'allarme su questa deriva giuridica. E sono contento che mi arrivino tanti attestati di solidarietà da professori di diritto, da giudici, anche da magistrati dei Verdi e di Magistratura democratica... tutti stanchi di questa "trattativa" pompata dai media».
Ce l'ha con i giornalisti?
«I media sono malati da tempo. Suonano i tamburi estremizzando la notizia in una drammatizzazione spettacolare in cui prevale chi la spara più grossa. Trattativa, tradimento, facilitazione indiretta alla morte di Borsellino diventano così anelli di una catena che prescinde dalla ricerca del reato, dalla configurazione giuridica. Ma c'è pure la "lagnusia", la pigrizia che fa la sua parte. E prevalgono le tifoserie...».
I suoi studenti in facoltà condividono o la contestano?
«Per fortuna riusciamo a ragionare. Ma il rischio è che prevalga un sentire comune per cui i principi fondamentali del diritto diventano un lusso accessorio. Un po' come accade con le "Agende rosse", con tanti ragazzi convinti che comunque gli imputati vadano puniti, a prescindere dalle prove, con un orientamento religioso-moraleggiante che devasta il diritto».
 

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