Non sto dalla parte dei "bamboccioni" tirati in ballo da Padoa Schioppa né degli "sfigati" denunciati da Martone, quelli che a 30 anni.non sono ancora laureati. Sono convinto che i genitori nati tra gli anni 60 e 70 non stiano avendo, per lo più, una buona riuscita nel loro ruolo, causa, se non prima, certamente non secondaria della fragilità e delle incapacità di molti giovani (ce ne sono anche tanti bravi che si battono in un mondo duro e competitivo che i loro genitori nemmeno negli incubi peggiori hanno conosciuto ) . I Papà orsetti, i "mammi", e le madri cocker, litigiosi su tutto ma non nel difendere schierati come un sol fronte il proprio pargolo da tutto e da tutti : scuola, compagni, società...
Poi però arriva un triste momento dove questo scudo non funziona più a sufficienza, dove la "creatura" deve fare da SOLO i conti con la realtà e papàemamma non arrivano più.
E lì so' dolori.
In tanti finiscono per infilarsi in un limbo, dove né si studia né si lavora (i neet si chiamano : Not in Education, Employment or Training) . Due milioni, un primato in Europa ( ne abbiamo diversi, di record, peccato che siano quasi sempre negativi).
Non è una dimensione che aiuta l'autostima, e quando quest'ultima si azzera, la cosa può diventare insopportabile. "Con poco senso di sé si vive male, ma con zero autostima non si vive"...ce lo spiegava uno psicologo universitario, docente del corso di mediazione familiare che ho frequentato anni orsono.
Tutte queste cose le so, insieme ad altre, come la riottosità di tanti giovani di accettare, almeno all'inizio, lavori faticosi e penalizzanti (per orari, per fatica). E' vero che la disoccupazione morde, ma come mai, leggo, nei forni non trovi aiuto panettieri ? E perché nelle pizzerie vedo solo pizzaioli egiziani ? L'elenco non è breve, pur in tempo di crisi. Così come non guardo certo con solidarietà le decine di migliaia di insegnanti precari ( e oggi anche di professionisti senza clienti) , intestarditi a iscriversi in facoltà che già 30 anni orsono mostravano i segni dell'overbooking. All'epoca il fenomeno riguardava anche e gravemente i giovani medici. Lì poi hanno messo il numero chiuso alle università, una volta tanto quelli della Corte Costituzionale si so stati zitti (si saranno distratti ) e in 10 anni il problema addirittura sembra si stia invertendo !!
Insomma, non sono indulgente coi giovani (ancora meno coi loro genitori sindacalizzati pro prole).
Però se leggo che uno di 26 anni prende la pistola e si uccide, provo pietà, un sentimento di dispiacere sincero e cristiano. Si lamentava questo giovane perché non riusciva a trovare nessun lavoro duraturo, al punto da "non avere in tasca nemmeno i soldi per le sigarette". Un modo di dire, che nei commenti di qualche lettore è stato preso alla lettera e criticato, visto come segnale di incapacità di sacrificio...
E allora mi preoccupo, e penso che "pietà l'è morta", e che veramente c'è una guerra generazionale in atto, confermata non solo dalla difesa strenua delle rendite di posizioni acquisite quando l'Italia e il mondo erano più "facili" , ma anche da un modo di sentire che sfiora la crudeltà.
Ovviamente c'è poi il partito che se la prende con la politica e il governo di turno, che non crea lavoro (come se questo potesse avvenire per decreto...).
Di fondo, una tragedia diventa occasione di analisi - anche verosimili - il cui tratto più evidente è una perdita di senso umano.
Può anche darsi che l'atto di togliersi la vita io lo sopravvaluti, altri evidenziando la debolezza, la resa ingiustificata ad una difficoltà, per quanto grave essa possa sembrare.
In fondo il suicidio è la risposta definitiva ad un problema temporaneo (lo lessi su un libro di autoaiuto contro la depressione; se ci pensate, è vero ).
Pure, io provo pietà per questo giovane che si uccide perché "Non ho nemmeno i soldi per le sigarette "
DEPRESSO PER LA DIFFICOLTA' DI TROVARE LAVORO
Meda, 26enne disoccupato si suicida
«Non ho neppure i soldi per le sigarette»
Accanto al corpo i carabinieri hanno trovato una pistola: è giallo su come il ragazzo sia riuscito a procurarsela
Un giovane di 26 anni, M. C., si è sparato domenica mattina a Meda (Monza e Brianza). In una lettera, avrebbe chiesto scusa per aver deciso di farla finita: «Non ce la faccio più», l'ultimo sfogo affidato a un biglietto, prima di puntarsi contro la pistola. Secondo le prime informazioni, M. C. non sopportava più di non riuscire a trovare un lavoro. Il particolare è emerso dai familiari, che lo vedevano da tempo molto preoccupato e depresso. La causa del suo profondo disagio sarebbe stata la difficile ricerca di un'occupazione. Da diversi mesi, infatti, trovava solo lavoretti saltuari, ma non riusciva a tirare su uno stipendio decente. Precarie anche le condizioni di vita della famiglia: il padre faticava a trovare un impiego fisso, si accontentava di qualche giornata da manovale nel settore, sempre più in crisi, dell'edilizia. Un'esistenza modesta, nel bilocale al pianterreno di una palazzina di periferia, che avrebbe pesato sulle condizioni emotive del giovane.IL GIALLO DELLA PISTOLA - I genitori, rientrando a casa intorno alle 11, si sono insospettiti: il ragazzo non si era ancora alzato, così hanno sfondato la porta della sua stanza e lo hanno trovato senza vita con accanto una pistola. Non è ancora chiaro come se la sia procurata, ma è probabile che meditasse il suicidio da tempo. Spesso, continuava a ripetere di «non riuscire a trovare niente» e di «non avere nemmeno i soldi per le sigarette». I carabinieri, avvisati dai genitori, sono arrivati nell'abitazione in via Milano intorno alle 12: alla ricerca di tracce che possano spiegare le ragioni del suicidio e, soprattutto, come il giovane sia riuscito a procurarsi l'arma.
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