Era un po' che non proponevo il punto economico finanziario di Fugnoli, che rispetto a tutti gli altri ha due pregi ineguagliati : la fantasia espositiva (suggerendo sempre azzardate ma fascinose metafore) e un ottiismo di fondo. Per lui, alla fine, si finirà sempre per cavarsela...
E così la descrizione dell'ennesimo sussulto legato alle economie di Portogallo e Grecia, diventa per lui lo spunto di una bellisima digressione poetica, proposta niente di meno che per avvertire Europa e Germania che alla fine gli "innamorati", i paesi sottoposti a continue prove di virtù e fedeltà, potrebbero decidere, proprio alla fine di tanti sforzi e sacrifici, che in fondo non valga la pena avere il cuore dell'amata e andarsene prima del premio.
Vale la pena leggere.
LA CENTESIMA NOTTE
Sarò tua, dice la cortigiana al dignitario che si è
perdutamente invaghito di lei, se passerai cento notti fuori dal mio uscio ad
aspettare. Che ci sia vento, neve o bufera non importa. All’alba successiva
alla centesima notte aprirò la porta e ti lascerò entrare. Il dignitario
accetta senza esitare, è un prezzo dolce da pagare e l’amore rende leggera la
fatica. Passa così una, dieci, cento notti seguendo scrupolosamente le
istruzioni ricevute e senza mai lamentarsi, né con l’amata né dentro di sé.
All’alba successiva alla centesima notte raccoglie tutte le sue cose e si
allontana per sempre.
Si aprono con questo racconto zen i Frammenti
di un discorso amoroso di Roland Barthes, un libro delicato e sottile, ma anche
inquietante. L’amore è un monologo interiore ossessivo, ci si innamora
dell’amore più che dell’oggetto d’amore, l’attesa che consuma e distrugge
(perché non squilla mai il telefono?) è l’essenza di questa pratica che è in
fondo ascetica. Chi è innamorato dell’amore, alla fine, non vuole essere
corrisposto. L’innamoramento deve restare un atto incompiuto.
Sarò vostra, sembra dire la
Germania ai paesi mediterranei, se vi sottoporrete per lunghi anni a grandi
sacrifici e, così facendo, dimostrerete la serietà delle vostre intenzioni.
Faremo quanto ci è chiesto, rispondono i mediterranei, anche se lo faremo a
modo nostro, con molte tasse e poche riforme. Non ci lamenteremo mai, né con te
Germania né dentro casa nostra. Poi un giorno, rimesso a posto il saldo delle
partite correnti grazie a un crollo dei consumi e a un non disprezzabile
aumento della competitività dell’export, arrivati quasi alla fine del percorso,
stremati, infreddoliti e impoveriti, invece di entrare nel paradiso della mutualizzazione
del debito e della futura unione dei trasferimenti ce ne andremo in silenzio e
non ci faremo più vedere.
È possibile che la fine
dell’euro, se mai ci sarà, non avvenga con un cataclisma, come si è sempre
pensato, ma con l’uscita silenziosa di qualcuno che i compiti li ha fatti quasi
tutti e che però, a un passo dal traguardo, per misteriose e insondabili
ragioni decide comunque di andarsene? Il Portogallo, in queste ore, l’ha fatto
pensare.
Le imprese epiche, nella
storia, sono sempre state dirette a costruire qualcosa. Che si trattasse della
costruzione degli imperi, della nuova frontiera americana,
dell’industrializzazione a tappe forzate di Stalin o della conquista dello
spazio, l’epos ha sempre mobilitato gli animi e gettato il cuore oltre
l’ostacolo con una tensione verso qualcosa di più grande e di mai osato. La
costruzione dell’Europa unita sembra essere il primo caso di epos della
decrescita e della penitenza.
Il Portogallo, dopo
l’Irlanda, è il paese europeo che più ha creduto in questo strano epos. Per
certi aspetti ha raggiunto risultati grandiosi, quasi esaltanti. Aveva nel 2008
un disavanzo delle partite correnti del 13 per cento del Pil, produceva cioè per
100 e consumava e investiva per 113, facendosi prestare 13 dall’estero.
Quest’anno sarà in surplus dell’uno per cento e l’anno prossimo, secondo Citi,
del 3 per cento. Per fare un paragone, l’immensamente virtuosa Germania nel
2014 avrà un surplus del 5.4 per cento. Correzioni di questa portata (16 punti
di Pil) si vedono solo, e non così spesso, nei paesi emergenti e vengono
realizzate con macelleria sociale (quella vera, non quella immaginata) e con
maxisvalutazioni (il Fondo Monetario le prescrive spesso del 50 per cento
iniziale e del 30 finale).
Senza piazze date a fuoco,
senza indignados e, soprattutto, senza svalutazioni il Portogallo è comunque
riuscito nell’impresa. Si noti che quello della bilancia delle partite correnti
è un esame più severo di quello dei soli conti pubblici perché include anche i
conti delle famiglie e quelli delle imprese. È una specie di triathlon con
nuoto, ciclismo e corsa.
Nel triathlon uno può essere
molto debole, per dire, nel nuoto, ma talmente forte nel ciclismo e nella corsa
da arrivare primo lo stesso. Il Portogallo è in questa situazione, è cioè
ancora debole nei conti pubblici (disavanzo 2013 del 5.6 per cento, anche se il
primario è in passivo solo dell’uno), ma ha lavorato sulle prestazioni di
famiglie e imprese tanto bene da produrre un risultato finale, come abbiamo
visto, di tutto rispetto. Ebbene, i commissari sportivi di Bruxelles non sono
ancora soddisfatti e vogliono che il Portogallo vada bene anche nel nuoto e
scenda comunque, entro il 2015, sotto il 3 per cento di disavanzo pubblico. Per
farli contenti il Portogallo si sta preparando a ulteriori tagli della spesa
pubblica (quelli che in Italia sono assolutamente impossibili) del 2.8 per
cento nel solo 2014. È su questo punto che il Cds, il partito più piccolo della
coalizione di centro-destra, ha deciso di uscire dal governo.
I tassi sui decennali
portoghesi hanno subito pensato bene di portarsi vicini all’8 per cento e sui
mercati è circolato lo spettro di una nuova Grecia proprio mentre si stava
ritrovando un equilibrio dopo la brusca correzione delle scorse settimane.
Commentatori d’oltreoceano hanno paventato default sovrani, crisi bancarie e
fughe di depositanti nel timore di confische di tipo cipriota. Poiché la banche
spagnole hanno in portafoglio 55 miliardi di euro di bond portoghesi, evocare
il contagio immediato e la conflagrazione di tutta Europa è stato facile. Per fortuna la situazione non è così
terribile. Sul piano politico sono possibili più alternative (grande
coalizione, governo di minoranza, elezioni rapide). A parte il Cds, gli altri
partiti non solo sono ancora proeuro ma non mettono nemmeno in discussione,
almeno formalmente, le richieste della Troika. Quanto al debito, il Portogallo
non ha bisogno di emettere fino alla metà del 2014. Un default in questo
momento è tecnicamente impossibile. Il quadro economico, dal canto suo, è
quello tipico del sud europeo, con caduta verticale dei consumi e
disoccupazione avviata l’anno prossimo verso il 20 per cento.
A decidere i destini del
Portogallo e dei suoi bond non saranno in ogni caso né i mercati né i politici
portoghesi bensì la Germania e la sua cancelliera. Da Berlino arrivano messaggi
tranquillizzanti. Si vota fra dieci settimane e una nuova crisi dell’euro è
l’ultima cosa che la Merkel possa desiderare.
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