Filippo Facci non è il solo a scrivere, da sempre, che il processo di Palermo comunemente definito quello sulla trattativa Stato e Mafia è una montatura creata da una procura in mano a giudici che hanno perso di vista il loro ruolo che non è quello di storici che cercano di ricostruire le vicende del nostro paese, le responsabilità politiche e morali, ma di verificare le ipotesi di reato e, del caso di perseguirle. Il Professore Fiandaca, fino a poco tempo fa considerato da tutti un luminare e un maestro del diritto penale, si è fatto molti nemici (ma anche ha rafforzato e allargato la sua schiera di ammiratori e sostenitori) scrivendo un lungo e dettagliato saggio per affernare che l'ipotesi accusatoria dei PM palermitani non sta in piedi. E non è rilevante, per un giurista, che possa ipoteticamente essere vera : conta che proceduralmente NON regga. E tanto dovrebbe bastare.
Con il Generale Mori è bastato, e a Palermo, ala PM, sono ancora storditi per il ceffone rimediato che tra l'altro potrà (dovrà !) avere ripercussioni decisive nel processone principale, quello dal quale siamo partiti.
Facci giustamente si toglie una soddisfazione, all'indomani dell'assoluzione di Mori e rivolge un pensiero non amichevole a gente per fortuna non più in toga.
Facci: il generale Mori e gli Ingroia al pettine
La sentenza di Palermo abbatte il teorema della trattativa Stato-mafia, ridà onore all'accusato e demolisce la carriera di pm e giornalisti che sui "non reati" hanno campato. Ma non finirà qui
C’era più dignità nel disorientamento del pm Nino Di Matteo, l’altro ieri, che nella falsa sicumera di un Ingroia che non era neanche capace di ammettere una sconfitta spaventosa, il crollo delle fondamenta sulle quali aveva edificato una carriera ora fallita. Ingroia, ora, vaneggia che il generale Mori «i fatti li aveva comunque commessi», frase ambigua come lui: come a dire che Mori in effetti no, non fece perquisire il casolare dove c’era Provenzano, ma non lo fece apposta, e solo per questo non è reato. Ma non è così. Mori, di fatto, non fece perquisire un casolare dove non c’era nessuno, figurarsi Provenzano: e ci mancherebbe che una cazzata del genere fosse reato. Il reato non c’è, e se non c’è significa che non ci sono colpevoli, e se non ci sono colpevoli, in tutti i tribunali del mondo, significa soltanto una cosa: che non dovevi indagare, non dovevi procedere, non dovevi farti stipendiare per mettere in ombra galantuomini che invece i colpevoli li hanno scovati davvero, non dovevi costruirci una carriera anche politica, non dovevi spianarla a giornalisti che sui «non reati» ci campano.
Giustizia è, anche, non fare processi inutili,
giustizia è evitare un «accertamento della verità» che era già accertato: che Mori è un galantuomo e Ingroia ha fallito. Dicono che ora c’è l’Appello, che c’è ancora la cosa della trattativa, dicono che non è finita qui. Potete giurarci.
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