martedì 17 settembre 2013

VOTO PALESE O SEGRETO ? DIPENDE. A SECONDA DI QUELLO CHE CONVIENE AL MOMENTO


Voto palese o segreto ? Tutto diventa melodramma, specie se di mezzo c'è Berlusconi. L'errore da evitare è farsi trascinare nella sindrome derbistica, la reazione all'azione scomposta, e cercare di domandarsi se, al posto degli avversari, ci comporteremmo diversamente. Come osserva con giusto sarcasmo Ainis nell'editoriale odierno sul Corsera, che trovate di seguito, da noi le regole dovrebbero essere elastiche il giusto, laddove per giusto s'intende che vanno applicate se a noi favorevoli e disattese nel caso opposto. Pochi, veramente rarissimi coloro tra noi che si sottraggono a questo modus. E così, la regola per cui in Senato il voto in materie come la libertà dei senatori deve essere segreto, diventa scomoda e i pentastelluti ne chiedono l'abrogazione, ma fin qui, parliamo di gente che almeno può dire che quei regolamenti non ha mai contribuito a redigerli. Ma quelli del PD ?? E Grasso ??
Mettiamola così. Anche Renzi ha capito che in caso di elezioni anticipate avere ancora a che fare con Berlusconi sarebbe una brutta gatta da pelare. Visto che si presenta l'occasione per provare a estrometterlo una volta per sempre dall'agone politico, sarebbe suicida non approfittarne. Ci sta. Sarebbe solo bello non ci coglionassero, con discorsi di principio che cambiano a seconda dell'opportunità del momento.
Personalmente sono contrario, ma da sempre, al voto segreto. Non l'ho mai approvato, pensando che almeno un deputato o senatore avessero il coraggio delle proprie scelte.  Eppure fino al 1988 era la regola nel Parlamento. Non condivido nemmeno l'assenza del vincolo di mandato dei parlamentari : se sono rappresentati degli elettori, è giusto che esercitino il loro incarico in base agli impegni elettorali presi. 
E quindi, se vengo eletto in una lista poi non è che posso trasmigrare altrove. Se scopro di non condividere più i principi e gli obiettivi della formazione con la quale mi sono presentato e GRAZIE alla quale sono stato votato (specie oggi, che gli eletti sono nominati dalle segreterie) , sarà onesto dimettermi, e non conservare la carica (e le prebende) trasferendomi nel gruppo misto se non addirittura prendendo una casacca diversa. 
Eppure la Costituzione e le regole lo consentono, e da noi nemmeno c'è l'istituto del RECALL , presente negli USA, meccanismo che può portare alla revoca dell'eletto su iniziativa degli elettori traditi.
Restando al qui e ora, sia l'assenza del vincolo di mandato (addirittura regola costituzionale) che il voto segreto rispondono allo stesso criterio di garantire maggiore libertà all'eletto.
Non mi convince, specie nel ventunesimo secolo, ma questo è.
Certo il cambio delle regole a partita in corso è quanto di più losco sia dato vedere e che lo vada a difendere in tv quel bel faccino ipocrita di una trasmigrante (per ora di correnti) esperta come la Moretti mi conferma semmai di più sulla penosità del tentativo di mettere un vestito decente ad una condotta ispirata al mero opportunismo.
Ma questa è la politica, e solo quelli che la sognano infarcita di onestà, trasparenza, lealtà e altre amenità del genere può rimanere male.
Nel migliore dei casi, l'ottica della politica è quella della campagna : bisogna avere grande dimestichezza col letame per avere buoni risultati. E' il fine quello che conta, e nell'anno del 500mo anniversario de Il PRINCIPE di Machiavelli, mi sembra una chiosa conferente. 


Il rispetto delle regole

Noi italiani scambiamo le regole per tegole. Sicché, quando ci cascano addosso, le schiviamo. E un minuto dopo corriamo a fabbricare un'altra tegola (pardon, regola), cercandovi riparo. È già successo mille volte, sta forse per succedere di nuovo. Oggi il Movimento 5 Stelle proporrà una modifica al regolamento del Senato, allo scopo d'ottenere un voto palese sulla decadenza di Silvio Berlusconi. Consensi dalla Lega, applausi da Sel, aperture dall'Udc e da Scelta civica, benedizioni da autorevoli esponenti del Pd. E ovviamente un altolà dal Pdl, che difende la regola vigente, ossia lo scrutinio segreto.
C'è una nobile ragione di principio sotto quest'ennesima baruffa sulle regole? Macché, c'è un calcolo politico. Il Pdl spera che il segreto dell'urna favorisca smottamenti nel fronte avverso, sulla carta largamente superiore. Perché la decadenza di Berlusconi rischia di trascinarsi dietro la decadenza della legislatura, con una crisi di governo e poi con lo scioglimento anticipato delle Camere. E perché, si sa, nessuno degli eletti ha voglia di fare le valigie. Dal canto suo il Pd teme giochetti da parte dei grillini: potrebbero salvare in massa l'illustre condannato, per poi addossarne la colpa alla sinistra. Ma soprattutto teme imboscate al proprio interno, giacché i 101 franchi tiratori che affondarono la candidatura di Prodi al Quirinale sono ancora lì, e tramano nell'ombra. Dunque la nuova parola d'ordine è la stessa che Gorbaciov coniò negli anni Ottanta: glasnost , trasparenza. D'altronde come si fa a non essere d'accordo?
Si fa, si fa. Intanto per una ragione di merito, perché non è affatto vero che la segretezza convenga solo ai ladri. Non a caso la Costituzione proclama il nostro voto d'elettori «libero e segreto». Questi due attributi si tengono a vicenda: il voto è libero unicamente se resta segreto. Altrimenti potremmo subire ritorsioni dal datore di lavoro, minacce dai politici, o più semplicemente potremmo farne mercatino, vendendolo al miglior offerente. E il voto degli eletti? Qui la libertà deve coniugarsi con la loro responsabilità verso gli elettori. Dopotutto se ti ho dato fiducia devo pur sapere se la meriti, se stai mantenendo le promesse. Però siccome ogni democrazia parlamentare accoglie il divieto di mandato imperativo, siccome ormai l'imperatore non è tanto il cittadino bensì il capopartito, allora la segretezza dei voti espressi nelle assemblee legislative suona come il riscatto dei peones, l'ultimo presidio della loro dignità.
Queste due opposte esigenze possono combinarsi in varia guisa. Fino al 1988 era regola il voto segreto, mentre quello palese veniva usato in casi eccezionali. Dopo la riforma dei regolamenti parlamentari s'applica la regola contraria; tuttavia l'eccezione - e cioè il voto segreto - continua a governare le votazioni sui diritti di libertà, sui casi di coscienza o infine sulle singole persone. Il caso Berlusconi, per l'appunto; quantomeno al Senato, giacché alla Camera funziona anche qui il voto palese. Merito di Craxi, salvato nel 1993 dai franchi tiratori, sicché Montecitorio s'affrettò a riformare la riforma. Alla fine della giostra la questione sta allora nel metodo, prima ancora che nel merito. Possiamo calibrare come più ci aggrada il rapporto fra scrutini segreti e palesi. Possiamo anche sbarazzarci della prerogativa che rende i parlamentari giudici di se medesimi, trasferendola per esempio alla Consulta. Ciò che invece non possiamo fare è di scrivere un'altra regola ad personam o meglio contra personam . Per rispetto delle regole, se non della persona.

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