Recentemente mi sono scoperto sempre più estimatore delle riflessioni di Michele Ainis, di professione costituzionalista all'Università, e opinionista sul Corriere della Sera.
Sono sufficientemente convinto che con l'illustre professore vi sia contiguità ma non coincidenza di pensiero politico, e questo rende vieppiù apprezzabile la condivisione di idee e commenti.
Di recente il Corsera sta conducendo una lodevole , dura (e temo alla fine vana) battaglia contro la burocrazia. Contro di essa si sono espressi praticamente tutti i principali editorialisti, appartenenti a sfere di competenze diverse : Alesina e Giavazzi, Rizzo e Stella, Panebianco e Galli della Loggia, Ostellino e oggi Ainis.
Prendendo spunto dalllo scandalo di questi giorni, l'espulsione poi revocata (a danno fatto) della Shalabayeva e la figlia di sei anni, Ainis constata il collasso delle alte gerarchie dello Stato, con una comunicazione fallace tra vertici burocratici e Ministri, che porta quotidianamente danni gravi al sistema economico e sociale della Nazione, ancorché non così vistosi e pubblicizzati.
E pronuncia alto e forte la sua convinzione : anche questa è la deleteria conseguenza di una espansione sbagliata e onnivora della classe politica (leggi meglio, partitica) , che per estendere il suo potere ha politicizzato sempre di più le carriere, specie dei cosiddetti grandi commis di stato, non badando pertanto tanto alla capacità quando all'appartenenza e alla fedeltà.
So che altri autori non saranno d'accordo con questa tesi, avendo a loro volta osservato che la Burocrazia, specie ai vertici, è ormai diventato un potere a sé, praticamente intoccabile dai Ministri politici, che si vedono opporre ogni volta mille obiezioni procedurali, attuative quando non economiche.
Probabilmente quando dice Ainis è stata l'origine del "mostro" che poi si è affrancato dal suo creatore.
La storia del Dottor Frankestein la ricordate no ?
Buona Lettura
IL RAPPORTO TESO TRA POLITICA E BUROCRAZIA
La confusione e le inefficienze
Dal male nasce il bene, recita un vecchio proverbio. Il male è il caso Shalabayeva: una vicenda che ci ha fatto diventare rossi di vergogna. Il bene alberga nel dibattito che ne è scaturito, scoperchiando il vaso di Pandora dei rapporti fra politica e amministrazione. Però anche dal bene può nascere il male. Succede quando le diagnosi si rivelano fallaci, quando perciò le terapie possono infliggere il colpo di grazia all'ammalato, invece di guarirlo.
Ma perché, non è forse vero che in Italia l'alta burocrazia ha troppi poteri? Certo che sì, e l'espulsione di quella giovane mamma con la sua bambina - decretata dopo un giro di valzer fra dirigenti del ministero dell'Interno e della Polizia di Stato - ne costituisce la prova provata. Le opposizioni hanno reagito chiamando a risponderne il ministro, secondo le regole della democrazia parlamentare; dimenticando che una crisi di governo, mentre tutto il Paese è in crisi, sarebbe una sciagura. Per un momento l'ha dimenticato anche il Pd, benché questo partito esprima il presidente del Consiglio. Poi Napolitano ha richiamato tutti alla realtà, e almeno per adesso il pericolo parrebbe scongiurato. Però alla fine della giostra resta un delitto senza un assassino. E in secondo luogo rimane in circolo il sospetto - di più, la convinzione - che ministri e ministeri vivano in stanze separate. Da qui la debolezza dei governi, da qui l'arroganza delle burocrazie. Da qui, in breve, l'esigenza di mettere un guinzaglio politico al collo dei grand commis di Stato.
Errore: è casomai l'opposto che dovremmo fare. Se la dirigenza amministrativa ha ormai usurpato le funzioni del governo, se blocca qualunque taglio alla spesa pubblica per non cedere quote di potere, se una circolare vale più di cento leggi, se insomma chi decide non è più l'eletto bensì il burocrate negletto, ebbene tutto questo accade per un eccesso di contiguità - non di separatezza - fra politica e amministrazione. Ma la colpa è dei partiti, del loro pantagruelico appetito. Hanno divorato il Parlamento, annullandone l'autonomia costituzionale. Poi hanno divorato gli apparati burocratici, distruggendone l'imparzialità prescritta dall'articolo 97 della Carta. Lo hanno fatto pretendendo di scegliersi capi e sottocapi attraverso lo spoils system : una razzia benedetta da una legge del 1997, allargata da un altro intervento normativo nel 2002, arginata a fatica dalla Consulta in numerosissime pronunzie. Ma il dirigente selezionato per meriti politici diventa giocoforza un politico lui stesso, acquista l'autorità per governare in luogo del governo, si sostituisce legittimamente al suo ministro. E infine assiste con un ghigno al suicidio dei partiti: divorando tutto, hanno divorato anche il proprio potere.
Morale della favola: fuori la politica dall'amministrazione. E fuori anche dalla giurisdizione: che altro sono le correnti della magistratura se non partiti in toga? Servono perciò riforme, come ha ammonito ancora ieri il capo dello Stato. Per sottrarre, tuttavia, non per aggiungere. Servono riforme che sappiano amputare gli artigli dei politici. Che svuotino il gran mare delle leggi, dove ogni burocrate trova sempre un'onda compiacente su cui galleggiare. Che cancellino le zone franche della responsabilità amministrativa e giudiziaria. Che disarmino le troppe camarille in marcia sulle rovine del Paese. Insomma usate le forbici, per favore. Le forbici.
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