Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
sabato 20 luglio 2013
LA CALUNNIA IN RETE CORRE VELOCISSIMA. MEGLIO L'"AULA" DI FB CHE QUELLA DI UN TRIBUNALE
Qualcosa non mi quadra... Una donna che sceglie FB per denunciare pubblicamente le violenze subito dall'ex compagno - personaggio dello spettacolo (a me sconosciuto, ma questa magari è una mia lacuna ) - e siccome nessino delle persone SUE le crede, mette su le foto...Suona francamente male. Se giustamente vuoi perseguire chi ti ha fatto del male, allora la strada dovrebbe essere quella della giustizia non dello scandalo. Certo, ci sta anche che uno della prima non si fidi (non è che si possa poi biasimare più di tanto) e sceglie una alternativa sicuramente più efficace. Massimo Di Cataldo forse è innocente (per la legge LO E', fino a prova contraria ) , forse no. In ogni caso per migliaia e migliaia di persone è già un maschio violento e bastardo, e il suo profilo FB è una rassegna di insulti di ogni genere ( oltre al facile sarcasmo, di cui la foto sopra riportata è solo un esempio ).
Immaginiamo ora che Di Cataldo sia effettivamente senza colpa, e la ex una donna piena di risentimento per la fine della storia. Non è che accada raramente ( le percentuali di femmine dedite allo stalking sono vicine a quelle maschili. E' sulla violenza fisica che la forbice si amplia a dismisura, specie quando quest'ultima cresce di gravità, fino all'omicidio ). Come ci si difende da una calunnia del genere ? Qualche Ispettore e/o PM accorti hanno iniziato a prendere con le molle certe denunce, e sono finiti sui giornali casi in cui una denuncia per violenze, fatta dalla donna, si sia trasformata, anche d'ufficio, in una per calunnia contro la signora. Ma in genere basta denunciare e per l'accusato inizia il calvario non solo legale ma anche pubblico (se poi è famoso, figuriamoci).
Comunque ognuno la le sue senzazioni.
IO ho letto le dichiarazioni della donna e poi quelle del marito.
E non credo a lei.
Ma ecco quello che, secondo quanto pubblicato dal Corriere.it, i due hanno detto.
. «Quando ho raccontato ad amici e parenti di essere stata picchiata nessuno mi ha creduto, dovevo fare qualcosa per difendermi». Così, l'artista decide di pubblicare sul suo profilo Facebook le fotografie. Immagini terribili, che la vedono ricoperta di lividi e di sangue. «Perfino mia madre mi ha chiamato per convincermi che lui è un bravo ragazzo, lui con quella faccia da angelo». E le fotografie diventano di dominio pubblico. Nessuna denuncia alla polizia, nessuna chiamata all'avvocato. La donna sceglie il social network per convincere tutti che quelle botte sono vere. «Non mi sono resa conto che le foto erano visibili a tutti, pensavo che potessero vederle solo i miei contatti». Poi afferma di non essere stata contatta dalla polizia: «Non mi ha chiamata nessuno, né avvocati, né polizia. Solo l'ufficio stampa di Massimo chiedendomi di togliere le foto da Facebook».
In quelle immagini c'è anche altro. Grumi di sangue che la donna stessa spiega essere il risultato di un aborto, avvenuto in seguito alle botte. «Non sapevo nemmeno di essere incinta. L'ho scoperto dopo, me l'hanno detto i medici. Ma è meglio così, non avrei mai tenuto un bambino concepito con un uomo del genere». Il racconto continua - sempre con la voce ferma mai un attimo di esitazione. «Non l'ho più sentito, mi han detto che è furibondo, sarà contento ora che i giornali parleranno di lui. È già stato violento in passato, due o tre volte. Ma non si rende nemmeno conto di quello che fa. Ecco perché ho messo online quelle foto».
DI CATALDO
«Non riesco a capire, sono scosso, lei è la donna che amo, è la madre di mia figlia, è la persona a cui voglio bene. È una cosa che mi ferisce profondamente». Massimo Di Cataldo, dopo le durissime accuse della sua compagna Anna Laura, che venerdì notte ha deciso di raccontare su Facebook le botte che avrebbe subito dall'uomo con cui ha avuto una storia e una figlia, reagisce così. Si difende. Nega tutto. E quando qualcuno gli racconta che la polizia sta verificando l'attendibilità delle terribili foto che hanno fatto il giro del web, ha un sussulto: «No, no, no, non è possibile, non è possibile, è sconvolgente».
