lunedì 30 dicembre 2013

"CARI ITALIANI ..." IL DISCORSO PRESIDENZIALE IMMAGINATO DA GIACALONE


Davide Giacalone non è il primo a immaginarsi ghost writer del Presidente Napolitano nello scrivere il discorso di fine d'anno. Trovo, come sempre, interessanti le sue considerazioni e il modo in cui le esplicita.
Condivido, come più spesso mi capita, i suoi pensieri. In questo caso mi lascia una curiosità grande : a cosa si riferisce quando scrive " Una soluzione, semmai, gli fu offerta da chi avrebbe dovuto prendere il mio posto, e da quanti avevano silurato Marini e Prodi. Lì giocai d’astuzia, silurando i siluratori e restando dove volevo restare" ?
A parte l'affermazione che Napolitano sia stato ben contento di venire confermato Presidente (il che, a 88 anni, non è una bella cosa, che anche all'ambizione dovrebbe esserci un confine), ma qual era l'exit strategy salvifica per il Cavaliere ? proposta da chi ? Siccome Giacalone NON è un complottista, mi piacerebbe saperne di più. Magari tornerà a scrivere su questo.
Intanto, ecco il suo discorso immaginario
Buona Lettura 


Auguri dal Colle

“Cari Concittadini, non sarei dovuto essere qui e un anno fa vi feci i miei ultimi auguri presidenziali. Come sapete le cose sono andate diversamente, sicché ritengo sia mio dovere mettere a frutto l’occasione”. Questo è il discorso che mi piacerebbe sentire, dal Colle. Resterà un sogno, ma sarebbe saggio. “L’usanza degli auguri fu introdotta da Luigi Einaudi. Da allora a oggi sono divenuti sempre più lunghi, mentre s’allargava il ruolo del presidente. Inutile boicottare il discorso di fine anno, perché già lo straziamo noi che lo facciamo. Fece eccezione il 1991, quando Francesco Cossiga ritenne prudente essere estremamente conciso. Io ritengo prudente, oggi, dirvi tutto”.
“Il non partito non politico, che ha avuto il maggiore successo alle ultime elezioni, vale a dire il Movimento 5 Stelle, vuole trascinarmi in stato d’accusa davanti alle Camere. Non ci riusciranno ed è una sciocchezza. Non solo ne mancano i presupposti, ma l’operazione non ha senso. Nel corso della mia vita politica mi sono trovato non una, ma due volte a far quella richiesta: prima contro Giovanni Leone, poi contro Cossiga. Non se ne cava nulla di buono. Ma so una cosa ancora più importante: quei due presidenti avevano ragione. Prima di Natale ho diffuso una lettera inviatami da Cossiga nel 2005. E’ stato scritto che Cossiga mi riconobbe il merito di dissentire dal mio partito, quello comunista. Sciocchezze: lo sapeva già da allora, e mi ritenne un vile. Perché dissentivo, ma tacevo. E non è affatto vero che rivolgendosi a me, nonché auspicando che giungessi dove sono, abbia lui rivisto le sue posizioni. Semmai ero io ad avere dovuto rivedere le mie. Nessuno ha saputo scrivere che già nel 1998 fu proprio lui, Cossiga, a far nascere il primo governo guidato da un ex (ex?) comunista, da uno che la sua destituzione la chiese eccome, Massimo D’Alema. Fu Cossiga a ritenersi legittimo militante a difesa dell’Occidente, riconoscendo a noi legittima militanza a difesa dell’impero comunista. Finiamola qui, non ne posso più di chi mi liscia, sì come una biscia”.
“Veniamo a noi. Non ho tradito la Costituzione, ho fatto il contrario: ho cercato di farla vivere nelle condizioni date, supplendo a partiti che non esistono più. Questo mio sforzo non è solo inutile, sta diventando pericoloso. Sono riuscito a commissariare la sinistra e condurre alla fine l’avventura di Silvio Berlusconi, ma non riesco a trovare il modo di far vivere un vero governo”.
“Lasciatemi dire una cosa, su Berlusconi: chi crede che io lo abbia tradito, o non abbia onorato promesse fatte, è folle. Mi sono speso eccome, per evitargli la condanna definitiva. Solo che non ci sono riuscito. Ho perso. Ho perso presso la Corte costituzionale e presso quella di cassazione. Non sono un monarca assoluto, sono solo il reggitore di un sistema finito. Una soluzione, semmai, gli fu offerta da chi avrebbe dovuto prendere il mio posto, e da quanti avevano silurato Marini e Prodi. Lì giocai d’astuzia, silurando i siluratori e restando dove volevo restare. Rinacqui, ma subito dopo il mondo ha preso a crollarmi attorno”.
“Non sono mai stato un capo popolare, un trascinatore di folle, un leader di partito. Lo avrei voluto, ma non ne avevo la stoffa. Ho dedicato l’intera mia vita alla politica, talché ho imparato a sentire il pericolo. Oggi avverto quello d’essere l’unico reggitore di un equilibrio squilibrato. Se mi si rompe in mano è una tragedia. Non ho voluto sostituirmi alla politica o divenire monarca, m’accontentavo di primeggiare dopo una vita gregaria. Non nascondo d’essermi preso soddisfazioni. E anche qualche vendetta. E’ umano. Ma il ruolo di supplente ha finito con il concentrare sul Quirinale tensioni e aspettative che non sono compatibili con il mio non essere eletto dal popolo. Ecco il perché di questi miei strani auguri”.
“Vi auguro di capirlo. Mi auguro che capiate la buona fede che mi ha guidato. Ma ora dobbiamo cambiare passo. Il governo Letta è già caduto. Finito il giorno in cui è stato eliminato uno dei contraenti, Berlusconi. Strafinito quando alla guida della sinistra è giunto chi non lo volle e non lo vuole, Matteo Renzi. Eppure non riusciamo a trovare il modo di andare avanti, perché i partiti non hanno la lucidità e la forza delle riforme necessarie, mentre le elezioni sono un’avventura. Non possiamo continuare a prenderci in giro, perché stiamo perdendo posizioni ed economicamente debilitandoci. Dopo avere firmato il decreto che distrugge la Banca d’Italia dovrò presto firmarne la conversione, che distrugge il decreto e non salva la Banca d’Italia. Io non voglio avere la responsabilità di avere creato il governo Facta, né quella di mollarlo per le urla scomposte che da qui s’avvertono. Quindi, cari Concittadi, mettiamola così: o entro gennaio il Parlamento vara una riforma del sistema elettorale, o io lo sciolgo, perché già dimostratamente non in condizione di funzionare. Badate: non è una soluzione, è solo la presa d’atto che non ne abbiamo di praticabili”.
“Sono fiducioso nell’Italia. So che ce la caveremo. Noi abbiamo esaurito la nostra funzione. Una nuova classe dirigente si faccia strada e, per riconoscerla, cominciate a scartare quelli che considereranno queste mie parole coraggiose. Sono solo ovvie. Auguri dal vostro attuale presidente, Giorgio Napolitano”.

1 commento:

  1. DAVIDE GIACALONE

    Certo, torneremo a scriverne. La storia della rielezione, anzi, va ancora scritta. Il tempo è necessario per un solo motivo: c'è una fastidiosa tendenza a interpretare tutto pro o contro qualcun altro, che è un modo banale di leggere la realtà. Del resto: non c'è mica nulla di male, al di là delle parole di circostanza, nel volere restare al Quirinale. Direi che, più o meno, anche gli altri ci provarono. Napolitano è il primo ad esserci riuscito.

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