domenica 6 ottobre 2013

IL CORRIERE SCRIVE : "AL PD PENSANO DI VIRARE A SINISTRA". PERCHE', ORA DOVE SONO ?


Curioso il titolo che al Corsera viene dato all'articolo di Maria Teresa Meli, giornalista dedicata alla cronaca delle cose di casa PD : "la tentazione di virare a sinistra"?
Ma perché, che rotta seguono da quelle parti ? Legittimamente tra l'altro anche se, nel fondersi con i popolari (ex dc, in questi giorni si può dire ) della Margherita l'idea era di creare un soggetto nuovo, che fosse qualcosa di diverso dalla sinistra storica europea, anche nelle sue forme migliori (tipo il laburismo inglese o la socialdemocrazia nord europea), più forse un partito democratico all'americana (non a caso il primo segretario fu Veltroni, amante dei Kennedy e degli inglesismi).  Di quel progetto, con l'avvento di Bersani, è rimasto poco, fino alla cocente delusione di febbraio. Ma anche dopo, in casa PD, se non sei abbastanza di sinistra non ti guardano bene, e infatti vediamo che Renzi, che pure si era proposto come il continuatore, in meglio, con più coraggio (la sfida della "rottamazione" dei vecchi dirigenti e dell'apparato circostante), del Lingotto veltroniano, oggi, volendo la segreteria Piddina, ha inserito nel proprio lessico parole diverse, più care alla pancia profonda di certi iscritti.
Certo, Enrico Letta che diventa il miglior amico di Alfano (e viceversa, anzi, più Angelino pro Enrico) , l'idea di un governo che marci con la barra dritta al centro, in modo "meravigliosamente doroteo (manco moroteo !), immagino non faccia venire i brividi di gioia agli attuali occupanti di via del Nazzareno, lo si può ben comprendere. Ma questo sta solo a dimostrare che il PD attuale è, per la sua maggioranza militante, semplicemente la continuazione della tradizione che viene dal PCI, poi PDS e quindi DS. 
Certo, il problema sono le urne perché quel partito, il PDS e poi i DS, alle elezioni del 1994, poi del 2001 e del 2006, vide progressivamente abbandonare la soglia del 20% ( un quinto dei votanti !) per avvicinarsi pericolosamente al 15%  (20,6 - 1994,  21-1996, 16, 5 - 2001, 17-2006). I centristi "illuminati" a loro volta non superavano di molto il 10. L'idea di aggregarsi e immaginare che l'unione valesse più della somma risultò non sbagliata, visto che nel 2008 il neonato PD, nonostante lo psicodramma mandato in onda dal governo Prodi per due anni non fosse certo un gran viatico, prese il 33% dei voti ma, come dimostra il risultato del 2013, dove il PD torna al 25%, quindi la somma e nulla di più di DS e Margherita,  questo avviene solo se ci si scosta da un partito SOLO rappresentativo della sinistra. 
Bisogna dire però che l'Italia che sembra attratta dal ritorno al proporzionale potrebbe essere tentata di mandare in cantina questi tentativi di ingegneria genetica applicati alla politica, e ognuno torna a coltivare il proprio orticello identitario, rinunciando ad un sforzo di sintesi aggregativa che si dimostra poco consona alle corde dell'Italia dei comuni e dei mille campanili.
Certo, l'idea di un futuro dove i moderati dei due schieramenti attuali, PDL e PD, si stacchino e si uniscano, mi incuriosisce. Sarebbe una nuova DC ? Ohi, se anche fosse, vediamo quanti voti prende no ?!  
Ciò posto, a sentire le dichiarazioni di Camusso, Orfini e compagnia cantando, non si prepara una passeggiata per l'euforico Premier.



  "Nel Pd cambiano gli equilibri. La tentazione di virare a sinistra" 
 
