sabato 5 ottobre 2013

ALFANO COME BRUTO ? TROPPO ONORE DIREI


Nel leggere l'articolo di Filippo Facci l'indomani del melodramma andato in scena al Senato qualche giorno fa, titolato significativamente, chi ha tradito chi , mi è venuto in mente , chissà perchè, Bruto.
Una spiegazione potrebbe venire dal fatto che Facci distingue il "traditore" dall'opportunista, e fa una distinzione tra i topi che abbandonano la barca che affonda (sempre la maggioranza, e sempre molto applauditi nel momento in cui sono "servi utili", salvo lasciarli nell'oblio, dov'è giusto che finiscano, passato il momento "d'uso") da chi , che so, si ammutina e cerca di prendere il comando della nave altrimenti destinata alla deriva (Bounty ? ). 
Magari è questo pensiero che mi ha fatto scattare l'immagine di questo personaggio storico controverso, da alcuni condannato per aver cospirato e ucciso il proprio padre putativo e benefattore, da altri esaltato per il suo eroismo repubblicano. Certo, nemmeno tra i primi qualcuno pensa che Bruto agì per mera sete di potere personale, riconoscendogli la buona fede, l'aver seguito quello che per lui era un ideale più nobile della fedeltà. Come gli mette in bocca Shakespeare : "non perché amassi Cesare di meno, ma perché amavo Roma di più ". 
E gli si può credere.
Ciò posto, paragonare Alfano a Bruto (e anche Berlusconi a Cesare, diciamola tutta) mi è impossibile.
Però capisco quello che vuol dire Facci, e in generale lo condivido, anche se nella fattispecie qualche dubbio di opportunismo resta, ancorché anche io creda che non sia l'unica componente (e magari chissà, nemmeno la principale) della condotta di uomini come l'attuale vicepremier, o Quagliariello o qualcun altro (pochi, che anche Facci dubita si possa andare oltre le dita di una mano).
In realtà, continua il giornalista, in politica molte cose sono permesse, e poi perdonate, basta vedere divorzi all'apparenza insanabili che poi si ricompongono (Berlusconi - Bossi, tanto per dirne uno, ma anche il Prodi "tradito" nel 1999, che poi si ricandida nel 2006, sponsorizzato dagli stessi che lo avevano "pugnalato" : D'Alema e Bertinotti), e altrettanto frequentemente i giovani delfini devono uccidere "il padre politico" per spiccare il volo da soli. Non sono un esperto di Bettino Craxi, ma credo che avvenne anche per lui, vicesegretario di De Martino, di cui prese il posto dopo la sconfitta elettorale del 1976. 
E certamente, chiosa Facci, come devono essersi sentiti i lealisti del PDL, cioè i non falchi che però erano disposti ad obbedire all'ordine del Capo di sfiduciare Letta, ancorché convinti del contrario ? Parlo di Schifani, Romani e altri che, in mezzo al guado, tra falchi e colombe, avevano scelto la lealtà. 
E invece il leader gli piazza una piroetta di 180 gradi, facendo fare loro la figura dei pupi in preda alla confusione del puparo.
 


Chi ha tradito chi

I dissidenti del Pdl sono traditori a tutti gli effetti, ma non solo: anche Silvio Berlusconi ne esce come un traditore. Vediamo perché.
E partiamo da un dettaglio minore: martedì sera, a Matrix, Fabrizio Cicchitto mi ha tacciato addirittura di «barbarie» (era appena stato a Ballarò a litigare con Sallusti) solo perché avevo detto che parlare di «dissenso politico» e non di «tradimento» era un confondere le cause con gli effetti, nel senso che ufficialmente si tradisce sempre perché c’è un dissenso politico – ovvio – ma un dissenso politico all’occorrenza c’è sempre, c’è tutte le volte, c’era, per dire, anche tra Claudio Martelli e Bettino Craxi nel 1993. Tradire con un motivo o con un pretesto non è la stessa cosa, certo, il che non toglie che i tradimenti esistono e che si chiamano così, non bisogna avere paura delle parole. Il tradimento, in politica, è un esercizio che può anche essere ordinario, fisiologico, addirittura grandioso: a fare la differenza è il percorso di chi tradisce, è la sofferenza intellettuale di chi lo fa per approdare a una faticosa liberazione.

