America in shutdown da 10 giorni. Il mondo non è finito, essendo stata spostata la data al 17 ottobre, quando, se i repubblicani non cederanno, o non si trova un qualche compromesso, il Tesoro USA non potrà più ricorrere al debito per pagare i suoi conti. Default quindi ? Gli USA come l'Argentina di qualche lustro fa ?
Alessandro Fugnoli non ci crede.
E spiega qui il perché
Buona Lettura
APOCALISSE INESISTENTE
Le parole costano poco e in
effetti, non essendoci precedenti di default americano negli ultimi 150 anni,
ci sarebbe nel caso parecchia confusione. Alla lunga, inoltre, la guerra dei
nervi in corso a Washington e la chiusura di qualche centro di spesa governativo
non mancherebbero di penalizzare la crescita.
Attenzione alle date, però. I
mercati sono fissati sul 17 ottobre come giorno in cui il Tesoro americano
finirà i soldi. In realtà la data vera è tra il 24 e fine mese. Non è poi
corretto dire che finiranno tutti i soldi, è vero invece che il Tesoro dovrà
limitarsi a spendere quello che continuerà a incassare dalle tasse, che non è
certo poco.
Da qui a dire che il Tesoro
sospenderà il rimborso dei suoi titoli e degli (esigui) interessi ce ne corre.
I paesi emergenti, quando erano poveri e si trovavano in temporanee crisi di
liquidità, facevano acrobazie incredibili tra le poste di bilancio pur di
onorare i loro debiti. L’Argentina della Kirchner, uno dei paesi peggio
gestiti, compie ancora oggi periodiche incursioni a scopo di rapina nel suo
ente di previdenza sociale quando deve pagare le cedole dei suoi bond in
dollari. Il Venezuela, dal canto suo, saccheggia il suo ente petrolifero.
Insomma è una questione di
volontà politica. Chi vuole pagare paga. L’amministrazione Obama, tuttavia, non
ha fretta di risolvere la crisi immediatamente e ha anzi interesse a
drammatizzarla al massimo per spaccare i repubblicani e dividerli una volta per
tutte in due partiti, uno centrista e uno radicale. Obama sa anche che non
potrà tirare troppo la corda e continuare al tempo stesso a presentarsi come
adulto responsabile. Quando un adulto responsabile e un adolescente dalla testa
calda smettono di parlarsi, gli spettatori (in questo caso gli elettori)
inizialmente danno torto al giovane dai modi sgarbati, ma dopo qualche tempo
iniziano a spostare la colpa sull’adulto che rifiuta il dialogo.
In pratica, quindi, se il
nostro calcolo è corretto Obama cercherà di alimentare l’attesa del default ma
cercherà alla fine di evitarlo, come del resto anche i repubblicani.
Tutto a posto, allora? Si
tratta solo di pazientare qualche giorno per poi godere del meritato rialzo di
fine anno? Probabilmente sì, ma non bisogna
trascurare, oltre a quella dell’esplosione atomica e a quella
dell’accordo, una terza strada più insidiosa. Parliamo dell’ipotesi di
soluzioni tampone, di innalzamenti del tetto all’indebitamento tali da
riproporre il problema tra poche settimane. Non diamo molto peso a questa terza
ipotesi, ma ne parliamo perché è assente dagli scenari dei mercati.
Le prossime due settimane
saranno nervose, ma non necessariamente molto volatili. Vivremo di aperture
parziali, rotture, riprese di dialogo e tentativi di mediazione. I mercati
esiteranno a buttarsi troppo da una parte o dall’altra perché in qualsiasi
momento potrà verificarsi un colpo di scena.
La pressione dei mercati sui
politici, fino a questo momento, è stata inferiore a quello che ci si sarebbe
potuto attendere. L’indice SP 500, del resto, è ancora in rialzo del 17 per
cento rispetto all’inizio dell’anno ed è difficile piangere miseria in questa
situazione. David Bianco di Deutsche Bank sostiene che il mercato si fermerà
alla peggio a 1630, sorretto dai fondamentali. Ci sembra un’ipotesi
ragionevole.
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