Alla fine non c'è stato bisogno di mettere alla prova la tenuta degli ortotteri, che ci hanno pensato quelli del PDL a spaccarsi per assicurare la sopravvivenza del governo Letta.
Un governo che molti osservatori stranieri (che in Italia ci preoccupiamo molto di quello che pensano gli altri di noi, una cosa curiosa : se faccio una cosa di cui sono convinto che mi frega ? e se non lo sono, il fatto che vada bene agli altri risolve ? ) ritenevano insufficiente, pressoché paralizzato. Parliamo dell'Economist, del Wall Street Journal, certo non degli avventurieri né tantomeno dei filo berlusconiani.
Adesso magari le cose cambieranno. La scissione di fatto avvenuta nel PDL, con la formazione di un gruppo sufficiente di senatori per assicurare la maggioranza anche nel caso Berlusconi ritirasse un domani la fiducia alla fine concessa oggi "con travaglio", cambia completamente lo scenario conosciuto fin qui.
E lo cambia per TUTTI.
In sostanza le alchimie parlamentari ( una democrazia curiosa...ma perché non stabiliamo che il voto è come il semaforo a Napoli ? : un consiglio...) hanno realizzato ciò che Bersani e Monti avevano fallito alle elezioni.
Chi ha un po' di memoria ricorderà forse che il piano fondamentale dell'ex segretario del PD , conscio che difficilmente avrebbe ottenuto una maggioranza assoluta anche in Senato, era un'alleanza con quelli del centro di Scelta Civica & Co. Le cose andarono diversamente. Entrambi presero meno voti di quelli che si attendevano (Monti parecchi di meno), mentre Grillo fece il pieno.
A quel punto ci fu il penoso tentativo di Bersani di imbarcare i grillini, ricevendo solenni calci sui denti e si arrivò alle larghe intese, con due forze che al Senato si equivalevano.
Risultato, il governo Letta è stato costretto a cercare di assecondare le richieste del Cav. in merito all'IMU e all'IVA, mentre sul resto si tirava avanti a tappare le falle che si aprivano ora qua ora là in una nave molto disastrata. Riforme, almeno la messa in cantiere, nessuna. Molti annunci, molti rinvii, e molte pezze.
IN più. ogni santo giorno la minaccia della crisi prima per i mal di pancia del popolo PD ( ??) e di una certa ansia di Renzi di andare quanto prima alle elezioni con lui leader, poi la catastrofe giudiziaria abbattutasi sul Cavaliere.
Senza contare le fibrillazioni del pianeta ortottero, incoraggiate dal sogno della sinistra più malpancista di una bella scissione nel gruppo dei pentastellati, sufficiente a sbarazzarsi dell'alleato odiato.
Questi appassionanti (???) giochi sono apparentemente finiti. Il gruppo di senatori che mancò alla conta del duo Bersani-Monti, eccolo arrivare bello bello dalle file del PDL.
Non ho capito se la fiducia al senato sia stata votata anche da Sel stavolta, immagino di no, ma non credo siano determinanti comunque.
Sicuramente, fine della corte ai grillini. Se qualcuno di loro vuole passare in maggioranza, per carità, porte aperte (ma si scordassero poltrone che contano, tutte occupate), però non servono più.
Il governo va benissimo così : la pattuglia corposa dei "dissidenti" del PDL - che dubito la frattura potrà rientrare - , più un paio di ortotteri fuoriusciti, più, alla bisogna, i senatori a vita. Letta da questo lato è a posto, e Berlusconi non ha più poteri di veto.
Il problema semmai torna a sinistra, per coloro che confidavano nella crisi sia per andare a Palazzo Chigi con le elezioni (Renzi), sia per esorcizzare l'incubo del sindaco di Firenze segretario del PD.
A parte questo, il governo che emerge da questo passaggio molto grottesco, dove veramente in 24 ore si è visto di tutto (e il contrario), è sulla carta decisamente più forte non solo di quello visto finora, ma anche di quello Montiano, dove comunque sia il PDL che il PD potevano farlo cadere.
QUindi adesso vedremo se questo esecutivo, non più zavorrato dai problemi giudiziari di Berlusconi, prenderà il volo.
Si accettano scommesse (contento di pagarle, perché avere torto significherebbe che le cose vanno bene...).
Di seguito, la cronaca della convulsa giornata sul Corsera.it
Governo, Berlusconi alla fine ci ripensa:
«Non senza travaglio, votiamo la fiducia»
Prima annuncia il voto contrario, poi il dietrofront:
« L’Italia ha bisogno di un governo di riforme»
Silvio Berlusconi al Senato (Ansa)
«Mettendo insieme le aspettative e il fatto che l’Italia ha bisogno di un governo che produca riforme istituzionali e strutturali abbiamo deciso, non senza interno travaglio, per il voto di fiducia». Fino a mezzogiorno Silvio Berlusconi aveva fatto capire che il governo Letta la fiducia del suo partito non l’avrebbe mai avuta. Poi il dietrofront, in extremis: prendendo la parola in Senato poco prima del voto (era stato annunciato che l’intervento a nome del Pdl lo avrebbe pronunciato il capogruppo Schifani) il Cavaliere cede alle «colombe» e annuncia che tutto il Pdl - perché in quel momento il partito è ancora formalmente uno soltanto - è pronto a votare per la continuazione dell’esperienza di governo. In un attimo perdono consistenza tutti i passi compiuti nell’ultima settimana: l’annuncio delle dimissioni di massa dei parlamentari, il ritiro della delegazione ministeriale, la mobilitazione nelle piazze e sui social network. Uscendo da Palazzo Madama ripeterà più volte a chi gli sta attorno che «non c’è stata nessuna marcia indietro». Ma è una posizione difficile da sostenere dopo che per tutta la mattina i suoi fedelissimi avevano inondato le agenzie di dichiarazioni improntate sulla linea della fermezza: il cambio di strategia è stato costretto a subirlo, alla fine ha potuto solo cercare di assecondarlo.