Volendo tornare sulla Terra, però, dobbiamo anche considerare che specie di partito fosse il Pdl: una monarchia assoluta in cui la parola del capo, per motivi pacificamente accettati, non è mai stata messa seriamente in discussione: e chi l’ha fatto con modalità pur differenziate – Follini, Fini, Casini, Tremonti – oggi non è propriamente al centro della scena. Una monarchia in cui – non si vorrà negarlo – non c’erano serie dinamiche, discussioni, confronti, proposte, polemiche, e non parliamo di congressi, riunioni o delle famose primarie. Una monarchia in cui, insomma, gli eletti erano dei miracolati del capo, con rarissime eccezioni. Ecco perché «tradimento» non solo pare un termine appropriato, ma, data la nobiltà che il termine porta con sé, in qualche caso pare anche generoso. I topi che abbandonano la nave che affonda, dopo aver meramente squittito per anni, non sono traditori: sono topi. Sono roditori che hanno vissuto all’ombra del formaggio e della monarchia, ben felici di farlo: nella loro biografia non troverete nulla che possa suonare come un timido distinguo rispetto alle deliberazioni reali. Non so se, come si dice, la servitù sia sempre la prima a tradire: so che le dignitose storie personali di taluni – penso a Giovanardi, allo stesso Cicchitto, ma certo non solo a loro – si contano sulle dita delle mani di un monco, quindi l’aura da grande momento politico che molti giornali hanno dipinto, ergendo ad eroi anche dei personaggi che avevano sempre descritto come il peggio, è parsa quantomeno ridicola e in ogni caso molto italiana.
Detto questo, però, ecco: anche Berlusconi è un traditore dei suoi, anche Berlusconi si è rivelato un ingannatore dei fedelissimi che per amore o per forza, per convinzione o martirio, avevano deciso di obbedirgli magari anche a prezzo di qualche dolore personale e di un tormento umano che sarebbe stato anche normale e comprensibile. Sempre a Matrix, martedì sera, durante una pausa pubblicitaria, c’è stato un momento tra Gasparri e Cicchitto che è stato quasi commovente: bene o male stavano sulla stessa barricata da una ventina d’anni, ne avevano viste e condivise tante, e sono due che alla soldataglia dei topi non li ascriverebbe nessuno. Tra i cosiddetti falchi, in queste ore, non ci sarà stata solo una cieca e acritica obbedienza: forse c’è gente che ha dormito male la notte, che ha rotto delle amicizie, che ha semplicemente pensato, che si è davvero e realmente convinta che la fiducia a Letta non andasse votata, stop.
Ciò posto, Berlusconi invece che ha fatto? All’ultimo istante ha rovesciato il tavolo. Completamente. Ha cambiato idea. Completamente. Scriveva domenica: «L’unica via è andare convinti verso le elezioni il più presto possibile, tutti i sondaggi ci dicono che vinceremo». Ora non è più l’unica via, e forse i sondaggi dicono un’altra cosa. Se Berlusconi avesse davvero deciso all’ultimo, non saremmo più nell’ottica dell’istinto e del colpo di genio: ma della schizofrenia. E se invece – come pare più probabile – il suo fosse stato un calcolo diabolico, una messa in scena per ripulire il partito e allontanare la sua decadenza da senatore, gettando oltretutto il Pd in un comprensibile panico, beh, i vari falchi avrebbero ogni ragione di sentirsi degli imbecilli, dei burattini. Al punto che i pochissimi che hanno deciso ugualmente di non votare la fiducia – tra questi Bondi, Nitto Palma, Minzolini, Mussolini e altri assenti o non votanti – a questo punto ne escono come dei monumenti di consonanza: dei coerenti tutti d’un pezzo, impallinati – anzi, traditi – da una retromarcia berlusconiana che a sua volta sarà difficile da ricucire. È questa l’unica fiducia che ha rischiato di svanire.

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