Si susseguiranno gli articoli a commento della Legge di Stabilità, ma già un comune denominatore appare evidente : non ha soddisfatto nessuno, nemmeno tra i paladini strenui del governo, come Antonio Polito che pur cercando di evidenziarne le - pochissime, anche per lui - positività ( l'abbassamento dello spread sarebbe anche figlio della tenuta governativa...mah) non può non dirsi un po' deluso, perchè in effetti "bisogna fare di più". Di Vico, dal canto suo, mentre Galli della Loggia annuncia che la Mivar, produttrice di ottimi televisori italiani (negli anni 90 e fino al 2000 era andata benissimo, con prodotti di riconosciuta qualità) sta per chiudere, cerca di evidenziare qualche numero positivo che pure c'è :
L'occasione mancata
L’Italia è come un malato che scende dal letto e comincia a fare i primi passi, incerti e cauti. Gli analisti di Ref hanno riassunto il tutto in una specie di slogan: “Finita la recessione più profonda, inizia la ripresa più lenta”. Poi, ci sono i numeri: 0,7 per cento di ripresa del Pil nel 2014, 1,1 per cento di crescita nel 2015. E la disoccupazione che l’anno prossimo cresce ancora: passa dal 12,2 per cento di quest’anno al 12,5 del 2014. Solo nel 2015 (fra due anni) si invertirà la tendenza, ma molto lentamente: infatti la disoccupazione scenderà solo al 12,3 per cento.
Bastano questi pochi numeri, che testimoniano appunto il faticoso procedere della ripresa (che pure esiste) per giustificare, di fronte alla Legge di stabilità del governo, le proteste tanto di Confindustria quanto dei sindacati. E’ vero che c’è un’inversione di tendenza e che finalmente il cuneo fiscale comincia a scendere. Ma è troppo poco.
E hanno ragione quelli che dicono che qui ci voleva una scossa. Questo era il momento giusto per darla (Ciampi, per la verità, la chiede dai primi anni Novanta). E ha ragione la Confindustria quando dice che qui ci voleva più coraggio.
Dopo sette anni di recessione (e quasi il 10 per cento di ricchezza nazionale bruciato) tutti si aspettavano qualcosa di spettacolare. Una frustata congiunturale capace di riportare vita sotto i capannoni e negli uffici.
Invece è arrivata una manovra molto sofisticata, molto “lavorata”, ma senza visione strategica e senza la famosa scossa.
Colpa della fretta e della “strana maggioranza”? Forse di tutte e due le cose. Con qualche bizzarria dentro. Tipo: evviva, non abbiamo toccato la sanità. Si era parlato di un taglio di 4 miliardi e invece siamo riusciti a evitarlo, dice il governo, tutto fiero. Ma nella sanità i miliardi da tagliare erano forse non quattro, ma otto e magari anche sedici o trentadue, visto che ci sono regioni dove una siringa costa dieci volte rispetto a un’altra. Solo che bisognava avere il coraggio di intervenire e di dire basta.
Non lo si è fatto. Perché? La verità è semplice e amara: la sanità dipende dalle regioni e ogni regione “appartiene” a un partito. Intervenire lì, quindi, significava sollevare un vespaio. E allora si è preferito sorvolare.
Purtroppo, chi trova questa Legge di stabilità un po’ debole, rispetto alle esigenze del paese, fra qualche settimana avrà modo di ricredersi e di trovarla meravigliosa. Infatti, la Legge va in Parlamento (al quale toccherà decidere su molti punti importanti) e lì si aprirà il consueto, grande mercato: se mi togli quella norma, io ti approvo quell’altra, se non mi tocchi gli stipendi degli statali, possiamo aumentare quel fondo, e così via. Alla fine, facile previsione dedotta dagli anni passati, ne uscirà un testo ancora più debole e pasticciato.
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