MAGGIORANZA SALDA - La sua mossa a sorpresa è servita per sterilizzare, mediaticamente, la nascita del nuovo gruppo centrista composto dai fuoriusciti guidati da Alfano e Cicchitto. Anche Enrico Letta al termine del breve discorso gli riconosce indirettamente di essere «un grande». Non è un caso se alla fine il capo del governo è sorridente: ha scampato il pericolo e il voto dà a lui - e indirettamente al Quirinale - la certezza che ora Palazzo Chigi potrà contare su un sostegno solido, che evita il ritorno alle urne senza bisogno di inventare improbabili maggioranze alternative. I voti a favore della fiducia sono 235, quelli contrari 70. Solo sei senatori del Pdl (Sandro Bondi, Manuela Repetti, Remigio Ceroni, Augusto Minzolini, Alessandra Mussolini, Nitto Palma) rifiutano di partecipare al voto. Per ironia della sorte, il presidente Grasso estrae la lettera B ed è dunque proprio Berlusconi uno dei primi a sfilare sotto i banchi della presidenza durante la chiama individuale. Poi, pochi minuti più tardi, uscendo dal palazzo gli toccherà subire anche gli insulti e i fischi di un centinaio di persone radunate sulla piazza.
IL NUOVO GRUPPO - Il copione della fiducia si ripeterà alla Camera, dove il Pd ha comunque una solida maggioranza e i voti dei berlusconiani non sono determinanti. Tuttavia proprio nell’emiciclo di Montecitorio debutta il nuovo gruppo dei dissidenti: sono 26 i deputati che passano nella nuova formazione, guidata da Fabrizio Cicchitto. Tra loro c’è anche l’ex ministro Beatrice Lorenzin; gli altri ministri uscenti risultano ancora in stand by ma a parte la Di Girolamo, che ha detto di voler restare con Berlusconi. Non si sa ancora bene come chiamarli i parlamentari fuoriusciti: qualcuno azzarda «alfaniani», Roberto Formigoni fa invece sapere che potrebbero chiamarsi «I Popolari», in omaggio al vecchio Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Enrico Letta, che al Senato aveva pronunciato un intervento tutto basato sulla responsabilità e sul bisogno di garantire stabilità al Paese, a Montecitario può sbilanciarsi e ostentare ottimismo: «Da oggi si lavorerà con una maggioranza politica coesa, ora serve chiarezza».
LA MATTINATA - Per Berlusconi è in ogni caso una giornata da dimenticare, il cui epilogo era impensabile fino all’ora di pranzo. Il gruppo del Pdl al Senato aveva optato per la sfiducia al governo Letta. La decisione era arrivata in un convulso vertice tra lo stesso Berlusconi e i parlamentari pidiellini, dopo il discorso di Enrico Letta a Palazzo Madama. «Voi fallirete, avete avuto come unico risultato quello di spaccare il Pdl, noi non assisteremo a questa umiliazione del nostro partito, di Berlusconi e dell’Italia» aveva sottolineato in Aula Sandro Bondi rivolto a Letta. Ma almeno ventitré dissidenti del Pdl avevano già annunciato il «sì» al governo. Tanto che Maria Stella Gelmini aveva ammesso: «I destini sono separati. Fine».
IL PARTITO -
Nelle prime ore della mattinata, Berlusconi aveva lasciato ipotizzare
una possibile apertura alla fiducia dicendo ai giornalisti: «Vediamo che
succede... Sentiamo il discorso di Letta e poi decidiamo». Apertura
che, però, aveva poi compreso, non gli sarebbe bastata a scongiurare la
spaccatura del Pdl, tanto da spingerlo a votare comunque la sfiducia.
Proprio mentre era in corso il vertice, infatti, i dissidenti avevano
lasciato intendere che avrebbero dato vita, comunque, a un gruppo
autonomo. Di qui la scelta di andare alla conta. Quando il foglio con
le firme raccolte da Quagliariello ha iniziato a circolare, il Cavaliere
ha però capito di non trovarsi davanti a qualche defezione isolata. Di
qui la decisione di sparigliare , di cambiare ancora lo scenario e di
votare sì alla fiducia.
Dopo tuttti questi avvenimenti Berlusconi, se avesse ancora un pò di dignità, dovrebbe dimettersi... Farebbe un figurone......
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