AL RISTORANTE - Venerdì sera, sul palco del premio Lunezia, a Marina di Carrara, dicono che Di Cataldo sia salito con le lacrime agli occhi. Gli spettatori lo hanno applaudito. Lui ha fatto il bis. Ha firmato autografi ai fan. Nessuno sapeva ancora della bufera che era ormai scoppiata online dove, in pochi minuti, il profilo Facebook del cantante si è riempito di insulti irripetibili. Poi, finito il concerto, lontano dalla folla, il cantante della hit «Se adesso te ne vai» si è rifugiato in un ristorante, a due passi dal porto. Sceglie di sedersi in veranda, insieme al manager Martino De Rubeis. Ordina un piatto di verdure e una bottiglia d'acqua. E' mezzanotte passata. Chiama alcuni familiari, con cui resta al telefono per più di un'ora. Si preoccupa per loro. «Tranquillizza mamma e papà», dice «loro soffriranno più di me, questa è una storia assurda, non ha nulla di vero».
«PERCHé?» - è ormai notte fonda quando il cantante lascia il locale. Continua a ripetere: «Non capisco». Prova a darsi delle spiegazioni. «Forse lei avrà delle aspirazioni di vita, artistiche e penso che mi voglia far del male», ragiona. Si chiede «perché?». «Forse perché ho reagito bene alla nostra separazione. Sto cercando di rimettermi a lavorare, di puntare su me stesso, dopo averle dato tanto, questa sera sono qua per questo, per lavorare, mi sto impegnando nella mia professione, lei mi ha fatto questa azione che non riesco a definire, non ho ancora parlato con lei».
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PAOLA URSINO
RispondiEliminaAnche io sono prudente e anche io sono consapevole di quanto mitomani possiamo essere noi donne. Non sono entrata né nel profilo Fb di lei né in quello di lui e né ho condiviso quelle immagini, proprio perché sempre istintivamente garantista. Però se venisse accertato che quella è stata la realtà di quella donna per anni - e pare confermata anche dalla prima moglie, pare...- allora renderei onore a questa donna che finalmente, meglio tardi che mai, ha trovato il coraggio di denunciare il compagno, e nella forma più sputtanante e immediata!! E spero sia un precedente che aiuti altre donne e metta un po' di timore ai tanti vigliacchi che alzano le mani contro le loro donne sapendo che tanto resteranno impuniti!
Il problema dell'impunità è serio, e spesso purtroppo (troppo) rispondente alla realtà. Hai ragione Paola. Nel particolare, il fatto che la donna abbia scelto l'occasione del premio conferito a lui suona male. Poi c'è un altro particolare. Se è vero quanto leggo, quuesta storia sarebbe durata 13 anni....Ora, o questo si è trasformato ad un certo punto della sua vita - ma non sarebbe così se le accusa di violenza anche contro la moglie fossero vere...- oppure resta la domanda di sempre : quanto tempo ci vuole ad una donna per allontanarsi da un uomo siffatto ?? So che è un argomento che irrita, ma io, in questi casi, sostengo che c'è una dramamtica, patologica complicità tra carnefice e vittima. Che ovviamente non scusa il primo, ma ponendosi il problema di trovare una soluzione per il futuro , pretende una seria messa in duscussione della seconda. Io conosco storie di donne - amiche - che hanno vissuto anni accanto a uomini nervosi, inquieti, ma mai violenti. QUando questi ultimi hanno fatto corto circuito, è bastata UNA VOLTA, e se ne sono andate. Ecco, vorrei più donne così.
EliminaPAOLA URSINO
Eliminaondivido totalmente. Non si può accettare di essere prese a botte neanche una volta perché se non metti le cose in chiaro da subito è come se di fatto accettassi quella dinamica. Sono d'accordo, spesso queste sono storie di complicità, complicità tra vittima e carnefice. Resta il fatto che se la vittima a un certo punto, quale che sia la ragione, rinsavisce o semplicemente si rafforza, ha il diritto di tentare di venirne fuori. Ben venga il coraggio di denunciare, meglio tardi che mai!
Assolutamente. Non è che subisci per un certo tempo devi farlo per sempre. Ma su questa vicenda non ci vedo chiaro...aspettiamo un po'
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