Gli ultimi travagli del governo e della sua maggioranza hanno finito per ribaltare i rapporti nel Partito democratico. Coloro (in prevalenza gli ex ds) che, in qualche modo, tentavano di contrapporre Enrico Letta a Matteo Renzi per evitare l’arrivo del «marziano» fiorentino alla segreteria del Pd ora non pensano più che appoggiare il premier sia la strada giusta. Anzi. Ormai danno per scontata l’elezione alla segreteria del Partito democratico del sindaco e guardano con sempre maggior sfiducia alle larghe intese. Per paradossale che possa sembrare, coltivano più sospetti su quell’alleanza di quanti ne avessero all’epoca del Berlusconi vincente, perché temono la nascita di una nuova Democrazia cristiana versione anni 2000, che raccolga trasversalmente i cattolici di diverse forze politiche, come spiega il neodeputato Davide Faraone: «C’è chi pensa di trasformare il partito in una bad company e, contestualmente, di dare vita a una forza neocentrista». In questo quadro, come osserva un autorevolissimo esponente del Pd, diventa altissimo e più che mai concreto «il rischio che il congresso si faccia sulla fiducia al governo: da un lato Enrico Letta e Dario Franceschini, dall’altro Massimo D’Alema, i Giovani turchi e i bersaniani, in mezzo Matteo Renzi, che farà il responsabile ma che se l’esecutivo non combina niente non lo difenderà certo con le unghie e con i denti». Però prima ancora delle assise nazionali dell’otto dicembre l’appuntamento cruciale tra il governo e gli ex ds del Pd (che su alcuni temi avranno dalla loro anche Renzi) sarà rappresentato dalla legge di Stabilità. Il primo segnale di quello che potrebbe accadere a breve è arrivato l’altro giorno dalla segretaria della Cgil Susanna Camusso, che ha criticato il discorso di Enrico Letta in Parlamento: «Non ha usato la parola equità». E ancora: «Ci vuole una redistribuzione fiscale, la stabilità senza i contenuti determina la palude, la stabilità senza il cambiamento è inutile».
Ma anche nel Pd si cominciano a scaldare i motori. Sottolinea l’ex ministro del Lavoro Cesare Damiano. «Sarebbe ora che la sinistra battesse un colpo. I temi non mancano: per ridistribuire bisogna che la legge di stabilità metta un po’ di miliardi sul sociale. E poi sento troppo silenzio dal governo sulle pensioni, ma noi non possiamo stare zitti». E Matteo Orfini allarga il campo d’azione, annunciando: «Faremo le nostre battaglie sulla legge di Stabilità e non solo». Che cosa intenda dire con quel «non solo» il leader dei “Giovani turchi” lo spiega subito: «Per esempio, l’altro giorno il ministro Alfano su Lampedusa è stato sconcertante: retorica e nient’altro. Noi lavoreremo per la creazione di un corridoio umanitario e per l’abolizione della Bossi-Fini». «Insomma — aggiunge Orfini — tanto più adesso che è venuto meno l’alibi di Berlusconi bisogna fare un salto di qualità». E c’è una battaglia su cui la sinistra vuole tastare da subito il terreno e capire se il berlusconismo è effettivamente al tramonto come si dice: quella sull’Imu. Il Cavaliere aveva legato la sua campagna elettorale all’abolizione di quella tassa sulla casa per tutti. Orfini è da giorni che va dicendo che «l’Imu va rimodulata». Renzi ne è profondamente convinto. E Stefano Fassina ha ammesso che «dentro il governo c’è una discussione in atto». Sarà il modo, dicono al Pd, con cui Alfano può dimostrare la differenza con Berlusconi visto che «poi ha deciso di non fare nessun gruppo autonomo ma ha preferito restare con il Cavaliere». Decisione che non è stata molto gradita dai dirigenti del Partito democratico: «Alfano — ironizza Angelo Rughetti — cincischia, Nunzia De Girolamo fa la paciera, Fabrizio Cicchitto va a palazzo Grazioli, non è che torniamo al via e siamo punto e a capo?». Insomma, il rischio che, con il passare del tempo, l’elettorato del Pd, non vedendo dei cambiamenti radicali e non assistendo a un divorzio all’interno del Pdl, possa alla fine pensare che non sia cambiato granché preoccupa il gruppo dirigente del Partito democratico. Un motivo in più per sterzare a sinistra e per cercare di costringere il governo a fare altrettanto. E il paradosso è che i tanti che accusavano Renzi di filo-berlusconismo ora intravedono in lui il possibile paladino delle istanze di sinistra. Sentire il sindaco dire al governo, dopo la sconfitta politica di Berlusconi, che è «ora di voltare pagina» placa le tante insoddisfazioni dei «Democrat». Del resto, persino Vendola, un tempo diffidente nei confronti di Matteo Renzi, adesso confida ai suoi: «Rispetto a Letta è un interlocutore più credibile».

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