C''E' UN TRISTE PUNTO IN COMUNE TRA DISSENZIENTI E TRADITORI : ENTRAMBI NON SI DIMETTONO MAI
E' assolutamente lecito dissociarsi da qualcosa che non si condivide più.
NON lo è farlo rimanendo nel posto che si occupa SOLO GRAZIE alla
persona, o al partito, di cui non si approva la linea, la strategia,
quello che sia. Insomma non è difficile. Se faccio parte di
un'associazione, di un gruppo, di un partito, va bene esprimere il mio
diverso parere, il mio dissenso, quello che sia. Dopodiché però
l'organizzazione di cui faccio parte DEVE prendere una decisione di
azione. Se questa è per me inaccettabile, è giusto che mi dissoci, ma
anche conseguenziale che me ne vada. Succede ovunque. E se occupavo
delle cariche in virtù della appartenenza che oggi rifiuto
(legittimamente) , coerenza e dignità a mio avviso richiedono che le
lasci.
Come dice una bella canzone di Irene Grandi ..."Non è facile, ma è tutto qui".
Dopodiché posso essere d'accordo nello stigmatizzare l'attacco verbale violento a chi si dissocia, il termine traditori o peggio, anche se poi c'è modo e modo di farlo. Pierluigi Battista, nel criticare duramente la "caccia al giuda" messa su da organi di stampa come Il Giornale, mette insieme un po' di tutto, andando da persone come Follini a Fini, che francamente non riterrei paragonabili. Abilmente poi, non cita mai gente come Razzi, Scilipoti (mi ringrazierà l'onorevole per non averlo citato per primo), Di Gregorio, Carlucci...tutta gente che difficilmente possono essere immaginati come qualcosa di diverso da semplici voltagabbana, genia che è sempre esistita e esisterà sempre.
Insomma, i traditori ci sono, eccome, e poi ci sono quelli che hanno un'idea assolutamente legittima e coerente con la propria storia. E' il caso di Follini (che è vero che poi è finito nel PD, ma in quota ex DC, e ha sempre sostenuto la sua politica centrista), NON di Fini, che si è "evoluto" molto (troppo ?) negli anni.
No, continuo a non essere d'accordo, per una volta potrà ben succedere, con il bravo editorialista del Corsera, di cui riporto l'articolo odierno.
"La caccia infinita ai Traditori"
Stavolta, l'evocazione del «tradimento» è soprattutto la proiezione di
una grande paura. Liquidare come «traditori», «prezzolati», «mercenari»
una parte importante del gruppo dirigente del Pdl, il suo segretario
Alfano, i ministri più rappresentativi, ex capigruppo.
Non «alleati»
riottosi cui infliggere il metodo rude che ieri è stato menzionato da
Angelino Alfano e che prende nome dal trattamento brutale che il
giornale super-berlusconiano adoperò nei confronti di Dino Boffo. Ma una
parte importante del partito. Una parte che sta osando l’inosabile: non
sottomettersi alla corte dei falchi che circonda il sovrano. Non
identificare in toto le ragioni dell’elettorato del centrodestra con la
sorte del Capo che fa e disfa la tela dei governi. «Traditori»: cioé
dissidenti. Forse.
Forse, perché il drappello dei «traditori» sta
subendo un’opera di «convincimento» molto avvolgente. Forse, perché
arrivare fino allo strappo è impresa molto delicata. Forse, perché i
precedenti non militano a favore dell’ottimismo, e per un Gaetano
Quagliariello che assicura di voler diventare dirigente di qualche club
del Napoli se la sua parabola politica dovesse volgere alla fine, gli
altri ministri sanno che il loro dissenso, portato fino in fondo,
significherebbe l’inizio di una lunga e solitaria traversata nel
deserto.
