giovedì 26 dicembre 2013

IL BICCHIERE TROPPO GRANDE DI PAPA BERGOGLIO


Bergoglio è un papa che ha conquistato rapidamente l'amore dei fedeli e anche il favore dei non, grazie al suo pauperismo tanto caro ad una numerosa parte di atei di fede sinistrese.
Non è un caso che fieri comunisti (anche qualche terrorista) abbia avuto in gioventù un forte fervore cattolico e che sia stato coniato un termine apposito per indicare la stretta connessione tra i radicali delle due fedi : cattocomunismo.
Il denaro "sterco del diavolo" è una vulgata di quelle parti, da cui si sono lodevolmente discostati i protestanti che avevano intuito come questa promessa del regno dei cieli finalizzata a non lamentarsi di una vita terrena in povertà, era sospetta, tanto più in epoche trascorse dove la Chiesa esercitava anche il potere temporale ( fino all'unità d'Italia, appena 150 anni fa, la parte centrale della penisola costituiva il regno del Papa Re.
E così il centro nord dell'Europa, emancipandosi da questa condanna della ricchezza, ma anche del benessere, colpevole di distogliere i fedeli dalla vera missione del passaggio terreno, cioè meritarsi il paradiso, ha avuto sviluppo e progresso sia economico che tecnologico , lasciandosi indietro il sud del continente. Chiedo scusa della semplificazione, che so benissimo essere grande, però ricordo anche che un articolo non ha l'ambizione di un saggio e quindi prende in considerazione UN aspetto dei molti che sempre costituiscono la complessità di un problema.
Quindi, quando si parla di una certa vena cattolica pauperistica e marxisticamente egualitaria, ovviamente non si sostiene che questo sia l'unico aspetto sociale della Chiesa di Roma. Sicuramente, nella predicazione, che magari i fatti sono più contraddittori, è un elemento forte, ricorrente, che viene più o meno accentuato a seconda di chi arriva sul soglio di Pietro.
Papa Bergoglio predica l'umiltà, e questa è una bella cosa, ma va oltre, suscitando ampi favori, lo abbiamo detto subito, e anche forti perplessità.
DI queste ci parla Davide Giacalone, che mette in guardia da alcuni pericoli che elenca, arrivando ad una conclusione : attenzione ad annacquamenti eccessivi dei propri valori e all'apertura unilaterale nei confronti del pensiero diverso. Il rischio, lo ricordava anche la grande Oriana Fallaci, è che per evitare la dittatura della maggioranza si finisca per subire quella della minoranza, che resta solidamente arroccata ai suoi fondamentalismi.
Buona Lettura

Bergoglio e le paure d’Occidente


Un successore di Pietro che condanni il dio denaro non è una novità, né ha alcun senso supporre (come fece un frettoloso commentatore statunitense) che la critica del profitto fine a sé stesso possa farlo passare per comunista. Tanto più che il comunismo ha adorato il denaro e il profitto, solo che voleva proibirne la coniugazione con la libertà individuale, sicché li voleva pubblici e non privati. Ma Jorge Mario Berloglio si è spinto oltre, nella critica del mercato, fino a lasciar pensare che la crescita della ricchezza sia a detrimento della crescita del benessere collettivo. In tal senso depone l’immagine del bicchiere: ci dicono che crescendo la ricchezza questa riempirà il bicchiere, fino a tracimare e bagnare anche chi sta sotto, invece, ogni volta, non fanno che ingrandire il bicchiere. Efficace. Peccato sia vero il contrario, al punto che la Banca Mondiale calcolò un dimezzamento, in soli venti anni, dei poveri, prevedendone (magari!) l’estinzione entro il 2030. Non so se il conto sia esatto, ma la globalizzazione ha reso il mondo migliore, più ricco, più pacifico. Il che non significa sia già troppo ricco e troppo in pace. Allora, che succede?
Succede una cosa assai interessante, che osservo, da incredulo, senza in nulla sfiorare le questioni della fede. Succede che mentre (per restare agli ultimi pontefici) Giovanni Paolo II aveva ingaggiato battaglia contro l’impero comunista, in questo anche servendosi dello Ior e di denaro necessariamente non trasparente; mentre Benedetto XVI non era sfuggito alla competizione con l’altro monoteismo ad aspirazione universalista; cioè mentre i predecessori avevano guardato al ruolo del cattolicesimo fuori d’Occidente, Francesco s’è volto indietro e s’è accorto che il mondo evangelizzato non per questo poteva considerarsi assodato.
Ecco che la banca vaticana cessa d’essere un utensile, magari imbarazzante ma utile, e diviene un peso, quando non un oltraggio. Ecco che alcuni pilastri non vengono abbattuti, naturalmente, ma ci si sforza di guardare quel che c’è dietro: il matrimonio è sì un sacramento indissolubile, ma occorre prendere atto che molti fedeli lo sciolgono; l’omosessualità resta godimento non finalizzato alla procreazione (non lo fò per piacer mio …), ma occorre prendere atto che è divenuta una sessualità più sbandierabile dell’altra; l’aborto è un ostacolo opposto a una vita già avviata verso di sé, ma non si può non vedere che lo si pratica come metodo anticoncezionale, posto che la maternità è da valorizzarsi come libera scelta, non come destino; e così: è vero che la globalizzazione ha portato ricchezza (non abbastanza) dove c’era fame (che c’è ancora), ma ha diffuso paura presso chi aveva archiviato la fame fra gli orrori del passato, aumentando non il senso di ricchezza collettiva, ma quello d’impoverimento relativo. E se altri vollero guardare al gregge sparso per le lande lontane, che si supponeva bisognoso d’un pastore, Bergoglio s’è rivolto a guardare lo sbandamento del gregge che sta dentro l’ovile d’Occidente.
Se posso permettermi un linguaggio improprio: questo pontefice ha preso atto che il suo core business sta nel mondo più ricco e sviluppato, ma oggi assai smarrito. Il suo essere argentino, da questo punto di vista, lo segna e gli ha molto insegnato. E in questa parte del mondo il fondamentalismo religioso non paga. O, peggio, paga solo chi lo pratica da minoranza. E i cattolici non desiderano certo divenir minoranza. Ecco, dunque, che la loro guida s’acconcia ad assecondarne gli umori, se non proprio i vizi.
Chiudo non chiudendo (impossibile): la convivenza di culture diverse è un fatto positivo, l’indeterminatezza culturale è negativa; la tolleranza del diverso è positiva, il relativismo etico è negativo; la libertà di culto è positiva, la libertà d’imporre un culto è negativa (tanto più che i monoteismi sono storicamente misogeni). In questa parte del mondo, e in un periodo storico che dura da molto, ma non da tanto, abbiamo imparato a conciliare rito e secolarizzazione, fede e libertà. Non è stato affatto facile ed è un equilibrio per sua natura instabile, ma ci siamo riusciti. Tale nostra forza può rivelarsi una debolezza, se diventa penetrabile da fondamentalismi non contaminati dalla storia, o figli di brutte storie. Come la democrazia, del resto. Per questo, da incredulo educato al rispetto della fede e dei fedeli, guardo al rattrappimento con una certa preoccupazione.

1 commento:

  1. RICCARDO CATTARINI

    Bella analisi come sempre Stefano. La tua, su quella di Giacalone ho qualche dubbio. Certe cose le hanno dette Marx e i Vangeli quasi allo stesso modo, ma poi allo stesso modo hanno rappresentato entrambi pericolosi fondamentalismi. Bisogna uscirne e non avere paura.

    RispondiElimina