LO SPETTACOLO DEI POLLI DI RENZI E DEI TACCHINI DI BERSANI
Sarà pure una bella cosa non avere l'uomo solo al comando, come in tanti dicono in casa PD, ma se il risultato è la babele dei democratici, bè, manco la DC era un caos similare (se non altro che quelli il potere ce l'avevano, e la sua spartizione serviva poi a tenere insieme il tutto).
Dicono meglio loro che la dittatura di fatto di Berlusconi sul centro destra, ma sanno di dire una sciocchezza. Il Problema del centro destra non è di avere un leader forte e carismatico (come lo erano De Gasperi, Togliatti, Berlinguer, Craxi, per citare i più riconosciuti trasversalmente) , ma che questo sa sì vincere le elezioni, ma non riesce poi a governare (colpa sua, degli alleati, del sistema....quello che sia, il fatto negativo resta).
In effetti seguire la vicenda del congresso e pensare ad una sorta di melodramma scritto male è tuttuno.
Sono loro quelli di "ora tocca a noi governare l'Italia ?". Ma se l'Italia dei Borgia rispetto alle loro faide era un posto sicuro ??
Io, e lo ribadisco spesso, ho degli amici che sento veri in quel partito, ma sono persone lontane anni luce da certi loro compagni.
Che stanno a fare insieme ? Non so rispondere. Immagino che ognuno, da solo, si senta debole, sicché (toscanismo voluto...) ritenga di dover venire a patti con i numerosi altri per garantire una forza politica non coesa ma elettoralmente più forte. In effetti, se un giorno le vincessero queste elezioni, magari la conquista consolidata di Palazzo Chigi porterebbe ad una spartizioni di poltrone e prebende che calmerebbe l'attuale sabba.
Proprio come accadeva ai detestati DC (ironia del destino, è un ex presidente dei giovani democristi che oggi è premier del paese ).
L'articolo di Polito ben commenta il pessimo spettacolo dell'assemblea nazionale dei "migliori".
"Un talk show senza copione"
Qual è il male oscuro del Pd? Quale demone del masochismo lo induce a
mostrare in pubblico sempre la sua faccia peggiore, fatta di caos e
divisione? E come può sperare di convincere gli elettori a farsi dare le
chiavi dell'Italia se non è in grado di badare a se stesso? Sono le
solite domande. Ma uno se le deve rifare dopo aver seguito il talk show
dell’assemblea nazionale del partito, convocata per prendere la fatale
decisione sulle regole del congresso e alla fine incapace di prenderla,
al punto che il segretario Epifani ha dovuto rifugiarsi in corner e
rinviarla ancora. Anche le risposte possibili sono le solite. La prima
dice che il Pd è dilaniato dal correntismo, si può ormai dire dal
frazionismo perché i polli di Renzi e i tacchini di Bersani da tempo si
comportano come se non fossero più nello stesso partito. Ammirati da
tanta furiosa dialettica, alcuni commentatori ne deducono che il Pd è
l’unico «partito vero» che ci sia rimasto. Se è così lo preferiremmo
finto. Un’altra risposta è che per il Pd la democrazia interna è
diventata «la bottiglia che ti ubriaca anche se non l’hai bevuta», per
dirla con Lucio Dalla. La sua vita è del tutto sregolata e anarchica dal
lunedì al venerdì, e poi si pretende che il sabato rientri nel
formalismo giuridico più asfissiante: basti pensare che ieri il patatrac
è avvenuto per mancanza del numero legale. La terza risposta possibile è
che il conflitto di personalità è più cruento che in un partito
personale. Anche Alfano e la Santanchè si odiano, ma quando vanno
nell’ufficio del capo devono sorridersi. Nel Pd l’ufficio del capo non
c’è.
E dovrebbe essere ormai chiaro che l’assenza di autorità non è un
tratto di superiore civiltà, è piuttosto la condizione primordiale della
guerra di tutti contri tutti descritta da Hobbes.
Ma queste
spiegazioni, ancorché vere, sono tutte parziali, e pure sommate non
fanno una risposta. Ciò che davvero lacera e consuma il Pd è una
radicale diversità di opinioni sulla propria funzione, sulla missione
che è chiamato a svolgere, sul servizio che deve rendere all’Italia.
Infatti tutto l’arzigogolo intorno alle regole, la data del congresso,
il modo di svolgerlo, il candidato segretario e/o il candidato premier,
gira intorno alla seguente domanda: il Pd sostiene il governo che guida,
vuole assicurargli lunga vita e pieno successo, così da ripresentare
Letta alle prossime elezioni e vincerle? O il Pd considera già fallito
il governo che guida, si sente in campagna elettorale e dunque non vuole
perdere terreno nel gioco tattico col Pdl a chi l’attacca di più, così
da presentare Renzi alle prossime elezioni e vincerle? Il Pd è ancora al
governo o già all’opposizione? Deve pensare a salvare l’Italia o a
salvare se stesso? Il dilemma è ieri apparso chiaro nel dibattito.
Renzi, il quale aveva accettato il ricatto dei big sulle modifiche allo
statuto pur di strappare una data (l’8 dicembre) che almeno teoricamente
tenesse aperta una finestra elettorale, ha usato parole molto dure con
Letta. Se non sai tenere il 3% di deficit, che ci stai a fare? E perché,
se non ce la fai, dai la colpa a me e a Berlusconi, additati come
responsabili dell’«instabilità politica»? Un argomento oggettivamente
forte, e che nelle prossime settimane può diventare sempre più forte. Ma
anche pericoloso, perché lo stesso Renzi lo ha condito della
suggestione, mai prima ventilata nel Pd, di liberarsi di quel vincolo
del 3%. Un approccio molto «berlusconiano» al problema italiano, e che
fa tremare al pensiero di una eventuale campagna elettorale giocata, da
una parte e dall’altra, alla vigilia del semestre di presidenza italiana
dell’Unione Europea, di nuovo ai margini dell’Europa.
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