Forse, dunque. Chissà se riuscirà a reggere l’urto delle
invettive, la pattuglia moderata che stavolta, come lo scrivano Bartleby
di Melville, è riuscita a dire: «Preferisco di no». Dovranno sentire e
subire in queste ore e in questi giorni e, se persiste nel dissenso, nei
prossimi mesi, tutta la claque del Capo che deplora chi ha avuto
l’ardire di non essere entusiasticamente d’accordo con lui. La caccia
all’eretico era un dovere per i devoti che dovevano segnalare i
correligionari troppo fiacchi. Nella Rivoluzione francese si
ghigliottinavano i «tiepidi», quelli che la folla giacobina considerava
troppo poco entusiasti e dunque, secondo il sillogismo rivoluzionario
che non consente mediazioni o discussioni, in oggettiva collusione con
il Nemico. Nella retorica comunista, dietro il moderato si annidava pur
sempre il «nemico del popolo», il «traditore». Il fascismo vedeva
complotti dappertutto e dalla Repubblica di Salò fino al neofascismo
missino, «Badoglio» era l’offesa suprema che si doveva scagliare contro
chi aveva manovrato nell’oscurità per accoltellare alla schiena il «vile
traditor». Mutatis mutandis , per carità, adesso le colombe del Pdl si
accorgono un po’ tardivamente, un po’ troppo tardivamente, che nel loro
partito, pur sotto le diverse denominazioni, il dissenso è semplicemente
pericoloso. «Non ci faremo intimidire», ha detto in segno di sfida
Alfano. Vuol dire che chi dissente, da quelle parti, deve aspettarsi una
poderosa, spietata, tambureggiante campagna intimidatoria. Il
«governicchio dei traditori», come l’ha ribattezzato sprezzantemente lo
stesso Berlusconi, deve essere schiacciato senza requie.
Così come è
stata senza requie la campagna contro chi, all’interno del
centrodestra, si è via via ritagliato uno spazio e una visibilità
autonomi rispetto alla straripante personalità del leader indiscusso.
Marco Follini è stato il bersaglio ghiotto. Più che traditore, era stato
lungamente ritratto dai giornali più vicini a Berlusconi come il
frenatore professionale, una quinta colonna dentro la falange del
centrodestra. Una campagna durissima, in cui gli argomenti di Follini
venivano semplicemente ignorati, per dare sfogo a tutte le accuse
possibili e immaginabili. E anche Pier Ferdinando Casini, dopo essere
stato per anni accarezzato e blandito come il «delfino», come l’alleato
un po’ troppo democristiano ma comunque simpatico e gioviale, a un certo
punto si è visto dipinto, quando non accettò il diktat della totale
berlusconizzazione del suo partito, come un «traditore», uno che aveva
sempre lavorato ai fianchi il Capo per indebolirlo e fare un piacere al
nemico. Da ultimo Giulio Tremonti. Prima di esalare l’ultimo respiro, il
governo presieduto da Berlusconi aveva già indicato il vero
responsabile dei fallimenti governativi, dalla politica spietata dei
«tagli lineari» alla pervicace negazione di ogni concessone fiscale:
Giulio Tremonti. L’estate avvelenata del 2011 che ha preceduto la fine
del governo Berlusconi è stata una fiammata di accuse di «tradimento».
Un «tradimento» che è poi diventato un complotto su scala europea e
internazionale. E anche allora i giornali vicini a Berlusconi si
esercitarono nel tiro al bersaglio contro Tremonti. I traditori erano
sempre quelli che potevano oscurare l’astro del Capo. I parlamentari del
fronte opposto che invece venivano alla spicciolata a difendere i
numeri del governo avevano un altro nome, nient’affatto infamante e anzi
decisamente altisonante: «Responsabili».
Ma il metodo venne
applicato con militare determinazione, con spietatezza e disciplina nei
confronti del «traditore» massimo, della personificazione di ogni
tradimento: Gianfranco Fini. Il delfino che aveva osato dire «che fai mi
cacci?» venne messo a rosolare per tutta l’estate del 2010 in una
campagna quotidiana, durissima, martellante sulla casa di Montecarlo,
eredità di una nobildonna missina donata al suo partito, messa a
disposizione, con molti dettagli ancora oggi non perfettamente chiari,
del cognato Tulliani. Ogni giorno. Tutti i giorni, un titolo d’apertura
del Giornale . Una rivelazione per volta, un dettaglio alla volta, e la
mobilitazione di Walter Lavitola, e le società off-shore in un intrigo
che ha dato un colpo micidiale all’integrità politica dell’allora
presidente della Camera. Una raffica contro il Fini che pure, anche lui
in piena sindrome del «tradimento», aveva definito pubblicamente
«puttani» i parlamentari colpevoli del ribaltone. Può essere che la
pattuglia dei neo-dissidenti non vada fino in fondo. Ma per i
«traditori» si annunciano tempi di ferro e di fuoco. «Non ci faremo
intimidire»: chissà.
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